Murakami e le sue T-shirt

Intrufolarsi nel guardaroba di “un fenomeno globale”: recensione di “T le mie amate T-shirt“ di Haruki Murakami.

Daniele Barbieri

Ha ragionissima Fabio Bartoli. Lo scrittore giapponese Haruki (nome) Murakami (cognome) – dalle sue parti nelle copertine usa prima il cognome – “un fenomeno globale”. Per una volta non un fanfarone né astuto marketing: qualità ma anche ottime tirature. HM lascia il segno nella scrittura e nelle trame. Accade perfino nell’ultimo suo libro tradotto in italiano, che qualche perfido classificherebbe come una narcisistica “paraculata” cioè T le mie amate T-shirt uscito da Einaudi, nella traduzione di Antonietta Pastore, con due anni di ritardo sull’originale.

Devo una premessa a chi sta leggendo. Sono prevenuto: amo Murakami[1]. Molto, è una cotta “senile”. E oltretutto via via ho scoperto di avere molte cosette in comune con lui: siamo entrambi bipedi terrestri (pensanti, grosso modo) con una forte passione per il jazz e in più abbiamo sudato emozioni insieme – si fa per dire – correndo qualche maratona; ma soprattutto cerchiamo – lui da scrittore e io da semplice lettore – il sottile confine tra realtà e altri mondi meno visibili intorno a noi (“non siamo soli” se preferite dirla così, fra neuropsichiatria e astrofisica). Ho scoperto adesso che ci unisce anche il diletto per le magliette “comunicanti”. Così eccomi a parlarvi, siore e siori, di T le mie amate T-shirt: 21 euro (purtroppo) per 179 pagine – ovviamente molto illustrate – con una bella, lunga intervista a Murakami di Nomura Kunuichi, intitolata Le t-shirt che ho accumulato e quelle che non posso indossare.

Basta scorrere i titoli delle sezioni e guardare qualche immagine a casaccio, per capire i temi ricorrenti: surf; whisky; birre; hamburger (ecco 4 passioni che non condivido); keep calm; negozi di musica; un po’ di animali con forte predilezione per orsi e iguane; libri; volare nel cielo ma anche maratone e musica (“sono un ascoltatore vorace”) e a volte “tempo da perdere” come scherza HM con il suo intervistatore.
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A proposito dello slogan keep clam che si scorge su migliaia di t-shirt in centinaia di versioni, Murakami racconta che in origine Keep calm an carry on (traduco per non anglo-parlanti: “stai calmo e va avanti”) era il poster creato “da un’agenzia di stampa inglese alla vigilia della Seconda guerra mondiale per tranquilizzare la popolazione e prevenire il panico”. Profezie fa rima con parodie.
Avendo un po’ di soldini, HM può permettersi di comprare t-shirt, non indossarle e dimenticarle nei cassetti finché una rivista non gli commissiona un po’ di articoli (tipo: meditazioni sul mio “guardaroba”) che finiscono per dare l’ossatura a questo libro, leggero ma divertente.

C’è un filo di Arianna? Forse. Si accumulano t-shirt per l’estetica o per ricordo; per la frase e/o il disegno; per collezionismo (costoso anche) e appunto per temi. Curioso che proprio uno scrittore parli così poco di ciò che si indossa per comunicare. Eppure l’abito come il logo (o il contro-logo) fanno il monaco, l’integrato e l’apocalittico.
Da poco mi hanno regalato una t-shirt provocatoria quanto basta e splendida: la scritta è nientemeno che Robot Lives Matter. Chissà se piacerebbe a Murakami.

[1] Su un piatto della bilancia c’è la mia murakami-filia ma sull’altro pesa che l’idea di questo libro sia un furto perpetrato nella mia mente: un plagio cioè di «77 anni, 77 t-shirt» – per la verità tutte diverse dalle sue – che avrei scritto nel 2025. Metto insieme il ladro di idee altrui e il dubbio che la macchina per viaggiare nel tempo si concretizzerà solo nel 2026. Fino ad allora dunque parlando di libri altrui sarò obiettivo quasi come un sasso o un albero.

 



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