“Ombre d’Europa”: la fragile impalcatura dell’identità di un continente

Nel suo saggio, Guido Crainz ci ricorda che l’intera identità europea successiva alla seconda guerra mondiale si regge su una fragile impalcatura di interpretazioni divergenti, non-detti e risentimenti neanche troppo celati.

Francesco Brusa

Che la storia sia un “terreno di battaglia” non è certo una novità, visto l’uso strumentale che se ne è fatto in tante epoche e in tante occasioni e visto anche il carattere conflittuale delle diverse memorie che ogni ricostruzione del passato riattiva oppure nasconde. Con l’invasione russa in Ucraina del 24 febbraio scorso, però, questa consapevolezza diviene ancora più acuta e stridente: lo afferma l’ultimo volume dello storico Guido Crainz, appena pubblicato nelle “Saggine” di Donzelli, Ombre d’Europa. Nazionalismi, memorie, usi politici della storia. Da una parte, infatti, siamo di fronte a un alto grado – talvolta grottesco – di “revisionismo” esercitato dalle élite russe, a partire dal famoso saggio di duecento pagine redatto da Vladimir Putin per negare la legittimità dell’esistenza dello stato ucraino e giustificare la sua “operazione speciale” (ma si veda, a questo proposito, anche l’intervento infarcito di negazionismo di Sergej Lavrov La messa in scena come metodo della politica occidentale, rilanciato e tradotto dalle ambasciate della Federazione). Dall’altra, lo “shock tellurico” prodotto dall’aggressione militare sta facendo riemergere, oltre ai traumi e ai crimini del presente, anche tante ferite e controversie del passato che si credevano sopite o che, più banalmente, la cosiddetta opinione pubblica occidentale non aveva ancora imparato a conoscere in profondità: si pensi alla tragedia dell’Holodomor, talvolta messa in parallelo alla condizione attuale della popolazione ucraina sotto le bombe oppure fatta assurgere a simbolo della “costante genocidiaria” che avrebbe caratterizzato il comportamento della Russia nei confronti della vicina comunità da 90 anni a questa parte.
Ma, ci ricorda Crainz con dovizia di citazioni, aneddoti e rimandi bibliografici, c’è poco di cui stupirsi: è l’intera identità europea successiva alla seconda guerra mondiale che si regge su una fragile impalcatura di interpretazioni divergenti, non-detti e risentimenti neanche troppo celati. La questione delle foibe, tanto per rimanere nel dibattito italiano, le espulsioni di milioni di tedeschi da Polonia, Cecoslovacchia e altri stati della zona centro-orientale del continente dopo la sconfitta di Hitler, la rivalutazione del regime reazionario e antisemita di Miklós Horthy da parte del presidente ungherese Orbán, per non parlare della frammentazione di memoria e delle differenti “invenzioni della tradizione” che hanno attraversato e ancora attraversano la penisola balcanica dilaniata da conflitti inter-etnici… Tutti nodi che in superficie sembrerebbero risolti, ma che sempre più spesso entrano invece a far parte delle retoriche governative e fungono da ri-legittimazione politica delle nuove forze nazionaliste e sovraniste. Fino ad arrivare a quella che è la dicotomia più simbolicamente sentita e profonda, quasi un lascito invisibile della caduta del Muro e del successivo ingresso nell’Unione Europea di numerosi paesi che erano situati oltre la cortina di ferro, ovvero il differente peso e la differente valutazione da accordare ai crimini dell’Olocausto da un lato e alla repressione di stampo staliniano-sovietico dall’altro: “Shoah e Gulag: differenti novecento?”, si intitola il quarto capitolo del libro in cui si tratta, fra le altre cose, della «discussa e discutibile» risoluzione del parlamento europeo del 19 settembre 2019 con la quale si condannavano contemporaneamente nazismo e comunismo. Una risoluzione che è il segno di una rinnovata attenzione su questi temi, di una maggiore libertà storiografica in termini di ricerca e di accesso a fonti d’archivio nonché della volontà di mediare fra le esigenze e i vissuti delle comunità che nel frattempo, e non senza polemiche, sono entrate a far parte di una storia comune. Ma allo stesso tempo, annota Crainz, non rappresenta un «reale passo avanti nel confronto di memorie» proprio perché frutto di una «contrattazione politica» e non di processi più ampi, che coinvolgano gli interi corpi sociali dei diversi contesti coinvolti.
Tuttavia, come e con che mezzi potrebbe darsi un confronto così problematico e capillare? Ombre d’Europa non fornisce risposte, se non a livello di alcuni casi di pratiche potenzialmente”virtuose” (come l’elaborazione di un manuale comune tedesco-polacco, frutto di collaborazioni interstatali e della commissione bilaterale costituita nel 1972). Mette in guardia, però, dai rischi insiti nei “cattivi usi” della storia da cui siamo circondati: dalle rifondazioni nazionali più o meno “mitiche”, con la riabilitazione di figure spesso a dir poco controverse (si è discusso molto in questi mesi del fondatore dell’esercito insurrezionale ucraino Stepan Bandera, per esempio), ai revanscismi per giustificare nuove pretese territoriali (ancora, Orbán e la recente rievocazione delle mutilazioni subite con il trattato Trianon), dalle omissioni volontarie su pagine dolorose e scomode come quelle del collaborazionismo ma anche dall’eccessiva vittimizzazione collettiva che con la sua insistenza sugli aspetti negativi del passato può sfociare in «politica del rimorso» nel presente. Il sottotesto è simile a quello che informa molti altri discorsi e dibattiti sul nostro continente: forse, non esiste ancora una memoria condivisa a livello europeo perché non esiste in primo luogo l’Europa, non tanto come entità istituzionale ma come progetto comune. Eppure – insiste il libro, utilizzando una formula di Paul Ricouer – lo sforzo non dovrebbe tendere verso omogeneità o sintesi spesso solo di superficie, bensì a «ricordare con l’aiuto delle memorie altrui», a rinnovarsi nelle differenze per quanto conflittuali o antitetiche esse siano. Per quanto – o anzi proprio perché – queste differenze possono “esplodere” da un momento all’altro, come ci ricordano tristemente le vicende degli ultimi mesi.



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