Pace e crimini, buona fede e logica

Chi vuole la pace sostiene in ogni modo la resistenza ucraina contro l’invasione imperialista di Putin, il resto è illusione o ipocrisia.

Paolo Flores d'Arcais

La manifestazione per la pace di sabato scorso 5 novembre, animata da Cgil, Acli, Anpi, Arci, Agesci, Comunità di Sant’Egidio, con forte sigillo della Confederazione Episcopale Italiana (la lettura dal palco di piazza San Giovanni della lettera del suo presidente, S.E Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, è stato un momento clou), è stata una grande, grandissima manifestazione.

All’Esedra il primo striscione ha cominciato a muoversi verso le 13, alle 15 c’era ancora una notevole folla che non aveva potuto incolonnarsi. Una grande manifestazione, quasi gigantesca. Piena di entusiasmo, di buona volontà per la pace.

Ma concretamente, al di là delle migliori intenzioni, per la pace o per la resa dell’Ucraina all’esercito di Putin, ai ceceni del boia Kadyrov,  ai mercenari di Evgenij Prigožin (milizie Wagner)? Rivolta a uno qualsiasi dei partecipanti, giovane o vecchio, donna o uomo, credente o miscredente, una tale domanda avrebbe prodotto solo stupore, incomprensione, o sarebbe stata considerata una provocazione.

A nessuno, quasi nessuno dei presenti è mai passato o passa per la mente che gli Ucraini debbano arrendersi a Putin. Tutti, quasi tutti, hanno pensato e pensano che gli ucraini siano gli aggrediti, le vittime, ci mancherebbe che debbano arrendersi (anche se molti, troppi, tra quei quasi tutti, ritengono che un poco se la siano cercata, con certa affabilità verso la Nato, ad esempio: come certe ragazze stuprate che giravano in minigonna?).

Ma tutte queste persone innamorate della pace, entusiaste per la pace, non vogliono che vengano mandate armi agli ucraini che resistono a Putin, Kadyrov, Prigožin. Mai e poi mai. Orrore da guerrafondai. Anatema sit! Deplorano toto corde, anzi, che ne siano fin qui state mandate. Hanno mai provato a riflettere per qualche secondo, non di più, cosa comporta concretamente questa loro maledizione all’invio di armi all’ucraino che resiste?

Senza queste armi, quanti mesi, quante settimane, quanti giorni l’esercito ucraino, malgrado il suo coraggio e l’eroismo della popolazione, potrebbe resistere prima di essere schiacciato dal tallone di Putin? Dunque, concretamente, se non si mandano armi all’Ucraina che resiste, si consegna l’Ucraina a Putin. Questo è in grado di capirlo anche un bambino, e certamente lo capiscono tutti i manifestanti per la pace. Che però hanno deciso di rimuovere questa consapevolezza per non lacerare in contraddizioni la propria coscienza colma di buoni sentimenti e vuota di logica.

Il 24 febbraio l’esercito di Putin invadeva l’Ucraina nella convinzione di arrivare a Kyjiv in un pugno di giorni, acclamato dalla popolazione (almeno quella russofona) come un liberatore, costringendo Zelensky alla fuga. Invece l’esercito e la popolazione, malgrado la ciclopica disparità di forze, resistono eroicamente. Anche ai bombardamenti contro obiettivi civili, che radono al suolo città. Quanto avrebbero però potuto resistere, se dopo qualche tempo non fossero arrivate armi dall’Occidente, a rendere meno gigantesca la disparità nella potenza di fuoco? Due mesi? Un mese? Chi biasima o bolla di riprovazione quell’invio di armi concretamente voleva, con la propria azione (che è tale anche quando azione omissiva) consegnare il popolo ucraino al tallone di Putin, anche se le sue parole gridavano pace e il suo cuore grondava di simpatia per l’aggredito contro l’imperialista aggressore.

A questa realtà non ci si può sottrarre. Dire che alle armi deve sostituirsi la diplomazia è puro insulto, sanguinoso oltraggio, irridente villania per chi con le armi resiste, fino a che non si riesce preliminarmente a imporre che si ritirino le armi di chi ha aggredito. Se l’Occidente avesse fornito a fine febbraio le armi che la resistenza ucraina chiedeva, questa guerra sarebbe finita da un pezzo, migliaia e migliaia di persone trucidate sarebbero ancora in vita, deserti di macerie sarebbero ancora città, milioni di donne ucraine non sarebbero state costrette all’esodo verso ovest per salvare i propri bambini dai missili di Putin che miravano a scuole ed asili.

Se l’Occidente fornisse oggi tutte le armi che l’Ucraina chiede, missili a più lunga gittata ed aerei, la guerra finirebbe in poche settimane, migliaia di persone avrebbero un futuro di vita, che invece saranno spente per sempre. Ma sul punto di essere costretto a ritirarsi Putin userebbe l’atomica, dice la migliore buonafede del giovane pacifista e dell’anziano. Che anche in questa estrema giustificazione di una conclusione di resa dell’aggredito all’aggressore rinuncia all’uso della ragione.

Se minacciando l’atomica Putin potrà ottenere un premio (e qualsiasi soluzione che non sia il ritiro dell’aggressore È per l’aggressore un premio) perché mai non dovrebbe sentirsi incoraggiato a minacciarla di nuovo? Putin ha infatti dichiarato, nei giorni precedenti il 24 febbraio, più volte e solennemente, che la sua missione storica è realizzare il Russkiy Mir, l’annessione alla sua Russia di tutti i territori dove il “da” suona. L’Ucraina è per Putin solo il primo passo di questa storica e mistica missione. Consentirgli di realizzarla cosa ha a che fare con la volontà di pace?



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