Perecchiana: Perec e l’arte di elencare

Da “Pensare/Classificare” a “La vita, istruzioni per l’uso”, lo scrittore francese è stato il principale teorico della classificazione e dell’arte di enumerare.

Raffaele Aragona

Il termine ‘lista’, se si prescinde dal suo significato legato a designare una lunga striscia di stoffa, di pelle o altro, o addirittura di pietre che orlano i marciapiedi, di Venezia, per esempio, viene immediatamente associato alle liste elettorali, alla lista degli invitati, alla lista dei vini, alla lista della spesa, alla lista di nozze e via discorrendo. Il vocabolo, però, ha avuto anche la ventura di essere utilizzato in occasioni tragiche, come quella di Schindler, sociali, letterarie o quasi.

La prima lista fu forse quella di Mosè, poi ve ne furono altre e la storia della letteratura ne è ricca: da Esiodo a Borges, da Omero a Joyce, da Ezechiele a Gadda. Spesse volte si tratta di elenchi stesi per il solo gusto dell’enumerazione, per la loro musicalità o, ancora, per una sorta di piacere vertiginoso. È una lista, per esempio, anche quella di Leporello che enumera a Donna Elvira le conquiste di Don Giovanni.[1]

La lista ha avuto un periodo di gran moda;[2] l’ha ripresa mirabilmente anni addietro Umberto Eco nel suo Vertigine della lista[3] ch’è tutto un insieme di liste d’ogni genere; qualche anno fa la lista è stata anche il filo conduttore delle puntate di una trasmissione televisiva[4] nella quale Roberto Saviano, esibendosi in un’altra ancóra delle sue ormai tante attività, andava facendo un elenco delle cose per cui valesse la pena vivere e quindi delle cose che si vorrebbe fare appena possibile,[5] invitando quindi i lettori a stilarne uno personale; una lista può essere lo spunto per la trama di un romanzo come accade per quella ritrovata dalla protagonista di un libro di Gold Robin;[6] la riprese anche Meri Lao per un suo delirante e corposissimo saggio sul numero 7 attraverso numerosissime (707) occorrenze;[7] l’aveva ripresa ancor prima Francesco Durante in un suo libricino nel quale, tra le tante sue composizioni, c’era un “catalogo” di centoquarantuno isole italiane elencate in quarantadue endecasillabi in rima, l’ultimo dei quali riferentesi a Capri: «una ne manca, forse la più bella».[8]

In tutto questo fiorire, però, l’autore più significativo di questo genere è stato forse Georges Perec il quale è stato anche un teorico della classificazione, oltre a esercitarla concretamente.[9] Una lista di 37 elementi è quella formulata sotto il titolo “Alcune cose che dovrei pur fare prima di morire”, in Je suis né,[10] con una forma pressappoco simile a quella che avrebbe usata Saviano; Perec non tocca temi fondamentali o profondi, ma esprime desideri di poco conto legati a fatti marginali e di vita quotidiana: «fare una passeggiata sui bateaux mouches», «ordinare una volta per tutte la mia biblioteca», «vivere in campagna», «andare oltre il circolo polare», «imparare a suonare la batteria», «piantare un albero (e guardarlo crescere)» ecc. Lo scrittore francese, per altro, aveva utilizzato questa forma letteraria in varie occasioni come nel suo Tentative d’épuisement d’un lieu parisien,[11] un’elencazione di tutto quanto càpita alla vista di un osservatore attento situato in un angolo di Place Saint-Sulpice, a Parigi; o ancora nel suo Je me souviens,[12] una raccolta, più che di ricordi intimistici, di annotazioni saltuarie prive di un logico collegamento ma pur capaci di condurre il lettore attraverso il labirinto dei sentimenti e degli stati d’animo dell’autore, capaci addirittura di sollecitarlo a ripetere in proprio l’esperimento: tanto che Perec pregava l’editore affinché lasciasse, in fine, alcune pagine in bianco proprio a uso lettori.

Penser/Classer,[13] risulta per molta parte quasi un inno alla catalogazione, alla nomenclatura non più in voga, una sorta di celebrazione appassionata dell’elencazione apparentemente maniacale cui Perec si mostra sempre non nuovo, avendone offerto varie volte esempi notevoli in altre sue opere. “Note su ciò che cerco” è il primo degli articoli riproposti, quello che, bene a ragione, i curatori dell’opera hanno situato in apertura. Esso dichiara esplicitamente la collocazione (impossibile) di uno scrittore che ha sempre “evitato” di ripetersi nelle sue molteplici attività letterarie, molteplici per genere, per forma e per metodo. A volte la lista pare debba sostituire la tradizionale necessità della caratterizzazione dell’ambiente; altre volte l’elencazione e la classificazione hanno per Perec la funzione di estirpare dagli oggetti le tradizionali connotazioni dell’uso quotidiano tentando, così, di assegnar loro una nuova condizione e una nuova collocazione; altre volte come in “Brevi note sull’arte e il modo di sistemare i propri libri”, la catalogazione non è il contenuto del testo ma diventa argomento di riflessione, di studio dei criteri che possono regolarla. Nel testo che chiude la raccolta di Penser/Classer e gliene dà il titolo, Perec analizza tutti gli aspetti della classificazione e dell’arte di enumerare, tentando di trasferire al lettore le proprie «ineffabili gioie» con una trattazione sistematica e densa di osservazioni chiarificatrici:

«In ogni enumerazione ci sono due tentazioni contraddittorie: la prima è quella di censire TUTTO, la seconda di dimenticare comunque qualcosa; la prima vorrebbe chiudere definitivamente la questione, la seconda lasciarla aperta; tra l’esaustivo e l’incompiuto, l’enumerazione mi sembra che sia, prima di ogni pensiero (e prima di ogni classificazione), il segno indiscutibile di questo bisogno di nominare e riunire, senza il quale il mondo (e la vita) rimarrebbe per tutti noi privo di “storia”».

Una maniera di scrivere diversa, questa della lista; una maniera di scrivere che, ad esempio, anziché, approfondire l’indicibile per ricostruire la struttura di un “io” disperso e angosciato, predilige la catalogazione, l’ironia, l’esplorazione attenta e minuziosa della superficie delle cose; una maniera di fare letteratura che forse crede più nella combinatoria delle strutture, nel sistematico gioco delle apparenze, che in quello espressivo/comunicativo della letteratura/cultura tradizionale. Di questa tendenza Georges Perec è certamente un rappresentato di rilievo e non è casuale che egli appartenga all’Oulipo, a quella “fabbrica di letteratura potenziale” che, al di là di un tentativo di riabilitazione dell’artificio letterario derivante dall’uso di strutture estremamente restrittive, ha promosso e promuove, più o meno inconsapevolmente, una sorta di espansione linguistica e una modificazione dei tradizionali schemi narrativi. L’uso della lista conduce Perec addirittura a riflettere sulla propria produzione letteraria e a elencare i propri lavori offrendone una chiave di lettura, come accade in Penser/Classer:[14]

« […] i libri che ho scritti si rifanno a quattro campi diversi, a quattro modi di interrogare che, alla fine, pongono forse tutti la stessa domanda, ma secondo prospettive particolari che ogni volta corrispondono per me a un diverso tipo di lavoro letterario. La prima di queste interrogazioni può essere considerata di tipo “sociologico”: come guardare il quotidiano, ed è all’origine di testi come Les Choses […]; la seconda è di ordine autobiografico: W ou le souvenir d’enfance, La Boutique obscure, Je me souviens, Liex où j’ai dormi, ecc.; la terza, ludica, rinvia al mio gusto per i contrasti, le prodezze, le “gamme”, e a tutti i lavori per i quali le ricerche dell’OuLiPo mi hanno dato l’idea e i mezzi: palindromi, lipogrammi, pangrammi, anagrammi, isogrammi, acrostici, parole incrociate, ecc.; la quarta, infine, riguarda il romanzesco, il gusto per le storie e le peripezie, la voglia di scrivere libri che si divorano stando comodamente a letto: La Vie mode d’emploi ne è l’esempio tipico».

È nel romanzo totale, infatti, ne La Vie mode d’emploi, che Perec trasporta la lista a un’altra dimensione; qui essa non è esplicitamente esposta nel testo, ma ne forma la struttura o, per lo meno, una caratteristica ricorrente dell’impianto dell’intera opera: una lista di imposizioni riunite in 99 elenchi che costituiscono il suo “Cahier de charges”.[15]

« Au départ, j’avais 420 éléments, distribué par groupes de dix: des noms de couleurs, des nombres de personnages par pièces, des événements comme l’Amérique avant Christophe Colomb, l’Asie dans l’Antiquité ou le Moyen Âge en Angleterre, des détails de mobilier, des citations littéraires, etc. Tout ça me fournissait une sorte d’armature […]. J’avais, pour ainsi dire, un cahier des charges : dans chaque chapitre devaient rentrer certains de ces éléments. Ça c’était ma cuisine, un échafaudage que j’ai mis près de deux ans à monter […] ».[16]

In ognuno dei 99 capitoli del romanzo sarà presente un elemento di ciascuna delle 42 categorie che costituiscono l’ossatura del romanzo. I 99 elenchi, uno per capitolo, sono il suo “cahier des charges” e da quei 99 fogli nasce La vita, istruzioni per l’uso. Se alcune delle storie narrate erano state scritte da Perec in tempi precedenti, altre sono generate proprio dagli elenchi e dai relativi elementi che le compongono: essi restano il cuore dell’idea compositiva del romanzo.

[1] “Madamina, il catalogo è questo” (Don Giovanni, di Mozart, libretto di Lorenzo Da Ponte).

[2] Cfr. più innanzi, Marcel Bénabou, L’influenza di Perec sulla letteratura francese contemporanea.

[3] Umberto Eco, Vertigine della lista, Bompiani, 2009.

[4] Che tempo che fa, Rai 3, condotta da Fabio Fazio.

[5] Ripetendo, in verità, quanto aveva già avuto occasione di scrivere Georges Perec (Cfr. nota 9).

[6] Gold Robin, La lista dei desideri dimenticati, Garzanti, 2012.

[7] Meri Lao, Dizionario maniacale del sette, DigiSet, 2013.

[8] Francesco Durante, Donnacapra catoblepa, Edizioni La Conchiglia, 1993.

[9] Carlo Mazza Galanti, in un articolo sulla rivista “Lo Straniero”, elaborò una lista delle liste di Perec partendo dal “Tentativo d’inventario degli alimenti solidi e liquidi che ho ingoiato nel corso dell’anno millenovecentosettantaquattro” per arrivare al “Tentativo di inventario di alcune cose che sono state trovate nelle scale nel corso degli anni”.

[10] Georges Perec, Je suis né, Éditions du Seuil, 1990 (trad. it. Sono nato, a cura di Roberta Delbono, Bollati Boringhieri, 1992).

[11] Georges Perec, Tentative d’épuisement d’un lieu parisien, UGE, 1975, Christian Bourgois éditeur, 1982 (trad. it. Tentativo d’esaurire un luogo parigino, a cura di Eileen Romano, Baskerville, 1989 – Tentativo d’esaurimento di un luogo parigino, a cura di Alberto Lecaldano, Voland, 2011).

[12] Georges Perec, Je me souviens, Hachette, 1978 (trad. it. Mi ricordo, a cura di Dianella Selvatico Estense, Bollati Boringhieri, 1988).

[13] Georges Perec, Penser/Classer, Hachette, 1985 (trad. it. Pensare/Classificare, a cura di Sergio Pautasso, Rizzoli, 1989).

[14] Più specificamente in “Note su ciò che cerco”.

[15] Georges Perec, Cahier des charges de “La Vie mode d’emploi”, a cura di Hans Hartje, Bernard Magné e Jacques Neefs, Zulma, 1993.

[16] «All’inizio avevo 420 elementi distribuiti a gruppi di dieci: nomi di colori, numero dei personaggi da mettere in ogni stanza, avvenimenti come l’America prima di Cristoforo Colombo, l’Asia nell’Antichità o il Medioevo in Inghilterra, particolari di mobilio, citazioni letterarie, ecc. Tutto ciò mi forniva una specie d’armatura […]. Avevo, per così dire, un “capitolato”: in ciascun capitolo dovevano rientrare alcuni di questi elementi. Questi erano i miei attrezzi, una impalcatura che ho impiegato quasi due anni a montare […]», (Magazine littéraire, n° 141, octobre 1978, entretien avec Jean-Jacques Brochier).

 

(Credit Image: © Ulf Andersen/Aurimages via ZUMA Press)



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