Non c’è alternativa sostenibile all’auto elettrica

Il motivo per cui le auto elettriche non sono a impatto zero è che il resto dell’economia che gira intorno alla loro produzione non è a impatto zero.

Andrea Bedon

C’è una frase di Feynman molto utile come monito quando si tratta delle misure per contrastare il cambiamento climatico:
«Per una tecnologia che abbia successo, la realtà deve avere la precedenza sulle pubbliche relazioni, perché la natura non può essere imbrogliata.»
La pronunciò nell’ambito dei lavori della commissione che doveva chiarire le cause che portarono al disastro dello shuttle Challenger. In una dimostrazione molto scenografica, durante una conferenza stampa, il fisico immerse una guarnizione di quelle usate sullo shuttle in un bicchiere di acqua ghiacciata, mostrando che a basse temperature questa infragiliva e si rompeva. Feynman raggiunse questa conclusione solo dopo aver superato molte reticenze all’interno della NASA, dove in generale venne messa a nudo una gestione della sicurezza inadeguata e subordinata a logiche politiche.

Ma “la natura non può essere imbrogliata”, e anche se il programma spaziale doveva funzionare, anche se i responsabili dovevano non aver commesso errori, la guarnizione era stata fatta operare in condizioni inadeguate e lo shuttle esplose lo stesso.
Richiamo quell’episodio per tutti i parallelismi possibili con la discussione in corso in Europa, e in particolare in Italia, sul destino delle auto con motore a combustione. In Italia l’industria automobilistica possiede un indotto importante e il sistema economico ha l’interesse a mantenere questo valore senza rischiare scossoni. La lobby in questione, i cui interessi peraltro sono tendenzialmente stati tutelati con attenzione dall’attuale governo in carica, è riuscita a bloccare la normativa che avrebbe portato al fermo delle auto con motore a combustione interna dal 2035. Tra le ragioni a sostegno della posizione italiana, è stata più volte richiamata la possibilità di operare le auto “tradizionali” in maniera sostenibile.

Alle pubbliche relazioni farebbe molto bene che continuare a far funzionare auto a benzina e diesel fosse sostenibile. Ne sarebbero infatti felici il governo, le industrie, i lavoratori, il popolo italiano in generale che, in questo modo, non dovrebbe cambiare le proprie abitudini. Non a caso, si è visto manifestarsi un fronte molto rumoroso per sostenere queste argomentazioni anche con un certo proliferare di studi presentati come scientifici.

Di certo, anche un osservatore imparziale potrebbe trovarsi confuso nel dibattito, nonostante il risultato di un’indagine rigorosa non dia adito a dubbi di qualsiasi sorta: per smettere di emettere gas serra bisogna abbandonare i motori a combustione interna. Di seguito proveremo a capire come mai questa conclusione, che è quella accettata da tutte le grandi agenzie coinvolte nella definizione delle strategie per la transizione energetica, è l’unica che abbia senso.
È peraltro necessario premettere che nelle valutazioni di impatto ambientale “barare” è estremamente semplice: queste trattano sempre sistemi complessi, filiere globali, e a seconda di come si decida di pesare i fattori è possibile far pendere i risultati da una parte o dall’altra. La stessa complessità offre intrinsecamente appigli per rimescolare le acque e confondere le idee anche se, come già detto, se si parte da analisi rigorose non ci sono molti dubbi sul responso finale.

Un’auto, elettrica o a benzina, causa emissioni di gas serra sia per la sua stessa produzione che durante l’uso, bruciando combustibile. Nel caso di un’auto a benzina le emissioni durante l’uso sono facilmente definibili, calcolando quando carburante consuma per percorrere una certa quantità di strada. L’auto elettrica consuma energia elettrica di cui non è così immediato identificare l’origine. Il cosiddetto “energy mix”, cioè le fonti utilizzate in un dato momento per produrre l’energia elettrica di una nazione, variano non solo a seconda dei confini geografici ma anche dei momenti della giornata. Calcolare le emissioni di un’auto in Cina non è lo stesso che farlo in Costa Rica, una nazione che trae il 98% della sua elettricità da fonti rinnovabili. Calcolarlo per l’Italia nel 2020 non è lo stesso che per il 2030 perché da qui a sette anni vedremo un impennarsi della frazione rinnovabile nell’energy mix nazionale. Calcolarlo per l’Italia in inverno non è lo stesso che farlo in estate, considerato che nel nostro paese il potenziale solare è molto maggiore di quello eolico. È molto facile quindi capire come basti selezionare una certa nazione o un certo periodo storico per ottenere un risultato che rispecchia quello preferito dalle proprie pubbliche relazioni.

La confusione rischia di aumentare quando si aggiunge al conto anche l’emissione per la produzione del veicolo. La costruzione di un’auto elettrica è molto più complessa rispetto all’auto a benzina principalmente a causa della batteria, e le emissioni attualmente sono circa il doppio. Chiedendosi da dove arrivano queste emissioni, si scopre però che sono ancora una volta collegate alla produzione di energia: gli escavatori per estrarre le materie prime, le fabbriche che processano i materiali e quelle che producono i pezzi finiti, i mezzi per spostare queste merci intorno al mondo. Tenuto conto che queste fasi del processo produttivo avvengono in paesi in via di sviluppo, che sono anche quelli con la più bassa frazione di energia rinnovabile, è facile capire perché le emissioni sono così elevate. Queste sono però emissioni che si abbattono semplicemente producendo elettricità da fonte rinnovabile e usandola per alimentare i mezzi impiegati nella filiera (a parte le navi, quelle non sono elettrificabili così facilmente). Il motivo per cui le auto elettriche non sono a impatto zero è che il resto dell’economia che gira intorno alla loro produzione non è a impatto zero. Lo stesso vale per le auto a motore tradizionale.

La situazione attuale è ben riassunta da questo grafico dell’International Energy Agency (IEA), che presenta a livello globale i range di emissioni che può avere un’auto di una certa categoria (barra) e la media per ogni tipologia (pallino). Le emissioni sono in grammi di CO2 al chilometro. Ad esempio, i modelli di auto con motore a combustione (ICE) emettono al chilometro tra i 150 e i 250 grammi di CO2, con una media a livello mondiale poco oltre i 200; le auto elettriche a batteria oggi vanno dagli 0 ai 190 gCO2/km. Considerato che la produzione di energia elettrica transiterà massicciamente verso il rinnovabile, nel corso dei prossimi decenni le emissioni per le auto elettriche (BEV) si schiacceranno verso lo zero. Quelli con motore a combustione (ICE, HEV e PHEV) potranno scendere solo leggermente grazie al passaggio alle rinnovabili delle fasi di produzione.

auto elettrica

 

La posizione per la quale l’impatto di un veicolo elettrico sia anche solo comparabile a uno alimentato con derivati del petrolio sta diventando sempre più insostenibile, tanto che anche molti sostenitori dei motori a combustione interna si stanno rivolgendo a un’altra speranza, quella dei biocarburanti. Tuttavia, ci sono ottimi motivi per non seguire questa strada se non come rapida transizione limitata nel tempo.

I biocarburanti sono sostanze analoghe a benzina e diesel ottenuti a partire da carbonio biogenico: olii vegetali, zuccheri, scarti vegetali. Non c’è dubbio che il loro impatto sia inferiore a quello dei combustibili fossili, ma la loro disponibilità è limitata, molto più di quanto non lo sia quella di energia rinnovabile per la quale possiamo installare grandi estensioni di pannelli fotovoltaici e pale eoliche.

È stato menzionato a proposito delle navi che queste non possono essere facilmente elettrificate, una condizione che condividono con l’aeronautica. Nel contesto attuale, il 7% dell’area coltivabile a livello mondiale è dedicata alla produzione di biocarburanti di qualche tipo, senza peraltro che questi riescano a coprire una frazione significativa dei trasporti a livello globale (attualmente meno del 5%). Quella dei biocarburanti è una coperta molto corta, limitata in primo luogo dalla disponibilità di terreni agricoli e scarti forestali o di altro tipo da impiegare. Le simulazioni sugli avanzamenti futuri dicono che se si riuscirà a usare efficacemente l’energia dagli scarti, sviluppando processi molto più efficienti di quelli attuali, allora forse si riuscirà a destinarlo interamente a coprire il fabbisogno di energia di navi e aerei (settori definiti “hard-to-abate”) in congiunzione all’idrogeno verde. Purtroppo, su questi mezzi non è possibile installare un accumulo basato su batterie perché per la quantità di energia necessaria le batterie sarebbero troppo ingombranti e pesanti, siamo quindi forzati ad adottare altre modalità. Sempre nel momento attuale, le emissioni di gas serra del settore stradale sono oltre il triplo della quota dei settori navale e aviazione combinati. Immaginare di spostare il biocarburante dalle applicazioni “hard-to-abate” al trasporto su strada, facilmente invece elettrificabile con una batteria, vorrebbe dire che il resto del fabbisogno dovrebbe essere coperto da nuove estrazioni di petrolio. Pensare di usare biocarburante anche per le auto è nascondere la polvere sotto il tappeto. Può essere semplice ingannare l’opinione pubblica, ma ancora una volta la natura no, non può essere imbrogliata.

 

Foto Canva | Suwinai Sukanat’s Images



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