Muri visibili e invisibili: lo Stato (delle frontiere) dell’Unione

L’ipocrisia di Bruxelles, contraria al muro europeo contro i migranti chiesto da 12 paesi ma favorevole a politiche di difesa della Fortezza Europa non meno brutali.

Valerio Nicolosi

Per l’Unione Europea e alcuni governi nazionali la proposta dei 12 paesi membri di alzare un muro europeo per fermare i migranti è arrivata come un fulmine a ciel sereno, nonostante tutte le azioni comunitarie e nazionali negli ultimi anni siano andate in questa direzione e i singoli paesi siano stati incentivati a difendere i propri confini interni ed esterni con l’Unione.

La lettera è firmata dai ministri di Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia. I 12 paesi rappresentano un blocco sovranista, a eccezione della Danimarca, che va oltre il gruppo di Visegrad e con il quale Bruxelles in futuro dovrà fare i conti. Il ritorno dei talebani in Afghanistan e le pressioni di Lukashenko sui confini di Polonia e Lituania sono stati il pretesto per i 12 paesi per chiedere la costruzione di un muro lungo la frontiera europea.

La commissaria agli affari interni Ylva Johansson a margine della riunione dei ministri degli interni europei ha dichiarato: “Sono d’accordo che bisogna rafforzare la protezione dei nostri confini esterni. Alcuni Stati membri hanno costruito delle strutture di protezione e posso capirlo. Se bisogna utilizzare i fondi Ue per fare questo devo dire di no”, come a dire “siamo con voi, ma agite in autonomia”.

Un’ipocrisia che mette Bruxelles dalla parte dei “buoni” davanti all’opinione pubblica ma la fa essere “comprensiva” con i governi europei, in piena linea con le dichiarazioni del marzo 2020 della presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, quando sul confine tra Grecia e Turchia definì la Grecia “scudo d’Europa”, dimenticandosi che dal 2016 la stessa Unione Europea ha stanziato 6 miliardi di euro a favore di Erdogan per fermare i migranti, anche prima di incontrare “lo scudo”. Ne avrebbe stanziato un altro mezzo milione di lì a poco, nonostante le indignazioni per il “sofà gate” della quale è stata protagonista passiva lo scorso aprile.

Ed è proprio qui l’ipocrisia: chi alza muri viene visto come il sovranista e xenofobo, che non vuole aiutare chi scappa dalle guerre in corso, mentre i sani progressisti pagano qualcuno per chiudere la rotta con un muro invisibile fatto di accordi con paesi terzi, dove i diritti fondamentali non vengono rispettati. È il caso della Libia con l’Italia prima e con l’Unione Europea poi, è il caso della Turchia di Erdogan, al quale non è stato chiesto nulla sulle condizioni dei 5 milioni di profughi provenienti principalmente dalla Siria e dall’Afghanistan e che quando sono fortunati riescono a trovare lavori in nero e sottopagati, in alternativa c’è la fame e i campi. Un caso simile ma diverso è quello della Bosnia, dove Bruxelles ha stanziato oltre 100 milioni negli ultimi tre anni per costruire e accogliere i migranti nei centri situati principalmente nel cantone di Una-Sana, nel Nord-Ovest del paese. Ultimo in ordine di tempo il nuovo campo di Lipa, sorto dalle ceneri del vecchio campo andato a fuoco lo scorso dicembre, lasciando centinaia di persone al gelo dell’inverno bosniaco. Vista la posizione totalmente isolata, a 30 minuti di macchina dalla prima città, e le dimensioni triplicate rispetto al passato, sembra una soluzione per far “sparire il problema”, chiudendo gli altri centri sparsi per il cantone per concentrare tutto a Lipa, lontano dagli occhi dei bosniaci.

Di ipocrisie se ne trovano anche a pochi chilometri da Lipa, dopo aver passato il confine con la Croazia, altro “scudo d’Europa” che nonostante ormai migliaia di testimonianze dimostrino violenze continue della polizia croata, Bruxelles non è mai intervenuta ma anzi: con una fuga di mail dalla Commissione Europea il Guardian nel 2020 ha denunciato che alti funzionari europei sapessero delle violenze e che hanno preferito tacere, anche per non mettere a repentaglio i fondi europei destinati a Zagabria, per i quali uno dei vincoli era il rispetto dei diritti umani lungo la frontiera.

Nei giorni scorsi è stato pubblicato un video che fa parte di un’inchiesta di diverse testate giornalistiche europee, dove si vede un poliziotto con il volto coperto picchiare i migranti. È la prima volta che c’è un documento simile ma le ossa rotte e le ferite sui corpi dei migranti respinti in Bosnia erano già una testimonianza eloquente.

Sempre su quella rotta c’è la Slovenia che ha da poco terminato la costruzione di circa 50 chilometri di barriera lungo il fiume Kolpa, confine naturale con la Croazia, fatta di rete e filo spinato. Un muro interno all’Europa quindi, che serve a fermare il flusso migratorio diretto verso Trieste e da lì verso il Nord Europa.

In Libia la situazione negli ultimi giorni è drasticamente peggiorata: le milizie legate al Ministero degli Interni hanno fatto dei rastrellamenti a Gargaresh, una zona di Tripoli abitata principalmente da migranti, i quali sono stati arrestati e portati nei centri di detenzione, dove secondo la commissione d’inchiesta voluta dalle Nazioni Unite “vi sono fondati motivi per ritenere che in Libia siano stati commessi crimini di guerra e che le violenze perpetrate nelle carceri e contro i migranti possono costituire crimini contro l’umanità”. Carceri che vengono finanziati in larga parte dalla cooperazione italiana che in passato ha stanziato 6 milioni di euro da destinare a delle ONG per la gestione di questi centri di detenzione. In totale l’Italia ha investito 210 milioni di euro dal 2017 a oggi, circa un decimo sono andati alla cosiddetta Guardia Costiera libica, composta anch’essa da milizie, e che, secondo un emendamento voluto dal segretario PD Enrico Letta in fase di votazione del finanziamento verso la Libia, la gestione del guardacosta dovrebbe passare a Bruxelles, ottenendo continuità ma liberando l’Italia da questo accordo vergognoso.

La stessa cosa accade più a Ovest, tra Spagna e Marocco, dove il secondo svolge il ruolo di gendarme oltre confine.

L’ipocrisia europea sta nel fatto che Italia, Spagna, Slovenia e Croazia non sono tra i paesi firmatari ma tra quelli contro il muro e che Bruxelles dichiara di essere contraria al progetto ma al tempo stesso ha aumentato il budget dell’Agenzia di controllo delle frontiere (Frontex) da 333 milioni nel 2019 a 1,1 miliardi nell’anno in corso, con una crescita prevista fino a 1,9 miliardi di spesa nel 2025 per il pattugliamento e il controllo delle frontiere esterne, come se termo scanner, droni, polizia e altri modi di difendere la Fortezza Europa dai migranti fossero meno brutali di un muro.



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