Ci può essere un obbligo giuridico alla vaccinazione?

La questione, spinosa, si pone non tanto su un piano individuale ma in termini di salvaguardia del bene collettivo della salute. Perché la mia libertà di non vaccinarmi finisce dove comincia quella dell’altro di non essere contagiato.

Mario Riccio

Le misure decise dal governo Macron in Francia, che per convincere il maggior numero di persone possibile a vaccinarsi ha deciso di limitare fortemente le libertà dei non vaccinati introducendo un “quasi-obbligo”, stanno facendo molto discutere nel nostro Paese, diviso tra chi, temendo soprattutto la diffusione delle varianti, vorrebbe introdurre il “modello Macron” e chi definisce queste misure liberticide.

Che la vaccinazione sia – al momento – l’unica arma farmacologica per ridurre la diffusione, la morbilità e la mortalità della Covid appare incontrovertibile. Essa presenta però due problematiche: la reperibilità sul mercato, e la relativa distribuzione, e la quota di chi la rifiuta.

Sul secondo punto la questione ha risvolti di varia natura: culturale, giuridica, etica e per alcune categorie – tra le quali i sanitari – anche deontologica.

Di sanitari che disconoscono la scienza le cronache sono piene. Basti pensare ai medici omeopatici o coloro che, abbracciando le teorie della cosiddetta medicina antroposofica, fanno morire i loro pazienti. E anche i numeri del personale sanitario che rifiuta la vaccinazione sono impressionanti. La moda no vax si sta peraltro diffondendo anche in un altro settore delicato per la ripresa del Paese: quello scolastico. D’altronde non dimentichiamo che in Parlamento siedono rappresentanti di partito che di tali convinzioni – assieme a quelle relative a scie chimiche e microchip sottocute – si fanno vanto nei propri curriculum.

Il punto però è un altro: ci può essere un obbligo giuridico alla vaccinazione? Gli stessi giuristi sono divisi e chi scrive non ha certo le competenze per dirimere la questione. Appare però quantomeno singolare che tutti gli illustri contendenti di questa querelle giuridica facciano riferimento – ognuno a supporto delle proprie ragioni – allo stesso passaggio della Costituzione: l’articolo 32, che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […] nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Gli uni sottolineano la parte dell’articolo che stabilisce che lo Stato ha il dovere di tutelare la salute pubblica e che per farlo può adottare provvedimenti forzosi per evitare, per esempio, il diffondersi dell’epidemia, gli altri mettono invece l’accento sul fatto che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario. In realtà, rispetto ad alcune professioni non ci dovrebbero essere problemi particolari a imporre un obbligo, stante che alcune categorie di lavoratori hanno già alcuni obblighi vaccinali, ad esempio contro tetano, epatite e tubercolosi. Appare quindi legittimo che il lavoratore di alcuni settori, a partire da quello sanitario, che non si vuole vaccinare sia sottoposto a provvedimenti fino alla sospensione della retribuzione e al licenziamento.

Ma cosa fare di coloro che – pur senza un obbligo professionale – rifiutano la vaccinazione? Se la questione riguardasse solo la persona interessata non ci sarebbero problemi particolari. Al massimo si potrebbe discutere della questione bioetica se chi rifiuta di vaccinarsi ma poi si ammala di Covid – in uno scenario di limitazione delle risorse come è stato quello della prima drammatica ondata dell’anno scorso, sperando che non si ripeta – debba ricevere le stesse cure in termini quanti-qualitativi di chi, pur vaccinato, avesse la sfortuna di infettarsi. In pratica, ho un solo ventilatore e due pazienti che ne hanno bisogno: uno è un vaccinato ma ha comunque contratto la Covid o ha un’altra grave patologia, l’altro si è rifiutato di vaccinarsi e adesso è Covid positivo. Devo dare la precedenza al primo assegnando un probabile destino di morte al secondo?

Il problema si pone invece in termini di salvaguardia del bene collettivo della salute. Un no vax – magari anche no mask – rappresenta un pericolo per la comunità, oltre che per se stesso. Ha diritto – anche qualora riconosciutogli quello di non vaccinarsi – a frequentare la comunità? Personalmente non credo. Se non accetta di vaccinarsi non dovrebbe poter svolgere tutte le ordinarie attività che comportano il contatto stretto con gli altri. Può lavorare dal proprio domicilio, se gli è possibile. Ma certamente non dovrebbe poter entrare in nessun luogo chiuso. In pratica dovrebbe essere sottoposto a un rigoroso isolamento che gli impedirebbe di entrare in un negozio, un ristorante, un cinema, un treno. Ognuno è libero di scegliere di non vaccinarsi, ma accettando il fatto che questa scelta comporti una vita “eremitica”, senza la pretesa di mettere a rischio la salute degli altri.

Dobbiamo riconoscere che la comunicazione in tema di vaccinazione è stata a dir poco mal gestita e può aver generato confusione. D’altronde tra un militare impacciato e impettito nelle sue divise, una moltitudine di tecnici che comunicavano ciascuno il proprio messaggio talora contraddittori tra loro, un premier sostanzialmente silente, ma spesso mal consigliato sulla comunicazione e – non ultimi – gli interessi commerciali fra case farmaceutiche, non ci si poteva attendere di più

Ma dopo la lunga fase di convincimento – che al momento vede ancora impegnati anche molti noti personaggi della cultura, dello spettacolo, dello sport – è giusto che si passi a un’altra fase: certamente non repressiva ma che garantisca sicurezza a chi vuole riprendere una vita normale. Sperando che nella patria del diritto, qualche sedicente libertario – politico o giurista che sia – non finga di dimenticare che la mia libertà (di non vaccinarmi) finisce dove comincia quella dell’altro (di non essere contagiato).



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