Non esistono più destra e sinistra? Falso!

Secondo un ritornello che si sente ormai da oltre trent’anni, la distinzione politica tra destra e sinistra sarebbe superata. Ma è davvero così? Pubblichiamo un capitolo dal libro “Si stava meglio quando si stava peggio. 20 luoghi comuni da sfatare” di Carlo Greppi (Chiarelettere).

Carlo Greppi

Due secoli esatti separano il 1789 dal 1989. Di nuovo la Rivoluzione francese, perché è lì che ha origine l’uso dei termini «destra» e «sinistra», metafore spaziali intese in senso politico per indicare «posizionamenti» e relativi valori. Infatti nell’Assemblea nazionale che segue la rivoluzione i «conservatori» siedono casualmente a destra, mentre i «progressisti», altrettanto casualmente, a sinistra. Per duecento anni questa divisione tiene perfettamente: ogni essere umano con coscienza politica si siede idealmente in un punto – più o meno a destra, a sinistra, o al centro – di quell’Assemblea che ha fatto da matrice. Poi, due secoli più tardi, crolla il mondo comunista: è la fine della Guerra fredda. Sette decenni dopo la Rivoluzione d’ottobre che nel 1917 aveva conquistato il potere in Russia, quel feroce regime che aveva sistematicamente tradito gli ideali dai quali aveva preso spunto svanisce di colpo, lasciando un’unica superpotenza a dominare, in apparenza, il pianeta: gli Stati Uniti. È da lì che, secondo un ritornello che si sente ormai da oltre trent’anni, «non esistono più destra e sinistra». Ma è davvero così?

Bisogna innanzitutto intendersi su cosa sia la «destra» e cosa la «sinistra», e per farlo viene in nostro soccorso un libricino di enorme successo, uscito per la prima volta nel 1994, proprio a ridosso della fine del blocco sovietico, intitolato appunto Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica. L’autore, Norberto Bobbio, è stato uno dei massimi scienziati politici del Novecento, e tra le tante cose ci chiede: «Come fai a dire che quell’oggetto non è né bianco né nero se non hai la minima idea della differenza tra i due colori?».[1] Proviamo a orientarci rapidamente tra i due termini. Considerato che le categorie politiche di destra e sinistra regolano da oltre due secoli il funzionamento della società in cui viviamo, Bobbio individua come carattere persistente della destra il ritenere «che le diseguaglianze tra gli uomini non solo non siano eliminabili o siano eliminabili soltanto soffocando la libertà, ma siano anche utili, in quanto promuovono la incessante lotta per il miglioramento della società»:[2] la destra, in altri termini, considera le diseguaglianze «sacre o inviolabili, naturali o inevitabili». Mentre la sinistra «ritiene che possano e debbano essere ridotte o abolite».[3] E questo al di là del diverso atteggiamento che possono avere nei confronti della libertà, che a destra come a sinistra è «il criterio per distinguere l’ala moderata da quella estremista»,[4] perché i regimi totalitari sono repressivi in entrambi i casi. Però, come Bobbio ha scritto in un altro libro dedicato proprio a Eguaglianza e libertà, «non è contraddittorio immaginare una società di liberi ed eguali» mentre lo è «immaginare una società in cui tutti siano potenti o gerarchicamente superiori. Una società che s’ispira all’ideale dell’autorità è necessariamente divisa tra potenti e non potenti».[5]

La sinistra lotta per l’uguaglianza, la destra per la superiorità; in breve: «La regola della sinistra è l’inclusione, salvo eccezioni, la regola della destra è l’esclusione, salvo eccezioni».[6] E, sottolinea Bobbio, l’uguaglianza è «l’unico criterio che resiste all’usura del tempo»[7] (abbiamo visto, infatti, che le società umane sono in diversa misura sempre basate sulla discriminazione). Naturalmente negli ultimi decenni sono molto cambiate le forme di partecipazione politica e di aggregazione: sono nati movimenti e partiti «mostruosi» nei quali coesistono tratti ideologici della destra e della sinistra, come già era accaduto con i fascismi e, in modo particolarmente evidente, con il nazismo delle camicie brune di Adolf Hitler, che nel 1920 decise di aggiungere l’aggettivo «nazionalsocialista» al Partito tedesco dei lavoratori. Il suo programma era infatti tiepidamente «socialista», al punto da dichiarare «una partecipazione agli utili nelle grandi imprese», così come, in una prospettiva riformista, che «tutti i cittadini hanno uguali diritti e uguali doveri»,[8] ma era anche sempre più decisamente «nazionale», vale a dire pronto a fare di tutto perché questi diritti fossero solo del «popolo tedesco», e non di chi era ritenuto diverso, straniero. Ma, esattamente come negli anni Venti del secolo scorso, nessuna persona di sinistra – ed è un dettaglio centrale – riterrebbe oggi di sinistra né i nazisti di ieri né uno di questi odierni mostri «rossobruni» (un grossolano aggiornamento del termine nazionalsocialista), mentre alle persone di destra fa molto comodo saccheggiare vagamente (alcuni) ideali della sinistra per poter poi dire «non esistono più destra e sinistra». Rimanendo di destra.

È proprio qui il nodo cruciale: a partire dalla fine del Novecento si è parlato spesso, e a ragione, di «crisi delle ideologie», di rimescolamento di pratiche e valori all’interno di uno scenario politico globale rimasto orfano di un contendente molto forte e visibile: l’Unione Sovietica. La «diade» destra-sinistra è però ancora qui. Come scrive sempre Bobbio, infatti, «la crisi del sistema sovietico avrebbe avuto come conseguenza, in questo caso, non la fine della sinistra ma di una sinistra storicamente ben delimitata nel tempo»,[9] tuttavia la sfida lanciata dalla Rivoluzione d’ottobre «è rimasta».[10]

Certo, quella sinistra è finita – e per fortuna, dati i suoi esiti ferocemente totalitari –, ma la «diade» sopravvive, ribadiamolo: sopravvivono le concezioni del mondo alle quali le persone che si ritengono di destra o di sinistra si ispirano. A guidare le persone di sinistra è (dovrebbe sempre essere) la spinta all’emancipazione – all’uguaglianza, appunto – di coloro che sono tradizionalmente esclusi da alcuni diritti fondamentali come le condizioni di vita materiali, il voto, l’istruzione, il lavoro, la salute, il viaggio, e cioè gli «oppressi» di cui parlava il filosofo Walter Benjamin:[11] coloro che stanno ai gradini più bassi della società, le donne, le persone omosessuali, gli stranieri, chi professa altre religioni. Al contrario, il richiamo alla tradizione – al mantenimento delle cose come sono, a partire dai privilegi – è sempre stato un ingrediente fondamentale della cultura di destra: quello che abbiamo fatto «noi» (ricordate?) è migliore, quello che c’è non si tocca. Neanche (soprattutto) le iniquità, le ingiustizie, le differenze di trattamento in base alle gerarchie sociali e alla provenienza geografica. Ed è scontato che negli ultimi trent’anni, data quasi ovunque la profonda crisi della sinistra che non riesce più a ritrovarsi in organizzazioni – soprattutto in partiti – forti che mettano in discussione proprio il potere e le discriminazioni, dato un predominio totale della destra (moderata o radicale), questa dica «quello che c’è non si tocca». I privilegi e le diseguaglianze devono restare tali, o devono aumentare: è così che va il mondo, è l’unica via possibile.

Ma finché ci saranno esseri umani «il cui impegno politico è mosso da un profondo senso di insoddisfazione e di sofferenza di fronte alle iniquità delle società contemporanee» questi «terranno in vita gli ideali che hanno contrassegnato», da quando esistono, «tutte le sinistre della storia»,[12] scrive Bobbio, aggiungendo che «l’appartenenza al comune gruppo umano è ciò che io considero il fondamento del valore ideale dell’eguaglianza».[13] A distanza di molti anni gli avrebbe fatto eco Edgar Morin (il sociologo che ci invita a «conoscere la conoscenza», ricordiamolo) su Twitter, ribadendo che è «essenziale» prendere definitivamente coscienza della nostra «identità terrestre».[14]

Un tema che, a proposito di cambiamento climatico da arrestare a ogni costo, riguarda il nostro stare al mondo, perché, come ci spiega il filosofo, sociologo e antropologo della scienza Bruno Latour, un conto è vedersi come umani nella natura, diverso è invece definirsi «terrestri tra terrestri», legati in sostanza tra noi ma anche alla Terra.[15] Se vogliamo continuare a lottare per un mondo più giusto dobbiamo innanzitutto poterci vivere, perché «non c’è un pianeta B» sul quale continuare a scrivere la nostra storia.

NOTE

1. Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma 2004 (I ed. 1994), p. 12 [Risposta ai critici del 1995].

2. Ivi, p. 20 [Risposta ai critici del 1995].

3. Ivi, pp. 38-39 [Introduzione alla nuova edizione 1999].

4. Ivi, p. 143.

5. Norberto Bobbio, Prefazione in Eguaglianza e libertà, Einaudi, Torino 1995, pp. XIII-XV.

6. N. Bobbio, Destra e sinistra, cit., p. 45 [Introduzione alla nuova edizione 1999].

7. Ivi, p. 118.

8. Si veda: I 25 punti della Dap, in Pier Giorgio Zunino, Fascismo e nazionalsocialismo, Società Editrice Internazionale, Torino 1972, pp. 81-83 (da Claude Klein, La Repubblica di Weimar, Mursia, Milano 1970 [ed. orig. Weimar. Questions d’histoire, Flammarion, Paris 1968]).

9. N. Bobbio, Destra e sinistra, cit., p. 65.

10. Ivi, p. 148.

11. Walter Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi, Torino 1997 (ed. orig. in Briefe, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1966).

12.  N. Bobbio, Destra e sinistra, cit., p. 23 [Risposta ai critici del 1995].

13. Ivi, p. 17.

14. «Il est essentiel de prendre conscience de notre identité terrienne» (Twitter, 13 ottobre 2019).

15. Bruno Latour, Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Raffaello Cortina, Milano 2018 (ed. orig. Où atterrir? Comment s’orienter en politique, La Découverte, Paris 2017), p. 112.

Carlo Greppi, storico e scrittore, è co-fondatore dell’associazione Deina e membro del Comitato scientifico dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, che coordina la rete degli Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea in Italia.

 

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