“L’Occidente è complice, non aiuterà le donne iraniane a liberarsi del regime”

Non dobbiamo aspettarci alcun appoggio degli Stati occidentali alle lotte delle donne in Iran, afferma Maryam Namazie in questa intervista. Solo la mobilitazione in prima persona può far vincere la rivoluzione, gli Stati prediligono il "business as usual".

Federica D'Alessio

Maryam Namazie è una storica attivista iraniana per i diritti delle donne e per la difesa della laicità, da anni si spende con la parola scritta, in video e attraverso interventi in pubblico, anche in Italia, per la liberazione delle donne in Iran e non solo; contro la sharia e contro l’apartheid di genere, e nella denuncia delle complicità degli Stati occidentali.

A dicembre scorso, la Repubblica islamica dell’Iran è stata sospesa dal suo seggio nella Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne. Ma è inquietante che un regime che pratica in modo esplicito e sistematico l’apartheid di genere abbia mai potuto entrarvi. Come è stato possibile, secondo il suo giudizio, ottenere il seggio? Sappiamo che il voto che portò a un risultato così sorprendente era segreto e la giornalista tedesca Alice Schwarzer ritiene che la Germania sia fra i Paesi che all’epoca votarono segretamente a favore. Che idea si è fatta di quella decisione e su chi la approvò? E cosa pensa della recente sospensione?

Il regime islamico dell’Iran non è l’unico Stato misogino a far parte della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne, sia storicamente sia attualmente. Ci sono altri Stati attualmente membri che applicano la sharia, una legge discriminatoria che promuove legalmente la violenza contro le donne, come l’Afghanistan, il Pakistan, la Mauritania e la Nigeria. Questi stessi Paesi impongono anche la pena di morte per apostasia o blasfemia e nei confronti delle persone omosessuali.

L’unico motivo per cui il regime islamico è il primo Stato membro a essere espulso dall’UNCSW è la rivoluzione femminile in atto in Iran e l’indignazione pubblica. Se non fosse stato per la pressione dell’opinione pubblica, il regime sarebbe ancora seduto nel massimo organismo intergovernativo incaricato di proteggere i diritti delle donne e promuovere l’uguaglianza sessuale. Immaginate un regime che impone l’apartheid sessuale in un organismo che promuove la parità tra donne e uomini! È come se il regime di apartheid razziale del Sudafrica fosse stato votato per sedere in una Commissione ONU per l’uguaglianza razziale. Ancora più assurdo è il fatto che almeno quattro Stati democratici abbiano votato segretamente a favore del regime. Poiché le votazioni erano segrete, non è facile sapere di quali Stati si trattasse. Le votazioni per l’espulsione, invece, sono state pubbliche e sappiamo che nessuno Stato democratico ha votato a favore del regime. Anche in questo caso, solo grazie alla pressione e all’indignazione dell’opinione pubblica. Complessivamente, ventinove Stati membri hanno votato a favore dell’espulsione, otto hanno votato contro e almeno sedici Stati membri si sono astenuti. Il business as usual è sempre contro le donne e a favore del profitto rispetto al benessere umano. Pertanto, è sempre stato ed è compito dell’indignazione pubblica e dei movimenti sociali e politici, i movimenti di liberazione delle donne, sfidare il business as usual anche degli Stati a favore dei diritti delle donne e di un mondo migliore.

La presenza della Repubblica Islamica dell’Iran e di altre nazioni rette da regimi dichiaratamente misogini in tale Comitato delle Nazioni Unite sembra possa trovare giustificazione in una filosofia culturalista/relativista che cerca di far passare l’idea che la condizione delle donne all’interno di ogni paese sia solo una questione di
di culture diverse, e non sia decisa da diversi poteri e/o regimi oppressivi
. Ma se c’è una dichiarazione di principio che rifiuta nei fatti il punto di vista culturalista, quella è “Donna, Vita, Libertà”: lo slogan curdo che ha dato il via alla rivoluzione delle donne in Iran proclama un universale radicale, e suggerisce che le donne sono unite da una condizione simile, esigenze simili e percorsi che possono ispirarci tutte in tutto il mondo, al di là delle differenze culturali. Cosa ne pensa, lei che è testimone non silente di questo tipo di svolta culturalista da molti anni?

Ho sempre trovato interessante il fatto che il relativismo culturale si applichi sempre e solo ai diritti umani, e in particolare ai diritti delle donne. Il regime islamico dell’Iran non si oppone alla tecnologia nucleare in quanto occidentale. Usa manette e granate stordenti prodotte in Inghilterra. Ma quando si tratta di diritti delle donne, adduce le differenze culturali come giustificazione per la cittadinanza di seconda classe delle donne. Questo fatto da solo dovrebbe essere sufficiente a persuadere coloro che credono alle argomentazioni del regime che questa posizione non riguarda il rispetto della cultura delle persone, ma lo Stato che giustifica il suo controllo e la soppressione delle donne e dei loro diritti.
Un altro punto importante è che la cultura di un Paese non è omogenea. È in costante evoluzione e cambiamento. La cultura delle donne e degli uomini per le strade dell’Iran che gridano “Donna, vita, libertà”, “Non vogliamo uno Stato misogino”, “Non vogliamo uno Stato islamico”, è molto diversa dalla cultura dei teocrati e dell’élite al potere. Dimostra che le speranze, i sogni e le aspirazioni di libertà e uguaglianza sono universali. Coloro che aderiscono all’argomento del relativismo culturale si schierano in realtà dalla parte dei teocrati e dei fondamentalisti a scapito dei diritti delle donne. Di fatto, remano contro la liberazione delle donne in Iran. Stranamente, nessuno di questi relativisti culturali sosterrà che la fine della Roe V Wade negli Stati Uniti debba essere rispettata come cultura statunitense. O che le misure anti-donna e anti-gay imposte dalla destra cristiana in Polonia, ad esempio, “sono la loro cultura e devono essere rispettate”. Questo la dice lunga su come considerano noi donne iraniane e “di là”: sub-umane, meritevoli di diritti solo nel quadro di norme religiose e culturali regressive. Purtroppo, alcuni di questi relativisti culturali si considerano addirittura femministi. La mia domanda a loro è: quali diritti avete oggi nel quadro del cattolicesimo? La lotta per i diritti delle donne non è stata in gran parte una lotta contro il controllo della religione sul corpo delle donne? Perché vi aspettate che la nostra lotta sia qualcosa di meno?

Quale crede sia stato il ruolo dei Paesi occidentali in questo tipo di svolta culturalista, e quale pensa sia il loro punto di vista sulle conseguenze di questo loro atteggiamento: prevede una presa di coscienza delle drammatiche conseguenze di un tale “pilatismo” culturale?  Abbiamo visto il pilatismo all’opera, per esempio, in modo abbastanza chiaro durante gli ultimi mondiali di calcio in Qatar, dove l’unica voce delle lotte per la libertà femminile è stata di fatto il silenzio dei giocatori iraniani.

Non credo che gli Stati occidentali faranno nulla per favorire la liberazione delle donne in Iran. Saranno sempre dalla parte del business as usual e del profitto piuttosto che della dignità umana e del benessere. Ma se qualcosa è cambiato o sta per cambiare, dipende dall’opinione pubblica. Dipende dall’empatia e dalla solidarietà umana. Al di là dei confini e delle differenze, per ciò che ci rende tutti fondamentalmente umani. È questa solidarietà che ha costretto all’espulsione del regime dall’UNCSW. È questa solidarietà che può aiutare il popolo iraniano a porre fine al regime islamico e a inaugurare una nuova alba.

Cosa prevede per la rivoluzione iraniana nell’immediato futuro? Cosa pensa che le società occidentali dovrebbero fare che non stanno facendo? E per quanto riguarda i musulmani di tutto il mondo?

I cittadini di tutto il mondo dovrebbero fare tutto il possibile per rafforzare, sostenere e incoraggiare la rivoluzione delle donne e la liberazione delle donne in Iran. Con l’ascesa dell’islamismo in Iran, abbiamo assistito a una corrispondente ascesa dell’islamismo e della destra religiosa in tutto il mondo. La fine dell’islamismo attraverso una rivoluzione femminile avrà enormi ripercussioni in tutto il mondo. Sarà importante anche per molti musulmani, poiché la maggior parte dei credenti considera la religione una questione personale e non un compito o un affare dello Stato. Questa rivoluzione, quindi, non è solo per le donne dell’Iran, ma per le donne della regione e del mondo intero. E, naturalmente, è anche una rivoluzione per gli uomini, per le minoranze religiose, per gli atei e i non credenti dell’Islam, per le minoranze sessuali… Perché davvero, la misura della libertà in ogni società è la libertà delle donne.



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