Ocean Viking: 572 persone in attesa di un porto di sbarco

La Ocean Viking della ong SOS Méditerranée – unica nave umanitaria presente in questo momento nel Mediterraneo centrale – ha soccorso 572 persone in poche ore. E ora attende un porto di sbarco, mentre Italia e Malta nicchiano.

Valerio Nicolosi

La Ocean Viking della ong SOS Méditerranée – unica nave umanitaria presente in questo momento nel Mediterraneo centrale – ha soccorso 572 persone in poche ore. Il primo soccorso lo ha effettuato il 1° luglio, l’ultimo lo ha terminato all’alba del 5, prestando aiuto a un’imbarcazione di legno con a bordo 369 persone, di cui nove donne, un bimbo di quattro mesi e 110 minori. “Erano in mare da tre giorni, sono partiti da Zuwarah, erano stremati”, racconta Fulvia Conte, della Ocean Viking. “Li abbiamo cercati di notte sia dalla nave che dai rhib (gommoni veloci di salvataggio) e quando li abbiamo trovati erano messi molto male”.

Era dal 2017 che nel Mediterraneo centrale non veniva soccorsa un’imbarcazione di legno con così tante persone a bordo, da quando cioè i gommoni, più economici e facili da mettere in mare, avevano sostituito le piccole barche da 10 o 15 metri.

“Dopo più di un’ora passata a imbarcare persone la situazione era la stessa: continuavano a uscire persone dalla stiva, sembravano non finire più. A un certo punto si è anche rotta la pompa di sentina, rischiando di far morire affogato chi si trovava sotto il ponte” racconta la soccorritrice.

Ora la Ocean Viking si trova la Sicilia Orientale e Malta in attesa di un porto di sbarco. Che però i governi sembra non voler dare. Malta non risponde e l’Italia prende tempo, nonostante a bordo ci siano anche due bambini disabili, uno dei quali su una sedia a rotelle, e un ragazzo che ha passato gli ultimi quattro anni nei campi di detenzione in Libia. “Hanno bisogno di un luogo sicuro di sbarco dove poter essere curati, ognuno secondo le proprie necessità” chiosa Fulvia Conte.

Mancano pochi giorni al rifinanziamento delle missioni estere, tra cui quello della cosiddetta Guardia costiera libica, che proprio pochi giorni fa si è resa protagonista dell’ennesima violazione dei diritti umani durante un respingimento: la motovedetta Ras Jadir 648, una di quelle donate dall’Italia al governo di Tripoli, ha sparato a un gommone con dei migranti in fuga proprio dalla Libia. La motovedetta si è resa protagonista di simili episodi in più occasioni: nel marzo 2018 ha minacciato la Open Arms di aprire il fuoco, mentre nel novembre 2017, durante un respingimento, con una folle manovra ha colpito in pieno un gommone, uccidendo 20 persone e minacciando l’equipaggio della Sea-Watch 3 al fine di non farlo intervenire.

L’Italia dal 2017 a oggi ha finanziato la cosiddetta Guardia costiera libica per 22 milioni di euro (oltre ai fondi elargiti per la gestione dei campi di detenzione dei migranti a terra). E sistematicamente, quando si avvicinano le scadenze per i rinnovi degli accordi o dei finanziamenti, aumentano le partenze. Nella notte a Lampedusa sono arrivate 552 persone su quattro imbarcazioni diverse, tre delle quali avevano a bordo poche decine di persone, mentre un peschereccio di 20 metri proveniente dalla Libia ne aveva 420.

Forse è un modo per fare pressione sul governo italiano, alleato e partner del nuovo governo libico guidato da Dbeibah, che sta cercando di rimettere insieme i pezzi di un Paese lacerato da anni di guerra tribali. Divisioni che si registrano anche all’interno della cosiddetta Guardia Costiera tra fazioni e gruppi di milizie, tra cui quella di Bija, comandante dei guardacosta di Zawya, arrestato con un mandato di cattura internazionale per traffico di esseri umani e successivamente rilasciato e promosso al grado di maggiore.

Il luogo di partenza delle imbarcazioni salvate dalla Ocean Viking era Zuwarah, una località a ovest di Tripoli, dove in teoria operano i guardacosta ma da dove spesso i trafficanti fanno partire le persone.

In tutto questo il governo italiano continua a fermare le navi umanitarie, tanto che – come ricordato – al momento solo la Ocean Viking è operativa nel Mediterraneo centrale: le altre sono sotto sequestro amministrativo, metodo che la ministra Lamorgese ha messo in campo per fermare le navi umanitarie prima che prendano il mare per operazioni di soccorso.

“Medici Senza Frontiere prima di iniziare le operazioni con la nave Geo Barents ha speso più di 400.000 euro per avere tutto nella norma, e anche oltre” racconta Duccio Staderini, responsabile Sar (Search and rescue) di Medici Senza Frontiere, in questo momento a bordo proprio della Geo Barents, ferma in porto per un blocco amministrativo da parte delle autorità italiane. La nuova nave di MSF nelle scorse settimane ha effettuato sette soccorsi per un totale di 406 persone salvate e condotte nel porto di Augusta.

“Questa nave è grande e oltre a essere omologata per 83 persone di equipaggio abbiamo le dotazioni di sicurezza per 300 persone, quindi 383 persone totali” commenta Staderini. “Ci hanno fermato per 22 deficienze, 10 delle quali gravi ma le questioni principali sono due: in alcuni casi richiedono una certificazione come nave da soccorso, che non esiste né in Italia né in Norvegia, nostro Stato di bandiera, mentre in altri casi ci chiedono certificazioni come se fossimo una nave da trasporto passeggeri, di fatto un traghetto, pur riconoscendo nei documenti il carattere eccezionale e imprevedibile dei soccorsi”. “Ci hanno chiesto di fare un nuovo certificato di inclinazione della nave, un documento che costa molto. L’ultimo è stato fatto nel 2017 e da allora non è stato cambiato l’assetto. Questa richiesta non ha senso: è più una volontà politica” conclude Staderini.

Credit foto: Flavio Gasperini/SOS Méditerranée



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