Pace e politica. Far tacere le armi, far parlare la diplomazia.

 Sono passati nove mesi dall’inizio della guerra in Ucraina e non si vede una strategia politica e diplomatica per uscirne, per fermare i massacri, le devastazioni ed evitare il rischio di un allargamento del conflitto.

Mario Barbati

 Sono passati nove mesi dall’inizio della guerra in Ucraina e non si vede una strategia politica e diplomatica per uscirne, per fermare i massacri, le devastazioni ed evitare il rischio di un allargamento del conflitto. Resto dell’idea, pur conoscendo tutti i “se” e i “ma” sulle cause della guerra, che la Russia abbia violato il diritto internazionale, che il sostegno anche militare e tecnologico alla resistenza ucraina sia stata una scelta obbligata e che Putin sia un tagliagole, un capomafia, un nazionalista efferato, ma questo lo pensavo già prima del febbraio 2022. Lo scrissi su questo sito, pur non negando le contraddizioni dell’Occidente. Ma il sostegno andava dato e doveva essere finalizzato a un cessate il fuoco che portasse a una soluzione diplomatica, il contrario della situazione in cui ci troviamo. È necessario prendere atto che dopo mesi di guerra, la diplomazia non ha trovato cittadinanza, la politica risulta completamente assente e le scelte fatte finora dalle cancellerie internazionali vanno nella direzione di una guerra senza fine.
Cerchiamo di andare oltre quindi, per evitare di portare il cervello all’ammasso, alle litanie che sentiamo da mesi, “c’è un aggressore e un aggredito”, “Putin non vuole trattare”, “sarà l’Ucraina a decidere quando finirà la guerra” e altre bambinate del genere. Non ci sarà nessuna pace, nessuna vittoria, nessuna sconfitta nell’immediato, ma c’è la necessità sempre più urgente di arrivare a un cessate il fuoco. Solo dopo, si potrà intavolare una trattativa, aprire un negoziato, avviare una soluzione diplomatica. E il negoziato si fa con il nemico, con il nemico che ha le mani sporche di sangue, è da sempre stato così. Una trattativa che, in uno scenario come quello russo-ucraino, potrebbe durare anni, forse decenni.
Negoziare non vuol dire trovare la pace da un giorno all’altro, vuol dire fermarsi e probabilmente presidiare con delle forze di sicurezza internazionale le aree dove ancora si combatte. Vuol dire salvare vite umane ucraine dopo mesi di guerra, vuol dire non usare più quelle vite umane come un regolamento di conti tra Stati internazionali per la sistemazione del mondo, ma salvaguardare le vite e la resistenza nazionale ucraina intorno a un tavolo diplomatico. Per questo motivo bisogna far tacere le armi e far parlare la diplomazia, nell’interesse anzitutto dell’Ucraina e affinché la Russia, che dopo il suo fallimento bellico non potrà avere pretese espansive, possa avere una via d’uscita che eviti mosse azzardate e irrimediabili. I modi per arrivarci, se si vuole, ci sono tutti. Manca drammaticamente la volontà politica. Si potrebbe immaginare il ritiro delle truppe russe da tutti i territori ucraini in cambio della neutralità ucraina e magari di referendum e autonomie locali nelle zone di confine filorusse; di fermare l’invio di armi e di vincolare il ritiro delle sanzioni alla non-aggressione e non-proliferazione nucleare da parte russa ma garantendo anche il pieno riconoscimento dei diritti delle minoranze russe che vivono nei paesi ex sovietici come la Lettonia, ora parte integrante dell’Unione europea, un tema da noi completamente (volutamente?) rimosso; si potrebbe ripartire dagli accordi di Minsk fino alla convocazione di una Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa come quella di Helsinki. Le soluzioni ci sono e si conoscono negli ambienti diplomatici, lo testimonia tra le tante la lettera-appello degli ambasciatori italiani, ma sono inascoltate.
Se mai si arriverà a questo, il lascito peggiore di questo conflitto sarà la banalizzazione dell’atomica. L’uso abituale, sconsiderato del termine “nucleare”, le dichiarazioni istituzionali fatte come si fanno le chiacchiere al bar o nei social, sull’Armageddon, l’Apocalisse atomica saranno un punto di non ritorno. Anche perché nell’epoca moderna, la tecnica anticipa l’intenzione dell’uomo e può portare dritta all’autodistruzione. Ma non c’è solo questo. I motivi per cui è necessario più che mai dare un forte impulso alla diplomazia sono innumerevoli, proverò ad elencarne alcuni.

Italia
Far tacere le armi, far parlare la diplomazia perché mi vergogno di vivere in un Paese incapace di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e delle proprie azioni. Date un’occhiata a questi siti: https://www.defense.gov/News/Releases/Release/Article/3027295/fact-sheet-on-us-security-assistance-for-ukraine/; https://www.bundesregierung.de/breg-de/themen/krieg-in-der-ukraine/lieferungen-ukraine-2054514; https://www.gov.uk/government/news/uk-to-send-scores-of-artillery-guns-and-hundreds-of-drones-to-ukraine. È l’elenco pubblico e a disposizione dell’opinione pubblica delle armi e dei materiali bellici inviati da Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna. Questi sono paesi seri, paesi che hanno il coraggio delle scelte politiche che assumono e la credibilità di condividerle con l’opinione pubblica, i cui cittadini vengono trattati e considerati in quanto tali e non in quanto infanti. Sapete perché l’Italia è l’unico paese al mondo che rifornisce di armi senza dire quali sono e senza renderne pubblica la lista? Per il semplice motivo che in un Paese che sta scivolando inesorabilmente verso la povertà i nostri governanti sarebbero letteralmente presi con i forconi e poi perché, piaccia o no, il nostro – che è un Paese con innumerevoli difetti – rimane a larga maggioranza a forte vocazione pacifista (non solo per ideali, anche per opportunismo? può darsi), un paese che “ripudia la guerra” per Costituzione e in cui la voce del Papa e la sua coscienza critica sul mondo sono un punto di riferimento anche per i non credenti, me compreso.

Europa
Far tacere le armi, far parlare la diplomazia perché da nove mesi assisto attonito, sconcertato, incredulo alla narrazione che viene fatta dell’Europa “unita all’insegna della solidarietà…l’Unione si è prodigata collettivamente dimostrandosi all’altezza della situazione…Abbiamo fatto riemergere la forza interiore dell’Europa” (Ursula Von der Leyen, discorso sullo stato dell’Unione, 14 settembre). E ancora, sentite questa: “L’Europa è un giardino, tutto funziona, è la migliore combinazione di politica libera, di prosperità economica e di coesione sociale che l’umanità abbia mai creato. La gran parte del resto del mondo è una giungla” (Josep Borrell, 17 ottobre). “L’Europa non è mai stata così unita, è presto per arrivare addirittura a un debito pubblico comune ma i segnali di questi ultimi due anni fanno ben sperare in una accelerazione dei processi di integrazione” (Mario Draghi, 22 ottobre). Non volendo credere che queste persone mentano, mi domando se credono di essere pagati per trattare gli europei più come gli abitanti di un giardino come quelli di un asilo nido. Mai, credo, nella sua storia, l’Unione è stata così divisa, spappolata, ininfluente. È l’Europa attraversata da un conflitto al suo interno, non le altre aree del mondo. Eppure, è incapace di dare vita a proposte diplomatiche, a un’azione politica incisiva e mi chiedo se i sopracitati si rendano conto che se anche il conflitto dovesse finire domani e la soluzione (o un negoziato di pace) passare sulla testa degli europei, la conseguenza per l’Ue tutta sarebbe di essere una regione del mondo priva di credibilità e ininfluente agli occhi di tutti.
Non parliamo poi della “compattezza” trombeggiata dalle fanfare istituzionali e mediatiche. La Scandinavia, i paesi Baltici, la Romania e soprattutto la Polonia guardano ormai più agli Stati Uniti e se potessero distruggerebbero la Russia, per le note ragioni. Finlandia e Svezia come sappiamo entreranno nella Nato. Il gasdotto che passava sotto il Baltico è saltato senza conoscerne i responsabili. Il Parlamento polacco ha approvato a larga maggioranza una risoluzione in cui si rivendicano 1300 miliardi di euro alla Germania, a titolo di riparazione per i disastri causati dalla Seconda guerra mondiale. La Germania, si sa, quando non si sente più potente, traballa: ha perso i rifornimenti energetici russi a basso costo e sta perdendo quote di mercato con la Cina, a cui esportava quasi il 50% del suo pil. Smarrita, ha assunto una posizione ambigua sulla guerra, Scholz è andato quasi di nascosto in Cina per il timore di perderne i legami soprattutto commerciali. Come sappiamo, per di più, ha deciso di riarmarsi con un fondo modico da 100 miliardi, con tanti saluti agli altri europei e al giardino che forse Borrell vedrà nelle sue visioni notturne. Cento miliardi che, ricordiamolo, non c’entrano nulla con la resistenza ucraina, perché spesso parte dell’opinione pubblica fa confusione anche su questo. Ognuno gioca per sé, ognuno si riarma per conto suo e il continente prende sempre di più posture politiche nazionalistiche. Questo permette, per esempio, alla Von der Leyen di dichiarare impunemente e nel silenzio generale: “La Nato è la più forte alleanza militare del mondo e lo sarà sempre. E l’Ue non sarà mai un’alleanza militare. Ma noi europei dobbiamo essere in grado di occuparci della nostra difesa” (Forum di Davos, 24 maggio). Con cosa, di grazia, Von der Leyen, con le freccette al bersaglio? Le basi europee della Nato, intanto, sono state dotate di ordigni nucleari di nuova generazione, ma da noi non c’è stato nemmeno un dibattito, a dimostrazione che la nostra alleanza con gli Usa, che io considero sempre decisiva, non è fondata su elementi di parità.
Onore al merito a Macron, che almeno ci ha provato a distinguersi: “Domani avremo una pace da costruire, non dimentichiamolo mai. Dovremo farlo con Ucraina e Russia attorno al tavolo ma non si farà in negazione né in esclusione gli uni degli altri e neppure in umiliazione” (9 maggio), “La Russia non dovrebbe essere umiliata, in modo che il giorno in cui i combattimenti cesseranno potremo aprire una via d’uscita con mezzi diplomatici” (4 giugno), ma può permettersi di dire queste cose solo perché la Francia non ha basi nucleari americane ma una sua autonomia e anche la sua atomica. La costruzione di una casa comune europea va così svanendo. Ci eravamo illusi, dopo la pandemia, grazie alla compartecipazione per il fondo comune del NextGEU, voluto fortemente dall’Italia e col consenso decisivo della Germania. L’illusione è durata solo pochi mesi, perché con lo scoppio della guerra ognuno si è chiuso nelle proprie paure e abbiamo regalato la scena a dittatori non meno pericolosi di Putin, come il noto Erdogan che in queste ore sta bombardando ferinamente i curdi. Questa lunga striscia di terra, che parte piccina dalle coste portoghesi e si allarga sempre di più fino alle steppe infinite della Siberia, sarà non solo spezzata per sempre e divisa per chissà quanti decenni, ma separata in due sfere sostanzialmente ininfluenti. L’Unione europea rischia di diventare una colonia americana o comunque dell’anglosfera, con una popolazione sempre più in decrescita e senza una propria Difesa. E la Russia, se proprio vuole sopravvivere anche dopo Putin, dovrà farsi mangiare dalla bocca del Dragone e sostanzialmente essere una succursale della Cina. L’Europa si sta scavando la fossa da sola, nell’inconsapevolezza dei più, delegando tutto alle altre potenze come Usa e Cina, per le quali questo conflitto è solo una parentesi geopolitica, mentre per l’Europa sarebbe vitale per avere un ruolo regional-continentale.

La guerra infinita
Far tacere le armi, far parlare la diplomazia perché le guerre moderne non finiscono mai, molto difficilmente si realizza una piena vittoria militare sul campo. La vittoria totale di Kiev o la sconfitta definitiva di Putin sono qualcosa di irrealizzabile. O che possono portare a un’escalation che potrebbe diventare irrimediabile per il genere umano. Le guerre tra potenze nucleari non hanno vincitori, come sappiamo. Ma non lo dico io. “Deve esserci un riconoscimento reciproco del fatto che la vittoria nel senso proprio della parola probabilmente non è ottenibile con mezzi militari e quindi bisogna guardare ad altri metodi” (generale Mark Milley, capo di Stato maggiore americano, 10 novembre). Il quale auspical’avvio del negoziato, altrimenti rischiamo una situazione tipo 1915, quando l’Europa si divise dietro le trincee, prolungando la Prima guerra mondiale per tre anni. Comunque vada, i russi non vinceranno questa guerra, non penso affatto a una capitolazione. Però è difficile che gli ucraini riescano a liberare tutti i territori occupati”. L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore della Difesa italiana: “Secondo me non ci potrà essere una soluzione militare al conflitto perché la Russia non ha conseguito i suoi scopi strategici e perché l’Ucraina ha reagito con un forte senso di nazione. D’altra parte, i territori presi dai russi non possono essere riconquistati. Ora ci sarà la pausa invernale, il freddo intensificherà la guerra di trincea con il riposizionamento dei due schieramenti. A primavera le ostilità ricominceranno in maniera più violenta, a meno che la comunità internazionale riuscirà a catalizzare i suoi sforzi per una soluzione negoziale” (Corriere della sera, 4 novembre). È strano, quando queste cose le dicono i generali non vengono tacciati di essere “putiniani”, anche se la politica non agisce di conseguenza. Quando le dicono accademici, intellettuali o giornalisti “eretici” saltano i centri universitari o escono le foto segnaletiche sui giornali. Il doppiopesismo “democratico”.

Le Nazioni Unite e il “resto del mondo”
Far tacere le armi, far parlare la diplomazia perché uno degli scandali di questa vicenda è la totale impotenza dell’Onu. Il Consiglio di sicurezza che dovrebbe regolare e prevenire le questioni internazionali è bloccato dal diritto di veto. Ma non c’è solo questo. Il 2 marzo del 2022 le Nazioni Unite hanno votato una mozione di condanna dell’invasione russa, ci sono stati 141 voti favorevoli, 35 astenuti, 11 assenti e 5 contrari. Se guardiamo però al totale della popolazione, i favorevoli rappresentano poco più di 3 miliardi, mentre tra astenuti, assenti e contrari superiamo i 4 miliardi. Situazione analoga si è ripetuta il 13 novembre: l’Assemblea generale ha approvato con 94 voti a favore, 14 contrari e 73 astenuti una risoluzione in cui si chiede che la Russia sia responsabile per le sue violazioni della legge internazionale in Ucraina. La Cina ha votato ‘no’ alla risoluzione, l’India è invece tra i 73 astenuti. Guardiamo le cose per quello che sono e non per come ci piacciono. Il mondo non ha isolato la Russia. La fotografia della realtà è che l’Occidente è una minoranza accerchiata dal resto del mondo. Gli occidentali sono circa 1 miliardo, il resto del mondo 7 miliardi. Questa vasta umanità non approva la guerra di Putin, ma la considera frutto di più responsabilità. E considera comunque la guerra di Putin imperialista e coloniale così come lo sono state le guerre occidentali che hanno violato il diritto internazionale in Iraq, in Afghanistan, in Somalia, in Libia. Quasi tutte basate su prove completamente fasulle. Insomma, non ci vedono come portatori sani e superiori di libertà, come noi pensiamo. Questo non lo dico perché adesso ci tocca fare un grande mazzo di rose e portarlo in omaggio a Putin, ma perché chi si occupa di politica dovrebbe tenere conto di questi scenari. E invece le nostre istituzioni non se ne occupano e questo potrebbe avere risvolti drammatici. Il mondo è martoriato da 169 conflitti in corso, in quella che alcuni anni fa Papa Francesco definì la “guerra mondiale a pezzi”, ma sia l’Onu che l’Occidente se ne disinteressano o non dispongono degli strumenti politici adatti alla nostra epoca. Se l’Onu vuole avere un futuro e rilanciare la sua azione politica, dovrebbe almeno teoricamente provare a mettere in discussione la guerra come risoluzione dei conflitti ed espressione massima della bestialità umana.

Le parole di Moravia
Negli ultimi anni di vita, Alberto Moravia si occupò in maniera continua e quasi ossessiva del rischio nucleare. Lo fece attraverso articoli, inchieste, reportage per diversi giornali che sono stati raccolti in una pratica e bella riedizione da Bompiani, L’inverno nucleare. Lo scrittore intervista un consigliere di Andropov, l’allora segretario del Partito comunista sovietico, sul tema delle atomiche di piccolo calibro, di cui tanto si dibatte in questi giorni. Gli chiede: “Signor Arbatov, lei crede che nel prossimo futuro verrà varcata la soglia atomica con l’uso, in una guerra minore, di armi atomiche tattiche di piccolo calibro?”. “Signor Moravia – risponde Arbatov – io non credo che ci possa essere un conflitto nucleare limitato con uso di armi nucleari tattiche di piccolo calibro in quanto, a mio avviso, questo conflitto limitato sarebbe soltanto l’inizio di un conflitto più vasto”. E ancora, scrive Moravia: “La bomba atomica non è stato un incidente di percorso della nostra civiltà. In realtà ne è parte integrante. È giunto il momento che gli uomini prendano coscienza di quanto i conflitti possano essere inutili e distruttivi e della necessità di bandire la guerra dalle attività del genere umano. È necessario, per la salvaguardia della vita, creare il tabù della guerra. Come da sempre esistono altri tabù, che ci difendono dal caos e dall’autodistruzione, si potrebbe instaurare tra gli uomini questa nuova convenzione sociale”. La miscela composta da pandemia, guerra e crisi economica – messe in ordine diverso – esplose nei due conflitti mondiali del primo Novecento. Troviamo la migliore soluzione possibile per l’Ucraina e mettiamo fine a questa follia, prima che sia troppo tardi.



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