Opposizione cercasi

Le analisi del fallimento elettorale della sinistra italiana sono state fatte da ogni punto di vista. Quello che ancora non è chiaro è se ci sarà, nel parlamento guidato da Giorgia Meloni, una vera opposizione.

Edoardo Bucci

Dal venticinque settembre scorso pressoché ogni ambito teorico sul fallimento della sinistra italiana è stato indicato. La strada verso l’opposizione non può prescindere dalla dimostrazione pubblica del proprio fallimento. Una sfida in cui, almeno a parole, vince chi colloca il problema più in profondità. Mentre la flagellazione teorica continua, cominciano a delinearsi le nuove prassi politiche di opposizione.

In queste il rapporto delle forze parlamentari con la dimensione di piazza svolgerà un ruolo centrale.

Un tema che circola da tempo nel prefigurarsi un’opposizione su più piani a un predestinato governo meloniano e che rappresenta un angolo di osservazione ottimale sul paese. Da un lato quindi il comportamento dei partiti di opposizioni alla ricerca attraverso mobilitazioni dal basso di una missione interiore dispersa, dall’altra una maggioranza ai primi rapporti con un tema identitario come quello dell’ordine pubblico.

Il rapporto con l’opposizione dal basso

Nell’articolo di copertina dell’ultimo numero di Panorama Antonio Rossitto ha parlato della manifestazione dalla CGIL dell’8 ottobre a Roma: «Data non casuale. É l’anniversario dell’attacco degli estremisti di destra alla sede della confederazione. “Ascoltare il lavoro” è il nobile titolo dell’iniziativa. Si trasformerà nella protesta contro i fascisti immaginari al potere». Il settimanale diretto da Maurizio Belpietro ha sintetizzato in maniera efficace la visione con cui una parte della destra italiana guarda alle possibili opposizioni di piazza al governo Meloni.

In superficie si continuano a sostituire le c con le k per parlare di okkupazioni naïf di licei, centri sociali decadenti e radical chic ovunque. Nel pratico si manifesta dalla fine della campagna elettorale un atteggiamento di apprensione verso le dinamiche di movimento in vista della responsabilità di governo. Sul finire della campagna elettorale la Leader di FDI se l’era presa con la Ministra dell’Interno. «Voglio capire dal ministro Lamorgese» afferma Meloni «se qui si sta cercando l’incidente per poi dire che noi siamo inaffidabili, per poi scaricarlo su di noi, per poi farci un po’ di campagna elettorale» e Guido Crosetto aveva denunciato come i centri sociali a Napoli volessero «scatenare l’inferno» per un comizio del partito. Speculazioni da campagna elettorale ma comunque indicative, riemerse anche dopo i risultati del 25 settembre.

La proposta fuori luogo di Beppe Grillo sulle Brigate di Cittadinanza  ha causato una reazione accesa da parte di vari esponenti del centrodestra tra cui Matteo Salvini «in questo momento drammatico per l’Italia, chiunque parli di Brigate è un folle e un irresponsabile». La possibilità di un rafforzamento di conflittualità sociali nel Mezzogiorno ha avuto un’eco importante nella stampa conservatrice italiana. Per Stefano Zurlo su Il Giornale «Grillo potrebbe chiamare a raccolta le sue truppe al Sud, Conte potrebbe soffiare sul fuoco dell’insoddisfazione e della paura di perdere i bonus acquisiti».

L’avversione viscerale al reddito di cittadinanza nella maggioranza, in un contesto grave come quello del Sud Italia e delle aree marginalizzate, fa emergere il peso storico di istanze sociali con un’urgenza che in tanti ambienti non sembra essere stata compresa.

Da osservare saranno le modalità d’espressione di queste forme di protesta e di dissenso fuori dai palazzi. In un contesto che, nonostante i tentativi frequenti di assimilarlo all’antiberlusconismo di seconda ondata, ha riferimenti e attori del tutto nuovi.

La linearità con gli anni di Arcore è semmai più nel centrodestra e la visione della leadership di FDI sull’ordine pubblico ha tratti preoccupanti.

Emblematica la posizione di Meloni sulla revisione del reato di tortura che nel 2018 figurava esplicitamente tra i punti del programma elettorale.

Una visione che parte dalla giustificazione grossolana di dover «difendere chi ci difende» e di mettere gli uomini e le donne in divisa nelle condizioni «di svolgere il loro lavoro». Si estende poi in maniera complessa e arriva, come osservava nel luglio di quest’anno Patrizio Gonnella Presidente di Antigone su Il Manifesto, a proporre addirittura «Una modifica dell’articolo 27 della Costituzione aggiungendo il seguente periodo: “La legge garantisce che l’esecuzione delle pene tenga conto della pericolosità sociale del condannato e avvenga senza pregiudizio per la sicurezza dei cittadini”».

La connessione simbolica e valoriale che connette il reato di tortura e la dimensione di protesta nasce a Bolzaneto durante il G8 di Genova e non dovrebbe essere considerata un’associazione casuale o di costume.

Cercando la piazza

Il giorno in cui il ministro Lorenzo Guerini comunicava al Copasir il quinto decreto sulle armi all’Ucraina Giuseppe Conte annunciava l’idea di una manifestazione per la Pace. Le adesioni verbali alla proposta hanno riguardato molte personalità del centro-sinistra italiano. Alla ricerca di domande prima ancora che di risposte e nell’attesa della nascita di un governo che restituisca una stella polare è difficile non vederci una natura strumentale. Un collocamento dal basso necessario a dare al proprio elettorato la vaga sensazione di rinnovamento e di mobilità. Aperture all’adesione anche da parte di esponenti del PD come Graziano Delrio, Gianni Cuperlo e l’ex Presidente della Camera Laura Boldrini che afferma «il Pd deve esserci, non va lasciato un vuoto». Difficile che con l’attuale situazione interna il Partito Democratico possa riempire vuoti. Sempre la deputata Laura Boldrini è stata contestata alla manifestazione per la Giornata mondiale dell’aborto sicuro a Roma. Una dimostrazione della tendenza di una parte dei Dem, di avvicinarsi o metterci la bandiera a seconda dei punti di vista, su iniziative di mobilitazione dal basso.

Nessuna novità in assoluto, ma nell’aggiornare strategie di opposizione arrugginite ci si aspetterebbe una visione complessiva dell’interlocuzione con i movimenti non istituzionali.

Il PD e le istanze dal basso

Laddove il Partito Democratico in campagna elettorale ha potuto, con un elettorato apatico ma fedele, collocarsi come garante di diritti civili e di argine a tutela di specifiche battaglie sociali, nelle prassi politiche si manifesta un’altra realtà. Una distanza che ha che fare con le biografie di una parte della propria classe dirigente ma soprattutto con il peso di ciò che non si è fatto. Come afferma la filosofa Giorgia Serughetti sulle pagine di TPI «ci troveremo in una situazione di maggiore difficoltà per tutto quel che non è stato messo in sicurezza nell’ultima legislatura e nelle precedenti anche dove magari si poteva avere i numeri per farlo».

Il caso più noto è quello del ddl Zan ma è una dinamica che si applica anche per alcune leggi di iniziativa parlamentare come il fine vita o la legalizzazione della cannabis.

Non è facile giustificare il mancato ottenimento di conquiste alla portata che avrebbero potuto incidere in modo concreto sulla vita di intere categorie di persone. Risultati che il principale partito progressista italiano ha disatteso e che peseranno nel lungo periodo sulla credibilità con una parte consistente di movimenti, associazioni, reti civiche.

Si continua a ripetere di partire dal basso convinti in fondo che manca solo un po’ più di ascolto, gratificazioni e carezze sulla spalla.

Esiste al contrario una parte di elettorato attivo, consapevole e critico sulle politiche neoliberiste sostenute dal centro-sinistra di governo.

Basta pensare al modello portato avanti su scuola e università. Improbabile che quella parte delle nuove generazioni che si riconosce in valori di sinistra li possa scordare alla luce di un onirico abbraccio di opposizione.

Con tutta la complessità del quadro di riferimento, un discorso simile si può fare sulla capacità di rappresentanza delle minoranze di persone non nate in Italia. Il timido voto contrario di fine luglio al rinnovo degli accordi con la Libia sui migranti (delibera comunque approvata) non toglie l’onta della nascita e del sostegno prolungato a una misura definita dal The New York Times come «Italy’s Dodgy Deals on Migrants». Paternità che manifesta, al di là di appelli generici e confusi, una difficoltà strutturale a contrastare nel profondo la destra xenofoba.

A un’iniziativa elettorale di qualche tempo fa un noto esponente del Pd romano rispondeva al moderatore dicendo che «poco senso ha continuare a parlare di diritti civili e sociali», e con l’entusiasmo di chi ha avuto un’intuizione retorica formidabile concludeva che «esistono solo i diritti».

Quelli che vede il Pd prescindono dalla necessità di valori radicati, di prassi politiche e soprattutto della volontà di difenderli. Si fa un utilizzo più neutro possibile del linguaggio dei diritti in modo da non dover mettere sul tavolo le ambiguità del proprio sistema di valori.

Nel costruire un rapporto con istanze dal basso c’è un’opacità che viene percepita in maniera diffusa, in primis parlando con attivisti e militanti.

La sensazione di un partito che difende qualcosa finché non è troppo compromettente farlo.



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