Novantotto anni di “Guerra alla guerra”

Lo sconvolgente libro fotografico pubblicato nel 1924 dall’anarchico, ebreo e obiettore tedesco Ernst Friedrich sta per compiere un secolo, e viene oggi riproposto in Italia da WOM edizioni.

Mariasole Garacci

Parlare di pace in tempo di guerra è scandaloso, inappropriato, idealistico. Ci sono stati momenti storici in cui farlo è stato persino illegale, come lo è tuttora, in alcuni Paesi, chiamare la guerra con il suo nome. “Guerra e pace”, termini logorati dalla retorica, dalla propaganda dei regimi; o anche “guerra e mondo”, l’inganno in cui potrebbe trarre una lettura omofona del titolo del romanzo di Lev Tolstoj, Война и мир: in ogni modo, binomi che sembrano ineluttabili. Proprio per questo è necessario parlare di pace, usare questa scandalosa parola. Un modo per farlo è tornare a sfogliare le pagine di Guerra alla guerra di Ernst Friedrich, un volume fotografico fondamentale nella bibliografia pacifista di tutti i tempi, letto e ampiamente citato da Bertolt Brecht e Susan Sontag, uscito la prima volta in Germania nel 1924, oggi coraggiosamente ripubblicato in Italia da WOM edizioni.
Ernst Friedrich era un anarchico ebreo, antimilitarista e obiettore di coscienza che per non arruolarsi e non partecipare alla carneficina della Prima Guerra Mondiale affrontò la reclusione in carcere, il manicomio forzato e infine l’esilio. Nel 1925, aprì a Berlino il primo “Museo Anti-Guerra”, occupato nel 1933 dalle SA che ne fanno la loro prima sede ufficiale e luogo di torture. Il museo è stato riaperto nel 1985 dal nipote di Friedrich, ed è tuttora gestito da un gruppo di volontari e attivisti che si occupano di programmi educativi rivolti ai giovani e di tenere aperta al pubblico una collezione di oggetti e documenti risalenti ai due conflitti mondiali, inquietanti giocattoli in tema bellico comunemente diffusi in Occidente dal secolo scorso a tutt’oggi, materiali riguardanti i molti conflitti attualmente in corso nel mondo e le nuove armi chimiche e batteriologiche.
Guerra alla guerra è una galleria degli orrori, una nutrita serie di immagini fotografiche che documentano senza pietà gli effetti della guerra, delle armi, delle violenze, ma anche di una mentalità bellicista che glorifica il nazionalismo e il militarismo ed esaspera i conflitti a scopo di guadagno o di mantenimento del potere, nell’ipocrita richiamo all’orgoglio, all’eroismo e al patriottismo ma sempre nel rispetto e nella conservazione dei rapporti tra classi sociali ed economiche. Effetti che, infatti, si manifestano in tutta la loro violenza sulle vittime più povere e innocenti, sui morti di tifo e di stenti, sulle donne abusate; ma anche sui soldati mandati al fronte come carne da macello, sui loro volti orrendamente sfigurati dalle granate, sui loro arti amputati, sulle loro esistenze distrutte da traumi fisici e psicologici alienanti. Quella messa insieme da Friedrich è un’iconografia degna delle incisioni di Jacques Callot e di Francisco Goya, di un incubo infernale (non a caso alcuni ritratti di reduci della Prima Guerra Mondiale figuravano in uno dei capitoli finali della recente mostra Inferno alle Scuderie del Quirinale, a cura di Jean Clair).

Il volume del resto, esce negli anni in cui Remarque scrive Niente di nuovo sul fronte occidentale (pubblicato tra il 1928 e il 1929 con un enorme successo tra lettori di tutte le lingue, poi censurato in Germania e in Italia dai regimi nazista e fascista): chi è stato al fronte ne ritorna mutato, invaso per sempre da orrori che devono essere condivisi e testimoniati per infrangere la retorica logorante in cui noi stessi siamo oggi coinvolti. Testimoniarli anche con le immagini, come fanno Otto Dix e George Grosz. Quest’ultimo, che nei suoi dipinti più noti trasformava finanzieri e politici tedeschi in orrendi maiali o in automi spaventosi, sa usare l’arte come testimonianza oggettiva raffigurando in dipinti e incisioni gli stessi volti sfigurati dei reduci di guerra mostrati da Ernst Friedrich nel libro, in nulla esagerando o cedendo all’iperbole simbolica del suo consueto linguaggio. Tra il 1929 e il 1932, Otto Dix dipinge un apocalittico Trittico della guerra oggi nelle Staatliche Kunstsammlungen di Dresda: una composizione che fa il verso ai polittici sacri della tradizione rinascimentale, ma in cui la morte e deposizione dei poveri cristi avviene senza gloria né consolazione, nel paesaggio infuocato e tossico di una guerra totale (quella fine del mondo orrendamente e banalmente divenuta un modo dire corrente); su questo sfondo, anonimi soldati marciano in fila compatta verso il nemico, feriti e cadaveri smembrati dalle bombe si contorcono e marciscono sulle macerie irriconoscibili di un abitato, e un uomo coperto di cenere tenta di trascinare il corpo del compagno lontano dal gorgo di una mostruosa detonazione.

Un’atmosfera che evoca, ora, i nomi diabolici e leggendari delle nuove armi a disposizione di NATO e Russia sul terreno ucraino: Satan, Sarmat, Excalibur. Prodotti di quella sempre fiorente industria oggi, del resto, rappresentata anche politicamente da personaggi che sembrano incarnare “i pilastri del potere” satireggiati da Grosz, in democrazie assuefatte ai più scandalosi conflitti di interesse.

Ernst Friedrich
Guerra alla guerra
240 pagine, 23.90 euro
WOM edizioni, 2022



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