“Anch’io ho subito violenza sulle navi quarantena”

La testimonianza di Paola, volontaria a bordo delle navi quarantena: “Dopo la vostra inchiesta mi sono sentita meno sola e ho capito che era giusto raccontare la mia esperienza, perché probabilmente non siamo le sole a essere state molestate”.

Paola

Cara MicroMega, sono Paola e anche io sono stata a bordo delle navi quarantena.
Vi scrivo perché ho letto la vostra inchiesta e volevo prima di tutto ringraziarvi per aver fatto emergere una realtà della quale si parla poco e spesso a sproposito. Ma volevo anche raccontarvi la mia esperienza a bordo, perché la testimonianza di “Giulia” mi ha fatto sentire meno sola e soprattutto mi ha fatto capire che era giusto raccontare la mia esperienza e condividerla, perché probabilmente non siamo le sole a essere state molestate.

Sottoscrivo parola per parola quell’intervista perché mi sono riconosciuta nella selezione di fatto inesistente dei volontari, con poche informazioni che ti arrivano prima di imbarcarti e il breve tempo nel quale tutto questo accade perché “c’è poco personale”, come ho sentito dire spesso. Le descrizioni che fanno Giulia e le altre persone che avete intervistato rispecchiano a pieno quello che avviene a bordo delle navi, dove le persone migranti vengono tenute in condizioni di promiscuità e dove è risaputo che le donne, che forse dovrei definire ragazze vista l’età, si prostituiscono forzatamente e alla luce del sole, mentre gli altri operatori dicono che “per loro più che le sigarette dovremmo distribuire i preservativi”.

Sono salita a bordo con grande entusiasmo e sono scesa traumatizzata sia sul piano umano per le condizioni dei migranti sia sul piano personale, perché ho subito in modo insistente delle molestie da parte del personale della nave, degli addetti alle pulizie e alla mensa.

Quando sono salita a bordo ero insieme ad altre due volontarie e la prima cosa che ci hanno detto è stata: “è arrivata carne fresca”. Sono rimasta di gesso ma ho cercato di non dargli peso, ma quello che è accaduto nella settimana successiva è stato lineare con questa affermazione.

Nei giorni successivi fischi di apprezzamento e saluti come “bella bionda” o “bellezza” sono diventati la norma: uomini che nemmeno conoscevo mi consideravano un pezzo di carne fresca che si aggirava per i ponti della nave, pronta per essere predata. Mi dicevo “sei tu che ti stai facendo delle paranoie” e andavo avanti ma su ogni corridoio, ogni ponte, ogni sigaretta all’aperto mi trovavo gli uomini dell’equipaggio attorno, in particolare uno di loro.

Ho iniziato a fare giri lunghi, passavo in zone dove non sarei dovuta andare pur di evitare di incrociare queste persone ma la sera l’ansia saliva perché dopo che terminavo il turno e tornavo nella mia cabina pensavo: “hanno il passe-partout per fare le pulizie, possono entrare quando vogliono” e così ho iniziato a non dormire o a farlo male, crollavo solo per la stanchezza dei lunghi turni ma cercavo sempre di rimanere vigile per sentire dei rumori.

Questo è andato avanti per giorni ma per fortuna non succedeva nulla e un po’ la stanchezza e un po’ la voglia di vivermi meglio questa missione, ho abbassato la guardia, continuando a ignorare gli apprezzamenti ma cercando comunque di parlare con queste persone. Così una sera mentre una ragazza mi stava dando il cambio in un ponte, sono venuti due uomini dell’equipaggio e ci hanno chiesto se volevamo un gelato. Era tardi, a bordo è vietato l’alcol ed ero stanca, ho pensato: “un gelato per rilassarmi e poi vado a dormire”, così ho accettato.

Mentre ci incamminiamo uno dei due insisteva per farmi prendere l’ascensore, io gli dico che preferisco le scale e che ci saremmo visti nella sala mensa. Poi insiste per pagarmi il gelato, cosa che non volevo ma il suo collega che era alla cassa non ha accettato i miei soldi, così inizio a mangiare il gelato e mi rendo conto che sono sola con uno dei due uomini, che poi ero uno di quelli che nei primi giorni mi metteva ansia, così mi invento che mi stanno aspettando per una sigaretta altri di Croce Rossa, nella speranza che sul ponte dove ci vediamo per fumare ci sia qualcuno. Purtroppo non c’è nessuno e l’uomo del gelato mi segue anche lui per fumare. Io inizio a sentirmi sempre più in difficoltà, il cervello mi dice: “è notte, non dovresti essere qui, trova una scusa e vai via”, purtroppo non accade e praticamente mi ritrovo sul corridoio dove ci sono le cabine, tra cui la sua, e mi invita a entrare. A quel punto ho pensato: “Se mi dà una spinta e chiude la porta sono sola e nessuno mi può sentire”, ho avuto un momento di panico assoluto, non ero più lucida e ho iniziato a correre più forte che potessi. Quando ho incontrato un operatore di Croce Rossa mi ha guardato preoccupato e mi ha chiesto: “Che è successo, hai visto un fantasma?”, ho farfugliato qualcosa ma sono rimasta vaga.

Non sono andata in mensa per giorni, ne ho parlato solo con un altro operatore che da quel momento mi ha portato il cibo in cabina e mi accompagnava in giro per la nave, avevo il terrore di rivederlo, che i miei occhi potessero ancora incrociare i suoi.
Ero ancora impietrita e questa cosa è andata avanti per due settimane e mezzo anche se non volevo condividerlo con altre persone perché avevo paura di sentirmi dire: “non è successo nulla, è stato solo nella tua mente”. Poco prima di sbarcare so che è arrivato un richiamo a una persona dell’equipaggio per molestie nei confronti di un’altra ragazza ma ho preferito non sporgere denuncia e andare via prima possibile dalla nave.

Scesa dalla nave ero davvero spaesata, come se fossi stata in un mondo parallelo per tutto quel tempo per poi esserne sputata fuori con violenza. A casa ero intrattabile, ho litigato per settimane con il mio ragazzo finché non ho più potuto fare a meno di affrontare la realtà di ciò che avevo vissuto e ho deciso in segreto di intraprendere un percorso di supporto psicologico specializzato nel trattamento dei traumi.

Per me è stato davvero uno shock leggere l’intervista a Giulia a quasi un anno dalla mia esperienza. Mai avrei pensato che fossero comportamenti diffusi, mai avrei immaginato una violenza del genere lasciata dilagare senza opposizioni.

Mi dispiace non averne parlato al capo missione e per non aver avuto il coraggio di dare un segnale d’allarme; mi sento distrutta se penso che altre ragazze hanno vissuto quello che ho vissuto io, quella paura, quel terrore, quell’impotenza che pensavo fosse stata riservata solo a me ma che invece, forse anche nello stesso momento, molte altre ragazze hanno provato.

Grazie per aver portato a galla questa situazione in generale delle navi quarantena ma soprattutto grazie dal mio cuore per non avermi fatta sentire sola, per avermi assolta, per aver reso il mio cuore e sicuramente la mia mente più leggeri, per aver aggiunto il tassello mancante nel mio percorso di presa di coscienza per poter dire e finalmente credere che quello che ho subito è violenza.

Immigrazione, il fallimento delle “navi quarantena”



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