“Patriottismo è vergogna per i crimini commessi in nome della patria”

Pubblichiamo i due discorsi pronunciati da Oleg Orlov, dissidente russo nei confronti del regime, fondatore dell'associazione per la difesa dei diritti e per la memoria dei crimini del regime Memorial, in occasione delle sue due recenti condanne in Russia. Attualmente Orlov sta scontando una pena di due anni e mezzo per il reato di "discredito nei confronti delle forze armate russe". Ringraziamo l'associazione Memorial Italia per le accurate traduzioni del testo, a opera di Milly Berrone.

Oleg Orlov

La Russia riemergerà dal buio
Ultima dichiarazione di Oleg Orlov dell’11 novembre 2023, al termine del primo processo che si è concluso con la condanna al pagamento di una multa di 150.000 rubli.
Per iniziare, vorrei ricordare che tantissime persone che condividono i miei ideali sono state condannate a pene molto severe: molti anni di reclusione per essersi espresse, per avere protestato in forma pacifica, per avere detto la verità. Ricordiamo Aleksej Gorinov e Vladimir Kara-Murza: in questo momento li stanno uccidendo, trattenendoli in carceri di massima sicurezza. Ricordiamo Aleksandra Skočilenko: ne stanno minando deliberatamente la salute in un carcere di detenzione preventiva. Ricordiamo Igor’ Baryšnikov, ammalato grave: il tribunale non gli ha permesso di assistere sotto scorta ai funerali della madre e, in questo momento, è di fatto privo di cure mediche. Ricordiamo Dmitrij Ivanov, Il’ja Jašin e tutte le persone condannate a numerosi anni di prigione per avere protestato contro la guerra.
In questo contesto la pena richiesta dall’accusa per me appare estremamente mite. Potrebbe sembrare, in fin dei conti, che pagare un prezzo così basso per avere espresso una posizione che ritengo veritiera non sia un gran fastidio. Ma no. Nel caso di una sentenza di condanna presenteremo comunque ricorso. Perché in questo processo qualsiasi sentenza di condanna, che sia severa o mite, sarà una violazione della Costituzione russa, una violazione delle norme del diritto, una violazione dei miei diritti.

Io non mi pento!
Non mi pento di avere manifestato pubblicamente contro la guerra, di avere scritto l’articolo per il quale sono sotto processo. Tutta la mia vita precedente non mi lasciava altra scelta. Non posso fare a meno di ricordare il motto preferito del mio maestro, grande difensore dei diritti umani, Sergej Adamovič Kovalëv, formulato a suo tempo dai pensatori romani: “fai ciò devi, accada ciò che può”.
Non mi pento di non essermene andato dalla Russia. È il mio paese, e ho ritenuto che dalla Russia la mia voce si sarebbe sentita di più. E ora, grazie all’impegno congiunto della polizia politica, degli inquirenti, della procura e della corte, il mio breve e modesto articolo ha ottenuto una circolazione che non avrei mai potuto nemmeno immaginare.
E non rimpiango in alcun modo di avere lavorato per molti anni con Memorial, di avere lavorato per il futuro del mio paese. Adesso potrebbe sembrare che sia “andato tutto in fumo”. Potrebbe sembrare che tutto quello che io e i miei amici e colleghi abbiamo fatto sia andato distrutto e che il nostro lavoro non sia servito a niente. Ma non è così. Sono certo che non ci vorrà così tanto tempo e la Russia riemergerà dal buio in cui adesso è sprofondata. E che questo sia inevitabile è un merito non indifferente della comunità costituita dai soci di Memorial e da tutti i nostri amici e colleghi della società civile russa che nessuno riuscirà a distruggere.
In sostanza, perché ho manifestato e perché ho scritto quel breve articolo?
Adesso il concetto di “patriota” ha perso credito. Agli occhi di un numero enorme di persone il patriottismo russo è diventato sinonimo di imperialismo. Ma per me e per molti miei amici non è così. Dal mio punto di vista il patriottismo, in primo luogo, non è orgoglio per il proprio paese, ma bruciante vergogna per i crimini che si commettono in suo nome. Ci vergognavamo durante la prima e la seconda guerra cecena e ci vergogniamo ora per ciò che in nome della Russia commettono i cittadini del mio paese in Ucraina.

Il filosofo tedesco Karl Jaspers scrisse nel 1946 il saggio La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania. In quel lavoro formulò la tesi dell’esistenza di quattro tipi di colpa dei tedeschi dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale: colpa criminale, politica, morale e metafisica. A mio avviso, i pensieri esposti in quel saggio si adeguano molto bene alla situazione in cui ci troviamo in questo momento, noi, cittadini russi degli anni Venti del ventunesimo secolo.
Ora non parlerò della colpa criminale. Chi ha commesso crimini sconterà una pena o forse no. Ma il futuro della Russia di oggi (similmente al futuro della Germania nel 1946) dipende in larga misura dalla disponibilità di noi tutti, nessuno escluso, a riflettere non sulle colpe altrui, ma sulle nostre. Una citazione dal lavoro di Jaspers:
“Quella frase, ‘Questa è la vostra colpa!’, può significare: voi siete responsabili per le azioni del regime che avete tollerato. Qui si tratta della nostra colpa politica. Voi siete colpevoli di avere oltre a ciò sostenuto questo regime e di avervi collaborato. Qui sta la nostra colpa morale. Voi siete colpevoli di avere assistito inerti ai delitti che furono commessi. Qui già traspare una colpa metafisica”.

A mio avviso, chi ama la propria patria non può fare a meno di riflettere su quanto accade al paese cui si sente legato in modo indissolubile. Non può fare a meno di pensare alla propria responsabilità per quanto è accaduto. E inoltre non può fare a meno di provare a condividere i propri pensieri con altre persone. Talvolta si deve pagare un prezzo per questo…

E io ci ho provato.
Faccio un’altra citazione. Questa volta da una dichiarazione ufficiale rilasciata il 22 marzo di quest’anno.
“Russia e Cina invitano tutti i paesi a promuovere valori universali come pace, progresso, uguaglianza, giustizia, democrazia e libertà, a impegnarsi nel dialogo piuttosto che nel confronto.”
Lo dichiara lo Stato che ha inviato le proprie truppe in un paese confinante, l’Ucraina, di cui non molto tempo prima aveva riconosciuto l’integrità territoriale. Lo Stato che in quel paese conduce una guerra definita aggressione dalla assoluta maggioranza degli Stati membri dell’ONU.
Lo dichiara lo Stato nel quale è stata soppressa ogni libertà, nel quale sono state adottate con procedimento d’urgenza e si applicano alla svelta leggi che sono in diretta contraddizione con la Costituzione vigente, leggi che criminalizzano qualsiasi discorso critico. Compresa la legge in base alla quale mi giudicate oggi.
Va bene, “la guerra è pace e la libertà è schiavitù” e “le truppe della Federazione Russa in Ucraina sostengono la pace e la sicurezza internazionale”.

Onorevole corte, davvero non è evidente che tutti noi – sia io, sia voi – ci ritroviamo nel mondo di George Orwell, nel romanzo 1984?
È un viaggio nel tempo sorprendente!
Nella storia reale, e non nella letteratura, l’anno successivo al 1984 segnò l’inizio dei cambiamenti in Unione Sovietica. La perestrojka, poi la rivoluzione democratica del 1991. Allora sembrava che i cambiamenti fossero irreversibili…
E invece dopo più di trent’anni ci ritroviamo nel 1984…
Per il momento nel codice penale russo non esiste ancora il concetto di “reato di opinione”, per il momento non si sanzionano ancora i cittadini per un dubbio sulla correttezza della politica statale, se espresso a bassa voce tra le mura della propria casa, non si sanzionano per un’espressione non corretta del viso. Per il momento…
Ma, se quel dubbio lo si esprime al di là delle pareti della propria casa, ne possono derivare denunce e sanzioni. È già passibile di sanzione indossare abiti di colori “non corretti”. Ed è ancora più sanzionabile esprimere pubblicamente un’opinione che differisca dal punto di vista ufficiale. È sanzionabile riferire quali siano le posizioni delle organizzazioni internazionali. È sanzionabile esprimere il minimo dubbio sulla veridicità dei rapporti ufficiali del ministero della difesa.
In queste condizioni sarà inevitabile che in futuro si adotti una nuova legge: sanzioni per reato d’opinione.
Per il momento in Russia non si bruciano ancora i libri in piazza. Ma i libri degli autori non graditi alle autorità già li contrassegnano con l’umiliante etichetta di “agente straniero”, nelle librerie li relegano agli scaffali più nascosti e nelle biblioteche li distribuiscono ai lettori quasi in segreto. Già licenziano dai teatri gli attori che hanno osato dire qualcosa che non rientra nella rotta del partito e del governo. La nota attrice Lija Achedžakova è stata allontanata dalla professione per le sue posizioni pubbliche. Tutto questo succede nel silenzio della maggioranza di coloro che prima erano definiti “comunità del teatro”. In uno Stato totalitario non deve esistere nessun genere di comunità. Tutti devono avere paura e tenere la bocca chiusa.

A maggior ragione sono immensamente grato alla comunità, alle persone straordinarie che non hanno avuto paura e sono venute a questo processo e che continuano ad andare agli altri processi politici. Per me è molto importante. Vi ringrazio molto!
Adesso succedono cose che solo poco tempo fa era impossibile immaginare in Russia: l’arresto della regista Ženja Berkovič e della drammaturga Svetlana Petrejčuk, per esempio. Per cosa? Per uno spettacolo in cui si riflette sulle ragioni che talvolta spingono le giovani donne nelle reti delle organizzazioni terroristiche.
Il regime che si è venuto a creare in Russia non ha affatto bisogno che le persone riflettano. Ha bisogno di altro, di opinioni semplici come muggiti, e solo a sostegno di ciò che in questo momento le autorità proclamano giusto. Ormai lo Stato non solo controlla la vita sociale, politica ed economica del paese, ma aspira anche al controllo assoluto della cultura, invade la vita privata. Diventa sempre più onnipresente. Questa tendenza non si è manifestata il 24 febbraio dell’anno scorso, ma prima. La guerra ha solo accelerato il processo.
Come ha fatto il mio paese, uscito dal totalitarismo comunista, a precipitare in un nuovo totalitarismo? Come dovremmo definire questo genere di totalitarismo? Di chi è la colpa di quanto è successo?
Anche a queste domande è dedicato il mio breve articolo, per il quale adesso sono sotto processo.

Mi rendo conto che ci sono persone che diranno: che vuoi farci, la legge è legge. Se hanno adottato una legge, significa che bisogna rispettarla.
Ricordiamo che nel 1935 in Germania sono state adottate le cosiddette leggi di Norimberga. E poi, dopo la vittoria del 1945, gli esecutori di quelle leggi sono stati processati.
Non sono del tutto certo che gli attuali promotori ed esecutori delle leggi antigiuridiche e anticostituzionali della Federazione Russa si troveranno a rispondere di fronte a un tribunale. Ma una pena sarà inevitabile. I loro figli e nipoti si vergogneranno di dire dove lavoravano e cosa facevano padri, madri, nonni e nonne. La stessa cosa succederà a chi adesso, eseguendo gli ordini, commette crimini in Ucraina. A mio avviso, questa è la pena più spaventosa. Ed è inevitabile.
Be’, una pena è inevitabile anche per me, perché al momento un’assoluzione con un’accusa del genere è impossibile.
Adesso vedremo quale sarà la sentenza.
Ma negli anni Novanta del secolo scorso, nella nuova Russia, non credo di avere contribuito inutilmente alla stesura della legge sulla riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche. E nella Russia libera del futuro quella legge sarà sicuramente migliorata e rielaborata per riabilitare tutti i prigionieri politici di oggi, tutte le persone condannate per motivi politici, compresi coloro che sono stati condannati per la loro posizione contraria alla guerra.

Non ho nessun rimpianto e niente di cui pentirmi
Ultima dichiarazione di Oleg Orlov del 26 febbraio 2024 al termine del secondo processo che si è concluso con la condanna a due anni e mezzo di reclusione a regime ordinario.

Il giorno in cui è iniziato questo processo la Russia e il mondo sono stati scossi dallo spaventoso annuncio della morte di Aleksej Naval’nyj. Anche io ne sono rimasto scosso. Ho anche pensato di rinunciare alla mia ultima dichiarazione: cosa dichiarare oggi, mentre tutti noi non ci siamo ancora ripresi dallo shock provocato dalla notizia? Ma poi ho pensato che sono tutti anelli della stessa catena: la morte o, più esattamente, l’assassinio di Aleksej, le rappresaglie giudiziarie contro altre persone che criticano il regime, me compreso, il soffocamento della libertà nel paese, l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito della Federazione Russa. E ho deciso di parlare comunque.
Non ho commesso alcun reato. Sono sotto processo per un articolo in cui ho definito totalitario e fascista il regime politico esistente in Russia. L’articolo risale a più di un anno fa. E all’epoca alcuni miei conoscenti pensavano che io caricassi troppo le tinte.
Ma adesso è del tutto evidente che non esageravo affatto. Nel nostro paese lo Stato non solo controlla di nuovo la vita pubblica, politica ed economica, ma ambisce anche al controllo assoluto della cultura, del pensiero scientifico, invade la vita privata. Diventa onnipresente.
In poco più di quattro mesi, da quando si è concluso il mio primo processo in questo stesso tribunale, sono successe molte cose che dimostrano con quanta velocità il nostro paese stia sempre più sprofondando nel buio.

Elencherò una serie di fatti di varia natura, differenti sia per dimensioni, sia per tragicità:
– in Russia sono proibiti i libri di molti autori russi contemporanei;
– è stato proibito il “movimento LGBT”, come è impropriamente definito, fatto che in sostanza è una palese ingerenza dello Stato nella vita privata dei cittadini;
– alla Scuola superiore di economia è stato proibito citare gli “agenti stranieri”. Adesso gli studenti, prima di affrontare una materia, devono studiare e imparare a memoria l’elenco degli “agenti stranieri”;
– il noto sociologo e saggista di sinistra Boris Kagarlickij è stato condannato a cinque anni di reclusione per avere parlato di alcuni episodi della guerra in Ucraina utilizzando parole che contrastano con la versione sostenuta ufficialmente;
– l’uomo che i propagandisti definiscono “leader della nazione”, parlando dell’inizio della Seconda guerra mondiale, dice pubblicamente quanto segue: “Ma i polacchi lo hanno costretto, hanno tirato troppo la corda e hanno costretto Hitler a iniziare la Seconda guerra mondiale proprio con loro. Perché la guerra è iniziata proprio dalla Polonia? Perché la Polonia era intransigente. Per realizzare i suoi piani Hitler non aveva altra scelta se non quella di iniziare proprio dalla Polonia”.

Come bisognerebbe definire un ordinamento politico in cui accade quanto ho elencato? A mio avviso, non ci sono dubbi sulla risposta. Purtroppo nel mio articolo avevo ragione.
È vietata non solo la critica pubblica, ma anche qualsiasi opinione indipendente. È possibile essere sanzionati per azioni che all’apparenza non hanno alcun legame con la politica o con la critica del potere. Non esistono ambiti dell’arte in cui sia possibile esprimersi liberamente, non esistono discipline umanistiche accademiche libere, non esiste più nemmeno la vita privata.
Adesso dirò qualche parola sulla natura delle accuse avanzate contro di me e che si avanzano in numerosi altri processi contro chi, come me, si oppone alla guerra.
Quando è iniziato questo secondo processo contro di me, ho rinunciato a partecipare e quindi durante le udienze ho avuto la possibilità di rileggere Il processo di Franz Kafka. In effetti la nostra attuale situazione e quella in cui si è ritrovato il protagonista del romanzo di Kafka hanno alcuni tratti in comune: l’assurdo e l’arbitrio, mascherati da rispetto formale di certe procedure pseudogiuridiche.
Ci accusano di vilipendio, senza spiegare di cosa si tratti e perché sia diverso da una legittima critica. Ci accusano di diffusione di informazioni deliberatamente false, senza degnarsi di dimostrarne la falsità. Il potere sovietico agiva allo stesso modo, quando definiva le critiche falsità. E i nostri tentativi di dimostrare l’autenticità di quelle informazioni diventano penalmente perseguibili. Ci accusano di non sostenere il sistema di opinioni e la visione del mondo che i dirigenti del paese hanno proclamato corretti, e questo quando l’ideologia di Stato in Russia non dovrebbe esistere. Emettono sentenze di condanna contro di noi perché non crediamo che l’aggressione nei confronti di uno Stato confinante abbia come obiettivo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.

È assurdo.
Fino alla fine il protagonista del romanzo di Kafka non sa neppure di cosa lo accusino ma, comunque, emettono una sentenza di condanna contro di lui e lo giustiziano. In Russia invece ci notificano un’accusa formale, ma è impossibile comprenderla, se si vuole rimanere nell’ambito del diritto e della logica.
Tuttavia, a differenza del protagonista del romanzo di Kafka, in realtà noi comprendiamo perché ci fermano, giudicano, arrestano, condannano, uccidono. In realtà ci sanzionano perché ci permettiamo di criticare il potere. Nella Russia di oggi è assolutamente proibito.
Deputati, inquirenti, pubblici ministeri e giudici non lo dicono apertamente. Lo nascondono sotto le formulazioni assurde e illogiche delle loro cosiddette nuove leggi, degli atti di accusa e delle sentenze. Ma non è così.
Adesso nelle colonie penali e nelle carceri stanno lentamente uccidendo Aleksej Gorinov, Aleksandra Skočilenko, Igor’ Baryšnikov, Vladimir Kara-Murza e molte altre persone. Li stanno uccidendo perché hanno protestato contro la carneficina in Ucraina, perché vogliono che la Russia diventi uno stato democratico e prospero che non costituisca una minaccia per il mondo circostante.
Negli ultimi giorni hanno fermato, sanzionato e addirittura incarcerato alcune persone solo perché sono andate a rendere omaggio accanto ai monumenti dedicati alle vittime delle repressioni politiche ad Aleskej Naval’nyj, assassinato, un uomo straordinario, coraggioso, onesto, che in condizioni incredibilmente difficili, create proprio per lui, non ha perso l’ottimismo e la fede nel futuro del nostro paese. Perché, sì, è stato un assassinio, a prescindere dalle circostanze specifiche della morte.
Le autorità sono in guerra anche con Naval’nyj morto, hanno paura di lui anche da morto, e fanno bene ad avere paura.
Le autorità stanno distruggendo i memoriali sorti in modo spontaneo per ricordarlo.
Chi lo fa spera in questo modo di demoralizzare quella parte della società russa che continua a sentirsi responsabile per il proprio paese.
Hanno poco da sperare.

Noi ricordiamo l’invito di Aleksej: “Non arrendetevi”. Da parte mia aggiungo: non perdetevi d’animo, non abbandonate l’ottimismo. Perché la verità è dalla nostra parte. Chi ha condotto il nostro Paese nel baratro in cui si trova adesso, rappresenta ciò che è vecchio, decrepito, superato. Non hanno un’idea di futuro, ma solo immagini fasulle del passato, miraggi di “grandezza imperiale”. Spingono la Russia a ritroso, indietro, nella distopia descritta da Vladimir Sorokin nel romanzo La giornata di un opričnik. Ma noi viviamo nel ventunesimo secolo, davanti a noi ci sono il presente e il futuro, e in questo sta la garanzia della nostra vittoria.
Per concludere il mio intervento, vorrei rivolgermi – forse in modo inaspettato per molti – a coloro che adesso con il loro lavoro stanno spingendo il rullo compressore delle repressioni. Ai funzionari governativi, ai dipendenti delle forze dell’ordine, ai giudici, ai pubblici ministeri.
In realtà capite tutto benissimo. E di certo non siete tutti convinti sostenitori della necessità delle repressioni politiche. A volte vi dispiace fare ciò che dovete, ma vi dite: “E cosa potrei fare? Mi limito a eseguire gli ordini dei superiori. La legge è legge”.
Mi rivolgo a Lei, presidente della corte, e all’avvocato dell’accusa. Non avete paura? Non avete paura di vedere che cosa sta diventando il nostro paese che, con ogni probabilità, amate anche voi? Non avete paura che in questa assurdità, in questa distopia, probabilmente, dobbiate vivere non solo voi e i vostri figli, ma anche, Dio non voglia, i vostri nipoti?

Non vi viene in mente un fatto ovvio? Che prima o poi il rullo compressore delle repressioni potrebbe travolgere anche chi lo ha messo in moto e fatto camminare. Nella storia è successo molte volte.
Ripeto quanto ho detto nel precedente processo.
Sì, la legge è legge. Ma, ricordiamo, nel 1935 in Germania sono state adottate le cosiddette leggi di Norimberga. E poi, dopo la vittoria del 1945, gli esecutori di quelle leggi sono stati processati.
Non sono del tutto certo che gli attuali promotori ed esecutori delle leggi antigiuridiche e anticostituzionali della Federazione Russa si troveranno a rispondere di fronte a un tribunale. Ma una pena sarà inevitabile. I loro figli e nipoti si vergogneranno di dire dove lavoravano e cosa facevano padri, madri, nonni e nonne. La stessa cosa succederà a chi adesso, eseguendo gli ordini, commette crimini in Ucraina. A mio avviso, questa è la pena più spaventosa. Ed è inevitabile.
Be’, una pena è inevitabile anche per me, perché al momento un’assoluzione con un’accusa del genere è impossibile.
Adesso vedremo quale sarà la sentenza.
Ma non ho nessun rimpianto e niente di cui pentirmi.

CREDITI FOTO: EPA/SERGEI ILNITSKY

Traduzione a cura di Milly Berrone per Memorial Italia

 



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