Nella valle del Belice contadini e braccianti lottano per la loro dignità

A Campobello di Mazara, in Sicilia, la raccolta delle olive da mensa è la rappresentazione plastica dello sfruttamento padronale nei campi. Da anni, lavoratori e lavoratrici sono impegnati in azioni di lotta e rivendicazione di diritti e dignità.

Maurizio Franco

Campobello di Mazara, Trapani, Sicilia. Nella valle del Belice, l’olivicoltura ha origini antiche: furono i greci delle colonie ad impiantare per primi i chicchi verdi che avrebbero reso la piana famosa in tutta il mondo. Qui, a Campobello, a Castelvetrano e a Partanna si produce il 42 per cento delle olive da tavola consumate in Italia: la Nocellara del Belice è il prototipo agricolo Dop dell’oliva da mensa. Ma la sua raccolta – per molti che la vivono da vicino, sulla propria pelle – è la rappresentazione plastica dello sfruttamento padronale nei campi.
“La giornata lavorativa inizia alle 7 e si conclude alle 16. Le olive vengono raccolte a mano in cassette da 20 chilogrammi, ogni lavoratore raccoglie giornalmente una media di 12 cassette ed è generalmente retribuito a cottimo, circa 4,5 euro a cassetta, ovvero tra i 20 e i 30 centesimi al chilo. Il prezzo delle olive riconosciuto al produttore è di circa 1,30 euro al chilo, a cui vanno tolti i costi per la raccolta”. Questo è un estratto del dossier “Le nostre braccia, i nostri diritti”, un documento rivendicativo su agricoltura, lavoro e diritto all’abitare a cura della Casa del Mutuo soccorso Fuori Mercato Sicilia, con i contributi di diverse sigle dell’attivismo e del sindacalismo indipendente, attive nelle campagne del Sud Italia. Un’indagine collettiva sviluppata “a partire dalle pratiche e dalle proposte dei e delle braccianti” per mostrare le contraddizioni di una filiera che genera lavoro schiavistico e caporalato. E per dimostrare la capacità organizzativa degli operai agricoli migranti, in grado di lottare per un altro mondo possibile. Per un modello di produzione alternativo con cui minare il potere economico e commerciale della Grande distribuzione organizzata (Gdo) sulle filiere agroalimentari. Il dossier su questo punto è esplicito. “Inserire nell’agenda politica nazionale e internazionale politiche volte a riconoscere la responsabilità sociale dei grandi produttori e della Gdo che producono sfruttamento e devastazioni ambientali”.
Fuori Mercato è un’associazione sindacale “a insediamento multiplo” – definizione coniata dall’intellettuale socialista Pino Ferraris -, presente in tutto il Paese: case del mutuo soccorso e sportelli di autodifesa sindacale per costruire legami di solidarietà tra soggetti che subiscono il giogo dell’oppressione e per fomentare collettivamente il conflitto nelle forme più disparate.

 

La scintilla
Nella notte tra il 29 e il 30 settembre 2021 un incendio divorò l’accampamento dell’ex Calcestruzzi Selinute: una vecchia struttura abbandonata tra Castelvetrano e Campobello di Mazara. Circa 300 persone avevano trovato rifugio negli hangar della fabbrica dismessa durante la stagione dell’oliva da tavola. Omar Baldeh morì tra le fiamme. Originario della Guinea Bissau, lavorava come raccoglitore in una delle tante aziende disseminate per la valle trapanese. Segregato, ghettizzato e costretto all’infamia di una baraccopoli, considerato soltanto manodopera a basso costo tra le braccia nodose e gli arbusti degli olivi secolari. Nel 2013, un’altra tragedia aveva scosso le profondità agricole della provincia siciliana: Ousmane Diallo, bracciante proveniente dal Senegal, travolto dall’esplosione di una bombola a gas, era morto in ospedale per le ustioni riportate. Con altre 600 persone viveva nel ghetto di Erbe Bianche, dal 2008 dimora invisibile degli sfruttati. “Al campo fatto di tende di plastica non ci sono bagni, acqua, né illuminazione”, riportava il sito de La Repubblica. L’insediamento informale fu sgomberato poco dopo.

Il rogo in cui Baldeh perse la vita segnò la storia delle mobilitazioni bracciantili nella valle del Belice. La rabbia e l’odio sedimentati dopo anni di esclusione sociale, discriminazione e razzismo. “I braccianti hanno preso la parola in modo determinato e forte la stessa notte in cui nell’incendio hanno perso risparmi, vestiti e documenti a causa dell’incuria strutturale che ha determinato il ritardo nei soccorsi e la mancanza di fonti d’acqua per potere domare le fiamme”, scrisse su Jacobin Italia Martina Lo Cascio, sociologa all’università di Padova e militante di Contadinazioni, addentellato di Fuori Mercato. “Ancora una volta dopo 8 anni di ricerca etnografica e militanza a sostegno dei braccianti, impariamo l’ascolto, la necessità di riconoscere modalità e forme organizzative per diventare solo dopo solidali, come strumenti per le lotte diverse che si intrecciano”.
Quella volta, alla notizia di una possibile ricollocazione in un albergo, i lavoratori si mossero in corteo: una fiumana di slogan e di corpi si snodò per via Selinunte raggiungendo l’ex oleificio Fontane d’oro, un bene confiscato alla mafia, da adibire a campo con le tende dell’Unhcr.
I braccianti entrarono e pretesero l’autonomia. L’autogestione operaia prese forma. Il sindacato Fuori Mercato si mise a disposizione, come nell’aprile 2020 quando allestì la campagna “portiamo l’acqua al ghetto” per ribadire “la trasformazione qui ed ora e di questo sistema che produce sfruttamento per contadini e lavoratori”. Le questioni centrali su cui la manifestazione premeva: “Vogliamo rimanere tutti insieme” e “vogliamo autogestire e autodeterminare”. Vivere secondo le proprie regole, senza il controllo da parte delle istituzioni e delle forze di polizia.

Le condizioni degli sfruttati
Lavoro nero. E lavoro grigio: gli strali dell’illegalità vengono occultati da contratti fittizi dove le giornate segnate non corrispondono alle giornate concretamente lavorate. “Nella sfera del lavoro grigio, il contratto, piuttosto che essere uno strumento di tutela per il lavoratore e di contrasto dello sfruttamento, diventa una tutela per il datore di lavoro”, scrivono gli attivisti nel report. “Con gravissimi effetti a danno dei braccianti che non soltanto vengono privati dell’indennità di disoccupazione ma, non potendo provare effettivo reddito lavorativo, incontrano difficoltà nell’ottenimento o nel rinnovo del titolo di soggiorno”. Durante la stagione di raccolta – da settembre a novembre – confluiscono circa 1.500 persone nel bacino agricolo del trapanese. Vulnerabili e ricattabili per lo status giuridico di richiedenti asilo. Marginalizzati ai confini dei centri urbani.
Una delle rivendicazioni poste dagli attivisti siciliani di Fuori Mercato è il riconoscimento della necessità di un presidio sindacale “che vigili sulle modalità di incontro tra domanda e offerta di lavoro con il supporto del collocamento pubblico e per contrastare il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori”. Sul tema dell’abitare, “la proposta è quella di istituire dormitori, affitti condivisi e, più in generale, che i comuni di Campobello e Castelvetrano operino una mappatura delle case e dei beni sfitti da anni da poter affittare ai lavoratori o dare in gestione ad associazioni”, sottolinea il dossier.
Autonomia e indipendenza. “Chi quest’anno si assume la responsabilità di farli tornare alla ex Calcestruzzi, tra i resti dell’incendio e una quantità enorme di immondizia? Chi si prende la responsabilità non aprire il cancello di Fontane d’oro se non solo in seguito ad un affidamento ad un soggetto terzo retribuito per commissariare le loro vite”, si sono chiesti gli attivisti sindacali all’indomani dell’anniversario della morte di Omar Baldeh.
Il 30 settembre scorso, una manifestazione ha attraversato il cuore produttivo della valle del Belice per ricordare il compagno ucciso dalle fiamme e rivendicare diritti ancora negati. “Lo ricorderemo per le vie della città perché non è retorica, ma il punto politico centrale. Dire che i lavoratori non sono braccia da spremere ma un soggetto, un corpo che ha delle cose da dire sia sul qui ed ora, sia su cambiamenti strutturali per quanto riguarda l’abitare e il lavoro”, ha detto Saverio Cudia di Contadinazioni nella conferenza stampa di lancio della mobilitazione, riportata dal portale Melting  Pot Europe. Il giorno stesso della manifestazione, i braccianti hanno ottenuto un incontro in Prefettura. L’istituzione li ha informati sui progetti messi in campo per fronteggiare l’assoluta precarietà abitativa a cui sono costretti. Altre cinquanta casette verranno montate all’interno dell’Ex Oleificio – “non si sa dove potranno essere montate né chi le gestirà” -, dove verrà istituito un presidio del centro per l’impiego. È stato imposto il divieto di accesso a chi è sprovvisto di permesso di soggiorno valido mentre sarà possibile collocare, di fronte al campo, cucine autogestite. Insoddisfazione dei lavoratori e rilancio della mobilitazione. “Non smettiamo di chiedere tutt* insieme che Fontane d’Oro sia aperto a tutte le persone a prescindere dal loro status giuridico. Le istituzioni e la città di Campobello hanno in questi giorni sentito le voci dei lavoratori e di chi li sostiene, riconoscendoli come interlocutori” , scrive Contadinazioni sul proprio profilo Facebook. “Questo è un primo passo che richiederà in ogni caso il coinvolgimento di lavoratori e associazioni nella progettazione, per far sì che questi campi non diventino ghetti istituzionalizzati. Allo stesso tempo, le proposte del dossier presentate e sviluppate in questi giorni mettono le istituzioni – regionali, locali e prefettizie – di fronte a interventi che sono necessari e possibili”.

 

 



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