Minsk e Varsavia: chi spinge e respinge i migranti

La vicenda dei migranti bloccati alla frontiera fra Polonia e Bielorussia, in condizioni peraltro disperate, è un nuovo appello alla coscienza mondiale.

Massimo Congiu

La vicenda dei migranti bloccati alla frontiera fra Polonia e Bielorussia, in condizioni peraltro disperate, è un nuovo appello alla coscienza mondiale. Mentre è in atto un braccio di ferro che coinvolge i due paesi precedentemente citati, più Russia e Unione europea, principalmente e in maniera più immediata, si consuma il dramma di circa 4.000 persone che hanno intrapreso una fuga per la sopravvivenza. Tutta gente che possiamo immaginare poco interessata agli equilibri geopolitici ma piuttosto ansiosa di lasciarsi alle spalle guerre, povertà e persecuzioni. Un dramma, si diceva, testimoniato per di più dal recente ritrovamento del corpo privo di vita di un cittadino siriano nei boschi circostanti anche se in realtà, secondo stime non ufficiali, potrebbero essere più di dieci le persone morte lungo la frontiera fra i due paesi.

Spinti da Minsk verso il confine polacco e ricacciati indietro dalla polizia connazionale di Kaczyński a suon di lacrimogeni, i migranti sono divenuti loro malgrado uno strumento di offesa e ricatto del regime di Lukashenko che intende dar luogo a una rappresaglia contro l’Ue per le sanzioni adottate nei confronti della Bielorussia. D’altra parte, però, come già precisato, i medesimi non stanno beneficiando di un trattamento migliore al confine orientale dell’Unione e si trovano quindi stretti tra le maglie di un gioco che rischia di stritolarli. Da una parte Minsk con le sue ragioni, dall’altra i circa 13.000 uomini schierati dalle autorità di Varsavia per impedire a questa gente disperata di raggiungere la Germania. A dire il vero gli sconfinamenti in zona si verificano da agosto ma si sono concentrati in quest’ultimo periodo e la zona fra i due paesi è caratterizzata da una sempre maggiore tensione. Le autorità polacche accusano la Bielorussia di voler creare destabilizzazione a danno di tutta l’Europa, mentre il presidente russo Putin punta il dito contro Varsavia per la sua gestione della crisi che vedrebbe guardie di frontiera impegnate a picchiare i migranti e a sparare sopra le loro teste. Pratiche che, secondo il numero uno del Cremlino, sono contrarie agli “ideali umanitari dell’Ue”.

Insomma, il triste scenario che si è delineato al confine fra due paesi non amici dimostra quanto sia sempre più usuale che si giochi sulla pelle di migranti e profughi i quali diventano strumenti di pressione politica, “merce di scambio” sempre loro malgrado beninteso. All’occorrenza divengono, quindi, una carta da giocare in mano a governanti senza scrupoli alla misera ricerca di consensi elettorali. Prendiamo ad esempio il caso del premier ungherese Orbán che, nel 2015, contestualmente all’aumento dei flussi migratori verso il Vecchio Continente ha vestito i panni (ne ha un armadio ben capiente) del leader che salva il suo paese dall’invasione islamica, l’unico che si fosse posto il problema di difendere non solo i confini magiari ma anche quelli di Schengen. Una manovra per consolidare il consenso popolare e recuperare quello dirottato verso le casse elettorali di Jobbik. Un’operazione all’epoca riuscita, purtroppo, grazie ad una propaganda tossica tutta tesa a diffondere nella popolazione una sempre maggiore paura e ostilità verso chi è diverso, e a descrivere i migranti come veicolo di destabilizzazione sociale e minaccia alla sicurezza pubblica. Da allora, il tema migrazione è divenuto centrale nella propaganda del leader danubiano che si è impegnato ad affermare il principio secondo cui l’Ungheria è degli ungheresi e l’Europa degli europei.

Insieme a Varsavia, Budapest è divenuta elemento di punta, all’interno del Gruppo di Visegrád (V4) nel contrasto al criterio dell’ottenimento dei fondi comunitari subordinato alla condizione di ospitare migranti e profughi. Come sappiamo tale aspetto ha assunto centralità nel rapporto conflittuale esistente fra i due paesi e i vertici dell’Ue, fermo restando che anche Praga e Bratislava hanno mostrato di gradire poco il meccanismo legato all’erogazione dei fondi.

Ora Salvini, anch’egli in vena di facili strumentalizzazioni, sottolinea il fatto che, da cattivi quali erano considerati fino a poco fa, i polacchi sono diventati un baluardo contro gli immigrati irregolari spinti a occidente dalla Bielorussia.

Cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia neppure in questo caso, nel senso che, girala come vuoi, ma lungi dall’essere in sé un fattore di destabilizzazione, la figura del migrante è pienamente entrata nel ruolo di ostaggio di giochi e interessi politici internazionali che si incrociano e scontrano pericolosamente. In tutto questo può realmente l’Ue continuare a dirsi paladina di diritti umani quando non di rado mostra di lasciare questa gente al suo destino, vuoi per incapacità di opporsi realmente alle prese di posizione anti-migranti dei leader sovranisti amanti o concretamente costruttori di muri ai loro confini, vuoi per convenienza o per altri motivi?

La crisi ha richiamato anche l’attenzione di USA e NATO che con le loro guerre hanno provocato flussi di profughi, salvo poi presentarsi come guardiani dell’ordine e della pace mondiali. Se questa è pace…

 

(credit foto EPA/LEONID SCHEGLOV / HANDOUT)



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