“O la borsa o la vita”: un manuale per comprendere la Cop

A seguito dell’ennesima inconcludente Cop sul clima, che dopo trent’anni di negoziati rimane uno spazio di mancato compromesso, si continua a testimoniare una crescente influenza del mondo della finanza, che vede il collasso eco-climatico come una eccezionale opportunità. “O la borsa o la vita” di Andrea Baranes è uno strumento utile per rispondere a coloro i quali pretendono di risolvere la crisi con i medesimi meccanismi che l’hanno causata.

Daniele Barbieri

Come previsto la Cop-28 ha restituito il nulla, cucinato in varie salse. Una sigla usata dai media come ovvietà; per esteso significa un banale Conference of the State Parties (degli accordi climatici).
Uscito a ottobre, il libro di Baranes – Ponte alle grazie: 288 pagine per 16,90 euri – si intitola «O la Borsa o la vita» con un sottotitolo drammaticamente chiaro: “banche e finanza internazionale: i peggiori nemici del clima”. Ed è il modo migliore per capire come le Cop siano nemiche di se stesse. E pericolose. Qualche sguardo veloce fra le pagine.
Nella secca introduzione la questione è inquadrata così: “in pochi anni il sistema finanziario ha conosciuto un proliferare di iniziative per il clima, di impegni per l’ambiente […] salvo poi scoprire che ogni anno lo stesso sistema finanziario sostiene l’industria dei combustibili fossili con centinaia di miliardi di dollari».
Un minimo di cronologia. “Il percorso della comunità internazionale per agire contro i cambiamenti climatici è iniziato decenni fa”. Nel 1972 c’è il famosissimo rapporto del Club di Roma su “i limiti dello sviluppo” e nel 1988 la Risoluzione 43/53 dell’Assemblea Generale Onu con cui “si chiedeva agli Stati di adottare azioni urgenti e necessarie… nel quadro di un accordo globale”. Nel 1992 iniziano le Cop con scadenza (più o meno) annuale. Nel 2015 viene datata la svolta con «gli accordi di Parigi» della famosa o forse fumosa Cop-21: se una minoranza giudicò insufficienti e tardive le decisioni di Parigi oggi la ex maggioranza degli entusiasti deve registrare che comunque le promesse non sono state mantenute mentre via via le nuove decisioni si sono vanificate. “Trent’anni di negoziati senza arrivare a una soluzione sono un’enormità” sintetizza Baranes. Nel frattempo domina il greenwahing, insomma una mano di vernice a coprire lo scenario pieno di cimiteri, catastrofi e nuovi abissi. Tanta pubblicità (“io salvo il clima, lo giuro sulla testa dei tuoi figli”) per zero controlli: se pure banche e finanza si prendono impegni poi è l’1 o il 2 per cento che davvero agisce. Addirittura la Danone è arrivata a licenziare un suo dirigente che prendeva troppo sul serio la questione climatica e (dunque) poteva far calare un pochino i profitti.
La maggioranza dei mass media continua a spiegare che “il libero mercato” vorrà e saprà auto-correggersi anche in mancanza di accordi vincolanti, di controlli e di un minimo sistema di premi e/o punizioni per arginare chi costruisce o consolida danni al pianeta.
Nelle conclusioni Baranes cita “uno dei detti più celebri attribuiti ad Albert Einstein” ovvero: “non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”.
Una battuta, attribuita agli economisti più scettici, sostiene che nessuno si interessa davvero al futuro perché “nel lungo periodo saremo tutti morti”. Può darsi che in parte sia vera l’idea che pochi pensano ai posteri, però nel caso del collasso eco-climatico si tratta dei nostri figli più che dei nipoti e di noi stessi se siamo giovani. Se non iniziamo ad agire nell’immediato allora è “nel breve periodo” che saremo moribondi o inguaiatissimi. Dobbiamo pensarci tutti noi perchè il sistema economico attuale non solo ragiona sul massimo profitto ma quasi esclusivamente pensa agli affari del domattina, addirittura scommettendo (Baranes lo spiega benissimo: la finanza ragiona ormai “nell’ordine del millesimo di secondo”) su come far soldi con le prossime catastrofi. Così riassume l’autore: “la follia dell’attuale sistema finanziario è che la speculazione è talmente dominante che essa stessa genera instabilità». Il mondo a rovescio: “la domanda non è più se alcuni strumenti finanziari possano contribuire quando parliamo di clima ma se i cambiamenti climatici possono diventare un’opportunità di profitti per gli squali della finanza”. Insomma un “completo ribaltamento di ruoli e priorità”.
A proposito dell’informazione e di chi la controlla è significativo che in un libro così documentato siano pochissime le citazioni dei “soliti” fabbricanti di notizie e opinioni mentre tantissimi rimandi vanno a riviste on line praticamente sconosciute, come l’ottima Valori.
Umberto Eco nel 1964 divenne quasi una star per il libro Apocalittici e integrati dove i primi erano disperatissimi e pensavano che nulla si potesse fare mentre i secondi sentenziavano che il nostro è il migliore (almeno per loro) dei mondi possibili. In mezzo ci potrebbero essere riforme e/o rivoluzioni? C’è chi ha pensato e continua a credere ai gesti – indivuali e/o collettivi – che possono cambiare il domani. Ci rammenta Baranes che di fronte al collasso eco-climatico in corso qualcosa si può: smascherare il greenwashing, ad esempio. O costringere le banche e la finanza internazionale (con media annessi, un tanto al chilo) verso un cambio di rotta. Continuare instancabilmente ad agire dal basso: “agire come una contro-lobby rispetto a quella finanziaria, legata a doppio filo a quella dei combustibili fossili e che ha preso in ostaggio istituzioni e vertici internazionali, a partire dalle Cop”. C’è un ragionamento interessante, quasi un paradosso, che Baranes ripete più volte nel libro: se nulla finora si è davvero mosso significa che il sistema finanziario si è impegnato al massimo perchè ha paura che come certi giganti basti il minimo sgambetto per far venire giù “sua altezza”. Ma insistere non è un’opzione o una pratica per coraggiosi: è la penultima speranza, la necessità.
Sono convinto che questo libro segnerà chi lo legge. Un utilissimo ripasso e scavo per chi già si è posta seriamente la questione “ecologico-climatica” ma soprattutto un salutare choc per le tante persone che si lasciano incantare da disinformazione, pigrizia, assuefazione al non ragionare e al fatalismo.
La buona notizia (piccola, diciamo la verità) è che in basso molte persone si sono convinte che per fermare la catastrofe climatica occorre buttar via quei cattivi pensieri che tanti danni hanno generato. La cattivissima notizia è che per ora è saldamente al comando del pianeta – vedi Cop 28 – chi finge di risolvere il problema mentre continua ad aggravarlo.



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