La via italiana alla lotta alla pedofilia tra il clero? Bocciata!

Le realtà riunite nel coordinamento #ItalyChurchToo bocciano le linee d’azione in materia di lotta alla pedofilia presentate dal neo-presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), card. Matteo Maria Zuppi.

Ingrid Colanicchia

Le linee d’azione della Cei in materia di lotta alla pedofilia tra il clero? Carenti e segno di una direzione divergente rispetto all’assunzione di responsabilità e trasparenza richieste. È questa la netta valutazione della “via italiana” alla lotta agli abusi nella Chiesa, illustrata durante l’ultima assemblea della Conferenza episcopale italiana, del coordinamento #ItalyChurchToo, che raccoglie realtà del mondo cattolico e non (Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne, Donne per la Chiesa, Voices Of Faith, Rete L’Abuso, Adista, Left, Comité de la Jupe, Comitato Vittime e Famiglie, Noi siamo Chiesa) allo scopo di fare pressioni sulle istituzioni affinché si intervenga con decisione per indagare sugli abusi all’interno della Chiesa cattolica.

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All’ultima Assemblea generale i vescovi hanno approvato cinque linee di azione «per una più efficace prevenzione del fenomeno degli abusi sui minori e sulle persone vulnerabili»: 1) «potenziare la rete dei referenti diocesani e dei relativi Servizi per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, già costituita a partire dal 2019 in tutte le 226 diocesi italiane»; 2) «implementare la costituzione dei Centri di ascolto, che attualmente coprono il 70% delle diocesi italiane, per accogliere e ascoltare quanti vogliono segnalare abusi recenti o passati»; 3) «realizzare un primo Report nazionale sulle attività di prevenzione e formazione e sui casi di abuso segnalati o denunciati alla rete dei Servizi diocesani e interdiocesani negli ultimi due anni (2020-2021); i dati saranno raccolti e analizzati da un Centro accademico di ricerca»; 4) analizzare, in collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf), i dati custoditi presso la stessa Congregazione «che fanno riferimento a presunti o accertati delitti perpetrati da chierici in Italia nel periodo 2000-2021; l’analisi verrà condotta in collaborazione con Istituti di ricerca indipendenti»; 5) partecipare in qualità di invitato permanente all’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito con legge 269/1998.

Misure bocciate in toto dalla rete #ItalyChurchToo (che il 16 maggio aveva inviato una lettera all’allora capo della Cei Bassetti chiedendo un’indagine indipendente nazionale sul fenomeno criminale delle violenze pedofile nella Chiesa italiana). «Il Coordinamento – si legge in una nota diffusa il 23 giugno – ritiene che i servizi diocesani per la tutela dei minori, così come sono concepiti, non abbiano le caratteristiche di terzietà necessarie per accogliere la denuncia delle vittime, spesso restie a rivolgersi a un centro istituito dalla stessa istituzione all’interno della quale hanno vissuto l’abuso. La resistenza a fare riferimento a tali centri è spesso aggravata dalla presenza di preti quali referenti diocesani; nel merito, i Centri d’ascolto, inoltre, lungi dall’offrire una disponibilità di contatto continuativa e articolata, sono spesso affidati a singole figure con una limitata offerta di tempi e qualità di ascolto».

Per questi motivi «il Coordinamento ritiene inutile un Report annuale basato sui soli dati raccolti dai servizi diocesani, destinati a risultare gravemente lacunosi e parziali e, pertanto, a fornire un’immagine falsata del fenomeno. La collaborazione con un Centro accademico di ricerca in fase di analisi dei dati non costituisce quella garanzia di indipendenza necessaria a raggiungere la conoscenza più ampia possibile del fenomeno, che può essere ottenuta soltanto grazie all’accessibilità di tutti gli archivi ecclesiali, messi a disposizione di un Ente o una commissione super partes dotata di altissima competenza interdisciplinare».

Il Coordinamento ritiene anche «insufficiente il ricorso ai dati in possesso della Cdf, che notoriamente costituiscono solo il dato emerso e giusto a definizione processuale canonica. Ritiene, inoltre, discriminatorio l’arco temporale preso in esame, in quanto escludente le vittime emerse in tempi precedenti, ma anche quelle non emerse in quanto non ancora giunte a maturazione della consapevolezza dell’abuso subìto, il cui tempo è stato attestato, anche in sede scientifica, fino a 30, persino 40 anni; tale arco temporale risulta inoltre insufficiente a determinare sia contesti in cui l’abuso sia stato sistemico, sia dinamiche strutturali più profonde, che solo possono essere individuati esaminando un periodo più ampio. Inoltre, non sono state pronunciate parole chiare in merito al tema dei risarcimenti morali ed economici, passaggi essenziali per dare concretezza alla ricerca di verità e all’offerta di giustizia».

Il Coordinamento ritiene infine inappropriata la partecipazione all’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, «soprattutto alla luce della previa necessità di operazioni di verità e di giustizia che devono precedere qualsiasi sguardo su un futuro di prevenzione – al quale l’Osservatorio è per natura vocato, nonostante lunghissimi periodi di inattività –, nonché qualsiasi coinvolgimento diretto della Cei in qualità di “invitato permanente”».

Insomma, il Coordinamento ritiene che l’orientamento impresso all’operazione complessiva «costituisca una scelta di campo ben precisa, difficilmente passibile di aggiustamenti che possano mutarne radicalmente la natura fino a trasformarla in un’operazione radicale e orientata decisamente alla verità e alla giustizia, quanto potrebbe invece essere assicurato da un’indagine indipendente». In particolare «il mancato coinvolgimento attivo delle vittime fin nella sua concezione – realizzato, al contrario, ad esempio durante i lavori della Commissione Ciase in Francia, che hanno visto anzi la preminenza dell’ascolto dei sopravvissuti – lascia la porta aperta a gravi dubbi riguardo alla reale volontà della Cei di prendersene cura in primo luogo».



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