Usa: verso la prima donna nera alla Corte suprema

I profili delle tre giudici maggiormente accreditate per succedere a Stephen Breyer.

Ingrid Colanicchia

Il 26 gennaio scorso il giudice della Corte suprema Stephen Breyer – 83 anni, membro più anziano della Corte, nominato nel 1994 dall’allora presidente Bill Clinton – ha annunciato il suo ritiro, fornendo a Biden l’occasione per mantenere la promessa di nominare – per la prima volta nella storia – una donna nera alla Corte suprema, così come annunciato nel febbraio 2020, quando, pochi giorni prima di affrontare i rivali democratici alle primarie della Carolina del Sud (dove i neri costituiscono gran parte dell’elettorato del partito), aveva detto: «Non vedo l’ora di assicurarmi che ci sia una donna nera alla Corte suprema, affinché tutti siano effettivamente rappresentati».

Il ritiro di Breyer fornisce a Biden l’occasione per passare dalle parole ai fatti ma al di là del portato simbolico (non indifferente come mostrano studi e ricerche), i cittadini statunitensi cosa possono aspettarsi da questa nomina? Per rispondere a questa domanda, proviamo a dare uno sguardo ai profili delle tre giudici maggiormente accreditate: Ketanji Brown Jackson, Leondra Kruger e J. Michelle Childs.

Ketanji Brown Jackson, 51 anni, attualmente fa parte della Corte d’Appello degli Stati Uniti per il circuito District of Columbia, ma in passato ha lavorato due anni come difensore d’ufficio in rappresentanza di imputati indigenti (tra cui anche alcuni detenuti di Guantánamo accusati di terrorismo dopo gli attacchi dell’11 settembre), ed è stata vicepresidente della US Sentencing Commission, un organismo creato dal Congresso nel 1984 per aumentare la trasparenza nelle condanne penali federali. Elementi, questi ultimi, che oltre a renderla la candidata ideale per molti liberal garantirebbero a questa nomina ulteriori primati: Ketanji Brown Jackson non sarebbe solo la prima donna nera a far parte della Corte suprema ma anche il primo ex difensore pubblico federale dell’alta Corte e il primo giudice dopo Thurgood Marshall (il leggendario difensore dei diritti civili, ritiratosi nel 1991) con una vasta esperienza di difesa penale.

La Corte suprema ha infatti sempre sofferto di una carenza di giudici con esperienza nel campo della difesa penale. Sia i presidenti democratici sia quelli repubblicani hanno stipato la Corte di ex pubblici ministeri, scelta che, secondo gli osservatori, si sarebbe riflessa in una inclinazione “pro-procura” nella giurisprudenza della Corte, con decisioni che hanno limitato la tutela dalle perquisizioni illegali, eroso il diritto costituzionale contro l’autoincriminazione e protetto i poliziotti dalla responsabilità civile.

Come ricostruisce su Mother Jones la giornalista Stephanie Mencimer, benché la Costituzione garantisca agli imputati il diritto a un avvocato e questo sia un principio fondante del sistema legale americano, gli avvocati che si assumono questo compito sono, agli occhi di molti, moralmente discutibili quanto i loro peggiori clienti. Lo dimostra, tra i tanti casi, quanto sperimentato da Hillary Clinton durante la campagna elettorale del 2016, quando fu attaccata da Donald Trump per il suo lavoro come avvocato difensore nel lontano 1975.

Le stesse ragioni che rendono dunque Jackson la candidata ideale di molti, lastricano di ostacoli questa nomina, spianando invece la strada per quella di Leondra Kruger, giudice della Corte suprema della California. Con i suoi 45 anni è la più giovane delle tre candidate e potrebbe dunque servire alla Corte suprema più a lungo, consentendo a Biden di lasciare un’impronta duratura con quella che potrebbe essere la sua unica nomina alla Corte (il giudice Breyer è del 1938 e si passa con il secondo membro più anziano, Clarence Thomas, ben dieci anni).

Kruger ha un profilo più centrista, che potrebbe garantirle almeno un parziale sostegno repubblicano. E secondo i giuristi di tutto lo spettro politico il suo segno distintivo è la moderazione: «Dal suo arrivo, la Corte suprema della California, nota fino a un decennio fa per le sue divisioni, ha votato all’unanimità in quasi nove decisioni su 10».

I conservatori sembrano però non averle perdonato un argomento avanzato quando lavorava come avvocata nell’ufficio del procuratore generale nel caso “Hosanna-Tabor Evangelical Lutheran Church and School v. EEOC” discusso presso la Corte suprema (Kruger ha discusso ben 12 casi davanti all’alta Corte). In quella sede Kruger ha sostenuto – senza successo – che l’“eccezione ministeriale” del primo emendamento (che vieta la maggior parte delle cause in materia di lavoro contro organizzazioni religiose) non dovrebbe applicarsi quando le mansioni lavorative in questione sono per lo più secolari.

Il terzo nome che circola in questi giorni è quello della giudice del tribunale distrettuale federale della Carolina del Sud, J. Michelle Childs, che porterebbe un’altra forma di “diversità” all’interno della Corte: laureata alla University of South Carolina School of Law, sarebbe il primo giudice da decenni a questa parte a provenire da un’istituzione pubblica (otto degli attuali nove giudici, tutti tranne Amy Coney Barrett, laureata alla Notre Dame Law School, hanno studiato legge ad Harvard o Yale).

A 55 anni è però la più anziana delle tre e questo, come abbiamo visto, potrebbe rivelarsi un ostacolo non di poco conto.

Qualsiasi decisione prenderà Biden, quello che non ci si può attendere è un cambiamento nell’inclinazione ideologica della Corte: considerato che la maggioranza conservatrice è di sei giudici a tre, sostituire Breyer con un altro giudice liberal non cambierebbe infatti di una virgola l’attuale equilibrio.

Credit immagine: Ketanji Brown Jackson, foto di H2rty, via Wikimedia Commons (CC BY-SA 4.0); Leondra Kruger, foto di Lonnie Tague, via Wikimedia Commons; J. Michelle Childs, foto di U.S. District Court, District of South Carolina, via Wikimedia Commons.



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