La colpa delle vittime

Le parole del ministro subito dopo la tragedia di Cutro rivelano una tendenza molto diffusa: quella di incolpare le vittime per la propria condizione.

Cinzia Sciuto

“La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”: con queste sciagurate parole il ministro dell’Interno Piantedosi ha commentato a caldo la tragedia di Cutro, dove un’imbarcazione con più di cento persone a bordo si è rovesciata in mare dopo diversi giorni di navigazione in condizioni meteo proibitive. 79 sono i sopravvissuti, 64 al momento le vittime accertate, tra cui diversi bambini. E di fronte a questa immane tragedia, il nostro ministro dell’Interno non trova di meglio da fare che impartire una lezione di morale ai genitori di quei bambini. Caro ministro Piantedosi, cosa intende fare? Vuole forse perseguire queste madri, questi padri per omicidio preteritenzionale? Intende aggiungere allo strazio per la perdita dei figli anche il fardello del senso di colpa?

Nei giorni successivi – prima in una intervista al Corriere e poi nell’intervento in Senato – il ministro ha cercato di correggere il tiro, ma il peso di quelle parole rimane. Parole che sono l’emblema di una tendenza purtroppo ampiamente diffusa nel nostro Paese: quella di dare la colpa alle vittime. Che siano le donne vittime di violenza che se la vanno a cercare per come si vestono o si comportano, che siano i disoccupati che non si accontentano di salari da fame e condizioni di lavoro indecorose, che siano i vari Stefano Cucchi che si vanno a infilare sotto i pugni e i calci dei carabinieri, che siano genitori disperati che sperano di dare un futuro (non un futuro migliore, ma un futuro e basta) a dei figli che un futuro non ce l’hanno, la colpa per la propria condizione viene attribuita a chi non è stato capace di prevenire o affrontare una certa situazione, a chi non si è ”ingegnato” per uscirne.

La tragedia di Cutro dimostra poi, se ancora ce ne fosse bisogno, che la teoria delle ong come pull factors – ossia come elementi che incoraggiano le partenze – è una balla colossale. Come ha dichiarato lo stesso ministro Piantedosi, la rotta dell’imbarcazione che si è rovesciata davanti alle coste calabresi non è una di quelle tipicamente presidiate dalle navi delle ong, ed è anche più lunga e pericolosa di altre. Eppure migliaia di persone decidono di percorrerla ugualmente, sapendo che nessuna nave di ong andrà a soccorrerli. Perché non esistono pull factors, ma solo push factors: guerre, carestie, dittature che rendono la vita impossibile a milioni di persone e li spingono a mettere in gioco la propria vita in cambio di una, seppur piccola, chance.

È vero, signor ministro, questa tragedia non è la diretta conseguenza delle politiche di questo governo, fosse anche solo per il fatto che si tratta dell’ennesima tragedia di una serie che si è consumata sotto ogni governo. Ma le rotte delle migrazioni si adeguano alle politiche che cambiano ed è lecito pensare che la stretta del governo sulle navi ong che presidiano il tratto di mare fra la Sicilia e la Libia abbia indotto le reti che gestiscono le rotte migratorie a “spostarsi”, a costo di far affrontare ai migranti viaggi sempre più pericolosi.

 

Foto 1 Wikipedia | Ministero dell’Interno 

Foto 2 Twitter | Croce Rossa



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