Pedofilia del clero: il caso don Galli e il silenzio dei vescovi

La conferma della pesante condanna di don Mauro Galli per abusi sessuali apre problemi alla diocesi di Milano. Ma sulla pedofilia i vescovi italiani rimangono imboscati.

Vittorio Bellavite

La prima Corte D’Appello penale della magistratura milanese ha confermato (con una riduzione da sei anni e quattro mesi a cinque e quattro mesi) la condanna di don Mauro Galli per abuso sessuale. Si tratta di un episodio del dicembre 2011, una brutta vicenda di cui si occuparono i media a suo tempo. Essa si caratterizzò da una parte per una lunga serie di scorrettezze e di “coperture” da parte dei vertici ecclesiastici, dall’altra per la tenacia e perseveranza della famiglia della vittima, un giovane allora di 15 anni. L’iter giudiziario non è finito e c’è il rischio concreto della prescrizione. Nel frattempo la cosiddetta “Indagine previa” promossa dalla curia di Milano, che iniziò con incomprensibili tre anni di ritardo (dopo che la vittima si rivolse alla Procura della Repubblica!), portò a un giudizio del Tribunale Ecclesiastico Regionale che emise una sentenza di sostanziale assoluzione del Galli ma senza che se ne conoscano il testo e le motivazioni. Ora il processo è davanti alla Congregazione per la dottrina della fede. La situazione è paradossale: il Galli, pesantemente condannato, sarebbe libero di riprendere il suo ruolo di presbitero della diocesi secondo il diritto canonico. La contraddizione tra ordinamento civile e procedure ecclesiastiche è clamoroso e bisognerà affrontarlo ancora una volta.

Fatti come questi, con altri conosciuti e con altri nascosti, intaccano la credibilità un po’ di tutto il clero agli occhi dell’opinione pubblica, anzitutto di quella cattolica che partecipa alla vita della Chiesa. Si dirà che non bisogna generalizzare, che ci sono tante situazioni virtuose e via di questo passo. Ma il fenomeno dell’abuso non è poi così ridotto se gli addetti ai lavori informano che in Italia e negli altri paesi ci sarebbe una presenza costante di preti che abusano intorno al 4-5%, quindi un numero grande. Mi chiedo perché, per stare alla nostra diocesi, non ci sia una reazione da parte del clero nei confronti della situazione che faccia chiarezza e che quindi non appaia o non sia una qualche forma di protezione del sistema, o di tolleranza o di questione che riguarda solo i vescovi che in questo modo sarebbero al riparo da contestazioni. Forse si pensa che tutto, in fondo, rientri nell’ordinaria amministrazione, “siamo tutti peccatori”, ci sono anche i peccati degli uomini di Chiesa. Sorprende che non si capisca in questo modo che si trascurano del tutto le vittime, cattolici di serie B, che, tra l’altro, proprio perché subiscono una violenza da persona che interviene sulle loro coscienze, patiscono danni psicologici ben più gravi di quelli altri tipi di violenza. Nel caso della nostra diocesi mi domando se non conta e molto, per una sorta di rispetto e per non voler creare un forte turbamento nel tranquillo vivere delle attività di Chiesa, il fatto che i due principali responsabili della Chiesa in Lombardia, l’arcivescovo di Milano Mons. Mario Delpini e il vescovo di Brescia Mons. Pierantonio Tremolada, siano stati coinvolti direttamente in questa storia prima di essere nominati vescovi quando i fatti erano già ben noti. In aree sensibili e preoccupate dei problemi di gestione della Chiesa furono sollevati a suo tempo forti dubbi sull’opportunità di queste due nomine da parte di papa Francesco.

Questa situazione propone, come in altri casi pesanti, il problema di come i vescovi affrontano il problema della pedofilia del clero nella nostra Chiesa. Negli altri paesi a noi vicini, Spagna, Francia, Germania e ora Polonia (prima in USA, Irlanda…) in questi mesi il mondo cattolico è profondamente scosso da gli scandali del clero pedofilo e i vescovi cercano di affrontare là le situazioni con un certo coraggio e parresia. In Italia niente di tutto questo. Si crede di fare il dovuto con l’istituzione di Commissioni diocesane che si occupino dei minori con iniziative di formazione e di prevenzione. Abbiamo già scritto ampiamente e con tenacia che non è questo che serve ora. Ripetiamo i quattro punti sine qua non per riprendere credibilità: istituire una Commissione di indagine indipendente per accertare la quantità e le caratteristiche degli abusi nel nostro paese, fare un solenne atto collettivo di penitenza di tutta la chiesa, rinunciare in ogni modo ai canali interni di tipo ecclesiastico e ricorrere subito alla magistratura, occuparsi delle vittime.

Il Card. Reinhard Marx ha innovato, con coraggio e forte coinvolgimento personale, la pesantezza delle tradizionali “liturgie” degli apparati ecclesiastici, che si manifestano nei loro aspetti peggiori quando ci sono di mezzo rapporti personali ed interpersonali nel clero, conflitti di competenze, rapporti con le gerarchie interne, rapporti con l’autorità civile e via di questo passo. Il card. Marx si è dimesso contro il “sistema” di cui sta discutendo la Chiesa in Germania. Sarebbe buona cosa se nella Chiesa italiana si guardasse al suo esempio in particolare quando a un giudizio critico sul “sistema” si aggiungessero responsabilità personali per fatti specifici. Si avvierebbe col tempo un circolo virtuoso, usando di questa occasione, un sistema nuovo in cui nel funzionamento della chiesa progressivamente assumano responsabilità donne e uomini, più liberi dai vincoli gerarchici e non prigionieri dei silenzi e delle ipocrisie.

(Vittorio Bellavite è coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa)



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