Palestinesi in trappola

Mentre a Gaza Israele provoca una seconda nakba, in Italia si continua ad alimentare la confusione fra critiche a Israele e antisemitismo.

Cinzia Sciuto

„Le persone a Gaza non possono semplicemente sparire nel nulla”: sono queste le parole che la ministra degli Esteri tedesca Baerbock ha usato qualche giorno fa per commentare le notizie di una imminente azione militare israeliana a Rafah. E le voci internazionali che si levano per scongiurare un’offensiva su larga scala sulla città più a sud della Striscia nella quale si sono ammassati un milione e mezzo di civili palestinesi si stanno moltiplicando. In Italia è appena stata approvata dal Parlamento una mozione del Pdche chiede l’immediato cessato il fuoco, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Borrell ha evocato l’ipotesi di un embargo alle armi a Israele, il Segretario di Stato per gli affari esteri britannico Cameron chiede “una pausa immediata dei combattimenti che conduca a un tregua sostenibile senza ripresa delle ostilità”, e Biden stesso ha parlato di una reazione “eccessiva” di Israele al massacro del 7 ottobre.

Eppure, quella che oggi tutti sperano di riuscire a scongiurare è una catastrofe umanitaria annunciata, e in verità in atto già da quattro mesi. Era infatti chiarissimo fin dai primi giorni dopo il 7 ottobre che quello che la guerra lanciata da Netanyahu ufficialmente contro Hamas era di fatto una punizione collettiva contro un intero popolo, che in questi quattro mesi è stato costretto a spingersi sempre più a sud e che oggi si trova in una trappola: da una parte un confine sigillato con l’Egitto, che non può e non vuole accogliere un’ondata di profughi senza precedenti, dall’altro una terra devastata dai bombardamenti e dalle operazioni di terra israeliane. Un impressionante lavoro del quotidiano israeliano Haaretz mostra il livello di distruzione della Striscia di Gaza: i palestinesi che si sono rifugiati a Rafah – lì spinti proprio dall’esercito israeliano – non hanno nessun posto dove andare, né dove tornare.

E mentre Israele provoca una seconda nakba i cui effetti nella memoria collettiva palestinese (e non solo) si faranno sentire per molti decenni, esattamente come accadde per la prima, qui in Italia si alzano inutili polveroni sulla frase “Stop al genocidio” pronunciata da Ghali dal palco di Sanremo, con l’amministratore delegato della Rai subito pronto a diffondere una nota per dissociarsi e la presidente della tv pubblica che a sua volta ne diffonde un’altra per dissociarsi da chi si era dissociato. La reazione scomposta della Rai ha fatto seguito a una dichiarazione indignata dell’ambasciatore israeliano diffusa sui social subito dopo l’esibizione di Ghali: “Ritengo vergognoso che il palco del Festival di Sanremo sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”.

Ora, si può discutere se la parola “genocidio” sia quella adatta a definire quello che sta accadendo a Gaza, certo è che non è Ghali il primo a evocarlo: la stessa Corte di Giustizia dell’Aja ha invitato Israele a “prevenire possibili atti genocidari” e non ha respinto l’istanza del Sudafrica come completamente infondata, rilevando evidentemente indizi di un possibile genocidio in corso o potenziale. Ad ogni modo dal palco di Sanremo non risulta siano state diffuse parole di odio né tantomeno antisemite. La frase “Stop al genocidio” esprime certamente una durissima condanna nei confronti di Israele e, ripeto, si può discutere dell’uso della parola “genocidio”, ma quella frase si può interpretare come una frase che “diffonde odio” solo accettando l’idea che le critiche a Israele siano tout court posizioni antisemite, in un pericoloso corto circuito che più volte abbiamo stigmatizzato e che impedisce di fatto una piena libertà di espressione.

CREDITI FOTO: La foto scattata il 10 febbraio 2024 mostra una ragazza in un campo temporaneo nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. © Yasser Qudih/Xinhua via ZUMA Press.



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