Nemici dell’antifascismo, nemici della Repubblica, nemici dell’Italia

Con la Costituzione, essere italiani, essere patrioti, essere antifascisti, diventa tutt’uno. Le polemiche intorno al 25 aprile ci dicono fino a che punto la democrazia italiana sia oggi a repentaglio.

Paolo Flores d'Arcais

Una festa nazionale è per definizione una festa di tutti. Tutti chi? Tutti i cittadini.
Il 25 aprile è festa nazionale, dunque di tutti i cittadini italiani.
Perché il 25 aprile è festa nazionale? Perché si celebra il giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Altra Italia dirama attraverso Radio Londra e le radio clandestine l’ordine di insurrezione generale “Aldo dice 26×1” (indicando l’una della notte tra il 25 e il 26 aprile 1945). In realtà in ogni regione e città e zona la Liberazione, le formazioni partigiane che scendono dalle montagne e i Gap urbani, avviene in momenti diversi, appena prima o nei giorni successivi.
Dunque il 25 aprile è la festa di tutti i cittadini italiani perché è la festa della vittoria delle formazioni partigiane sui nazisti e i fascisti loro alleati. (Vittoria, inutile dirlo, resa possibile dall’avanzata delle forze dell’Alleanza militare antifascista di Usa, Urss e Gran Bretagna in tutta l’Europa).
Aver scelto come feste nazionali il 25 aprile, vittoria della Resistenza, il 1 maggio, festa dei lavoratori, il 2 giugno, proclamazione della Repubblica (dopo un referendum che vede quasi la metà del paese schierarsi con la monarchia), vuol dire sottolineare che il fondamento della nostra Costituzione, ciò che ci lega insieme come con-cittadini, sono appunto momenti che sono stati di divisione ma che ora devono essere riconosciuti da tutti come PROPRI, interiorizzati come valori comuni, fuori e contro i quali si rifiuta la Patria, l’unica Italia legittima, l’Italia della Costituzione repubblicana.
Con la Costituzione, essere italiani, essere patrioti, essere antifascisti, diventa tutt’uno. La vittoria della Resistenza antifascista è infatti la Grundnorm della Costituzione italiana, il suo fondamento storico e morale. Se viene meno, è la Costituzione stessa che viene delegittimata.
Una democrazia resta solida solo se la sua Costituzione, e la di essa Grundnorm, sono ancora un vissuto comune e una memoria condivisa.
Le polemiche intorno al 25 aprile, iniziate già con il primo governo Berlusconi e oggi al diapason, ci dicono fino a che punto la democrazia italiana sia oggi a repentaglio. Se non fosse a repentaglio, infatti, TUTTI si riconoscerebbero nel 25 aprile, lo celebrerebbero come propria Festa, proprio perché vittoria della Resistenza antifascista.
Fino a che non sarà così, la democrazia in Italia resterà a repentaglio, vieppiù e vieppiù.Si obietta che tutto questo interessa sempre meno una maggioranza crescente di italiani, soprattutto nelle nuove generazioni. Ma questa è una debolezza ulteriore della nostra democrazia, che ci si dovrebbe impegnare a contrastare e sanare, non un motivo per considerare sorpassato il fondamento antifascista e resistenziale della nostra convivenza civile.
In Francia con la Rivoluzione del 1789 inizia una guerra civile che si trascinerà, aperta o latente, molto a lungo, fino a quando tutti i cittadini e tutte le forze politiche non si riconosceranno nella Rivoluzione e dunque festeggeranno il 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia, come la propria festa, festa nazionale, festa di tutti, e la Marsigliese, inno rivoluzionario, a suo tempo divisivo come non mai, come inno nazionale. Chi in Italia non opera con tutte le sue forze perché Resistenza e antifascismo diventino interiorizzato sentire comune, ethos radicato tra tutti e per tutti, sta lavorando per mantenere latente la guerra civile e riaccenderla almeno simbolicamente. L’a-fascismo è una delle forme in cui si opera contro tale ethos e dunque si propizia almeno simbolicamente il permanere e il riaccendersi della guerra civile. Una forma di a-patriottismo, visto che con la Costituzione repubblicana antifascismo e patria vengono a coincidere (il 25 aprile, vittoria della Resistenza antifascista, proclamata Festa nazionale).
Noi oggi abbiamo un governo che palesemente, e talvolta smaccatamente, e perfino sguaiatamente, non si riconosce nella Patria. Perché ha in mente una differente “patria”, non quella della Costituzione. Stupisce lo stupore di tanti, che per diversi motivi, non tutti abietti ma tutti sconsiderati, hanno cercato di rimuovere questa evidente verità: abbiamo un governo ex-post-neo-filo-para fascista, che per questo motivo non può riconoscersi nel 25 aprile, non può festeggiarlo davvero e per quello che è, giorno della vittoria della Resistenza antifascista sulle SS di Kesserling e sui repubblichini di Salò (tra i quali il “fucinatore” Almirante e altri fondatori del Msi).
La mancata memoria comune, fragilità della nostra democrazia che ogni autentico democratico si sentirebbe in dovere di contribuire a sanare, promuovendo la Resistenza a memoria comune, a Secondo Risorgimento, non nasce naturalmente col governo Meloni. O col governo Berlusconi. Nasce con la mancata epurazione dei fascisti da tutte le istituzioni nell’immediato dopoguerra, con la sciagurata amnistia voluta da Palmiro Togliatti in acquiescenza alla Dc, che nessuna legge Scelba potrà riequilibrare.
Per promuovere una memoria condivisa meriterebbe che nelle scuole si leggesse il recentissimo libro di Michela Ponzani, Processo alla Resistenza (Einaudi), per capire perché tale memoria, che può essere solo quella che interiorizza la Resistenza e l’antifascismo come valore comune, ancora non si sia radicata e anzi più che mai latiti.

Foto Flickr | Camera dei deputati



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