Parsi: “L’Occidente continui a sostenere l’Ucraina”

La situazione sul campo di battaglia, le relazioni politiche, il ruolo di Cina e Turchia. Un bilancio a sei mesi dall’inizio del conflitto.

Cinzia Sciuto

Sono trascorsi poco più di sei mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, iniziata lo scorso 24 febbraio. Proviamo a fare un bilancio della guerra con il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano.
Professore, a che punto siamo nel conflitto iniziato lo scorso 24 febbraio?
È difficile dire se e quanto siamo vicini alla fine della guerra. Quello che certamente possiamo dire è che il fatto che la guerra duri da sei mesi è un primo importante segno del fallimento della strategia della Russia, che non si aspettava certo che gli ucraini avessero questa straordinaria capacità di resistenza, oltre che una organizzazione militare così efficiente. Gli ucraini hanno infatti mostrato di avere una catena di comando e controllo che funziona in maniera discendente, con ampia delega, e in maniera ascendente, con ampia capacità di raccogliere gli input che vengono dal campo. Esattamente quello che manca ai russi, che sembrano invece molto rigidi e spesso attuano piani che non tengono conto della realtà sul terreno. Per non parlare poi della differenza abissale fra i due eserciti in termini di corruzione. Dal punto di vista militare, nessuno avrebbe scommesso un euro sul fatto che dopo sei mesi la situazione sarebbe stata questa. Dal punto di vista politico, sul fronte interno qualcosa si sta muovendo. Anche alla luce dell’omicidio di Dugina,  possiamo dire che Putin non ha un controllo così inossidabile a fronte di una campagna militare che non va nella direzione che lui continua a sostenere.

Sul fronte internazionale però sembra che i rapporti con la Cina, soprattutto dopo la visita di Pelosi a Taiwan, si siano rafforzati.
L’allineamento tra le potenze autoritarie è iniziato almeno dal 2008 e la relazione della Russia con la Cina era già molto forte all’inizio della guerra, che altrimenti non ci sarebbe neanche stata. Anche le manovre militari russo-cinesi non sono una novità. Certo questo rapporto ha conosciuto rafforzamento in concomitanza della guerra in Ucraina, legato anche al fatto che sia Xi che Putin devono distrarre le loro opinioni pubbliche da una serie di problemi interni. Putin ha il problema di una certa opposizione interna che, nonostante la repressione, inizia a manifestarsi. E in Cina non tutto il Partito Comunista è così entusiasta delle conseguenze di un uomo solo al comando e della scelta di avere accelerato il confronto con gli Stati Uniti. Non vedo però un rischio concreto di un intervento diretto della Cina in Ucraina, non ne ha nessun interesse. Ricordo peraltro che la Cina non ha mai neanche riconosciuto l’annessione della Crimea da parte della Russia.

Potrebbe però aumentare la pressione militare su Taiwan…
Sì, certo, non credo però che la Cina voglia correre il rischio di un’azione militare diretta a Taiwan, perché i cinesi vedono che lo strumento militare ha dei limiti oggettivi. Lo si vede nell’attuale guerra in Ucraina, nella quale la Russia aveva in teoria tutte le carte per vincere velocemente e così non è stato. E lo abbiamo visto anche in Afghanistan, dove gli Stati Uniti hanno affrontato un nemico infinitamente più debole di loro sul piano militare, eppure…

Perché ci sono variabili difficili da prevedere?
Esatto, la prima e più importante è quella indicata da Clausewitz: la forza di volontà e determinazione, che può compensare il gap dei materiali e del personale fino addirittura a rendere inefficace la sproporzione dei mezzi. Questo è quello che stiamo vedendo in Ucraina. Gli ucraini si battono per la loro libertà, la loro autodeterminazione, per non tornare sotto il giogo di un sistema politico come quello di Putin, che è sempre più autoritario, sempre più corrotto, sempre più inefficiente. E questo fa la differenza. I russi che combattono lì sono in gran parte o mercenari o coscritti mandati non si capisce bene a fare che cosa. È chiaro che poi sul lungo periodo questo elemento da solo non basta ed è questo il motivo per cui è così importante che gli occidentali continuino a mandare aiuti, ma concretamente e non solo a parole. Finora quelli che hanno mandato aiuti consistenti e tempestivi sono stati di fatto solo Usa e Regno Unito. E qui vedo il punto veramente critico di questa fase: che le opinioni pubbliche occidentali, complice anche la crisi energetica, si stanchino della guerra e quindi siano meno disponibili a sostenere gli sforzi che sono necessari per aiutare gli ucraini a resistere. Parlo di sforzi, non di sacrifici, perché a fronte di un popolo che combatte e muore per la sua libertà, parlare di sacrifici nei Paesi occidentali francamente mi sembra eccessivo.

Oltre al sostegno militare diretto la Cina potrebbe però rappresentare per la Russia un mercato alternativo all’Occidente per le sue materie prime, a partire dal gas.
In teoria sì, ma non è che questa sia un’operazione così immediata e semplice. Innanzitutto per ragioni infrastrutturali: non è che si gira una leva e il gas che ieri andava in Europa domani va in Cina. E infatti sappiamo che la Russia sta bruciando gas al confine finlandese. E poi c’è anche la questione prezzo: alla Cina la Russia il gas lo vende a un prezzo molto più basso che all’Europa.

Nelle ultime settimane ha giocato un ruole sempre più importante anhce la Turchia di Erdoğan.
Erdoğan si muove come al solito con la massima disinvoltura, per usare un eufemismo. Da un lato si schiera con l’Ucraina ma dall’altro di fatto consente triangolazioni finanziarie e mercantili alla Russia sotto sanzioni e ha raddoppiato l’ordine di missili anche russi, che evidentemente creano un grosso problema alla Nato. Come tutti gli autocrati, anche Erdoğan ha un problema di consistenza interna. Sul breve periodo le autocrazie, complice anche il controllo dell’informazione, sembrano sempre più efficienti, ma nel lungo periodo le democrazie si rivelano più stabili. Perché il potere incontrollato produce corruzione incontrollata.

Nello sblocco delle navi con i carichi di cereali dai porti ucraini Erdoğan ha però svolto un ruolo centrale.
Sí e no, nel senso che in quella partita Putin aveva un interesse specifico a non passare per colui che affama mezzo mondo, soprattutto quel mondo in cui la Russia sta provando ad aumentare la sua influenza ideologica ed economica. E comunque la questione del grano è stata risolta solo in parte, perché sono pochissime le navi realmente partite: tirare fuori le navi dal porto di Odessa assediato dalla flotta russa del Mar Nero non è esattamente l’operazione più semplice del mondo.

L’Italia intanto si avvia alle elezioni. Quanto peserà la guerra nella campagna elettorale?
Penso molto poco, ma questo non deve stupire particolarmente. La politica estera raramente è stato un tema di interesse in qualunque campagna elettorale e ancora meno lo è quando non si è direttamente coinvolti. È inoltre da rilevare che all’interno dei due principali schieramenti non c’è una posizione coerente tra le forze politiche sul sostegno all’Ucraina e sui rapporti con la Nato. Nella destra abbiamo Meloni e il suo partito che sono atlantisti e hanno sempre dichiarato il loro sostegno all’Ucraina. Salvini che dice cose sgangherate, come quando sostiene che le sanzioni non funzionano come si pensava e quindi vanno tolte. A Salvini sfugge che le sanzioni sono una alternativa, da un lato, all’intervento militare diretto e, dall’altro, all’acquiescenza o alla complicità nei confronti di un aggressore. E poi abbiamo Berlusconi che ha il rapporto con Putin che tutti conosciamo. Anche nel centrosinistra ci sono posizioni articolate: c’è un Pd che, nonostante qualche mal di pancia interno al partito, ha una linea tutto sommato chiara per il sostegno all’Ucraina, e poi c’è la parte più radicale del centrosinistra che ha posizioni diverse. Gli unici internamente coerente sono, su fronti opposti, Renzi-Calenda e i 5Stelle.

Probabilmente l’unico elemento che entrerà nella campagna elettorale sarà quello legato alla crisi energetica…
Esatto, ed è curioso che all’opinione pubblica italiana preoccupata dei rincari, delle speculazioni ecc., pare che non interessi per esmepio il fatto che Salvini non abbia mai chiarito i rapporti che il suo partito ha intrattenuto con quello di Putin. Sarà in parte il clima agostano o sarà anche il fatto che in Italia l’opinione pubblica è molto attenta alla legittima difesa della proprietà delle cose ma molto poco attenta alla legittima difesa dei valori, tipo la libertà.

Qualcuno le risponderebbe che con i valori non si mangia…
E qui sta l’errore, perché i valori sono quelli che consentono poi di poter mettere sul tavolo qualcosa da mangiare, perché è in base ai valori che si possono difendere cose come i diritti, l’equità, la distribuzione delle opportunità e delle risorse. Ma dopo decenni di disinvestimento sull’istruzione, non stupisce che prevalgano ricette semplicistiche.



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