Nessuna redenzione per la tragedia greca

In “Pietà e terrore. La tragedia greca” (Einaudi, 2023), Giulio Guidorizzi affronta l'antica arte ellenica e il suo immaginario.

Marilù Oliva

Giulio Guidorizzi è uno dei nostri più autorevoli studiosi del mondo antico. Ha insegnato Letteratura greca e Antropologia del mondo antico nelle Università di Torino e di Milano e, oltre ad aver tradotto opere dal greco, si è occupato ampliamente di mito. Ricordo solo, tra gli altri:  Il mito di Edipo (Einaudi 2004, con M. Bettini) e  la saga degli eroi collegati alla guerra di Troia:  Io, Agamennone. Gli eroi di Omero (Einaudi 2016), Ulisse. L’ultimo degli eroi (Einaudi 2018), Enea, lo straniero. Le origini di Roma (Einaudi 2020).
In Pietà e terrore. La tragedia greca (Einaudi, 2023) affronta la tragedia greca e il suo immaginario. Non solo per quanto concerne le vicende vere e proprie rappresentate, ma anche e soprattutto il loro senso all’interno del sistema del pensiero antico. Un pensiero in cui grande spazio viene lasciato all’irrazionale, alle ambizioni individuali, agli istinti e alle brame. E lo spettacolo che si consuma nel luogo pubblico del teatro diviene ipostasi di un’esistenza cui è impossibile dare spiegazioni. Perché la scelta individuale perde forza di fronte ad altri meccanismi, c’è qualcosa al di sopra di tutto, persino degli dèi: «C’è l’inevitabile, certo, l’onda che ti trascina: i Greci hanno una parola per questo, anánke, “necessità”, il muro di roccia liscia contro il quale ci si deve fermare; non è Provvidenza, non è volontà di Dio. La anánke, la necessità inevitabile e muta, è altra cosa dalla volontà degli dèi».

Nessuna risposta plausibile a questi eventi. Nessun premio, nessun castigo. Nessuna redenzione, quindi, per eroi ed eroine tartassate dalle disgrazie. Perché tutto si svolge inesorabilmente nell’imperscrutabile mondo terreno. Talvolta, come nel caso di Edipo, i protagonisti sono colpevoli-inconsapevoli, altre volte hanno seguito le leggi sacre (Antigone), altre ancora hanno imposto la ragione di stato sugli affetti familiari (Agamennone). Suicidi per orgoglio o per vergogna, assassini per vendetta e faide familiari, infanticidi, matricidi, agguati e altri misfatti che ci lasciano sgomenti. Da tramite tra l’ineluttabile e l’umanità stanno quelle creature sciamaniche preposte a decriptare gli arcani, i segreti e le volontà divine: indovini, vaticinanti, sacerdoti e sacerdotesse. Tiresia, la Pizia e gli altri saltimbanchi dello svolgersi del Fato si affacciano sulla scena con la loro parola carica di presagi nefasti.

Dobbiamo conviverci con le sofferenze ed è inutile cercare una spiegazione: esistono, son parte importante della vita e delle relazioni, gli antichi non scalpitavano per risalire a galla del mistero. Così era. Forse la rappresentazione scenica serviva ad esorcizzare? Forse concedeva un confronto tra le ombre del quotidiano e quelle protese sui personaggi che si inabissavano? Il professor Guidorizzi ha individuato l’essenza profonda di queste opere che hanno attraversato i secoli, mantenendo intatto il loro fascino: «Tragico, in senso greco, non è sperare in una ricompensa né credere che ogni cosa sia orientata da una forza superiore, né sublimare il dolore e neppure cercare di comprenderlo: piuttosto, è riconoscere che non esiste spiegazione per gli eventi umani, ma solo mistero, e che appunto, forse, quando si rinuncia a cercare una spiegazione, allora si comincia a capire».
Attraverso incursioni nella filosofia, nella letteratura russa (ma anche in Pirandello), nella filologia, scopriamo l’essenza potente delle storie tragiche e il loro lascito: la scoperta del mondo interiore. Un mondo fatto di impulsi, emozioni, desideri, rabbie furiose, sconfitte, aneliti che distruggono tutte le impalcature del buonsenso e della ragione, trasformando in poche ore un idillio in un inferno senza scampo. E l’aggancio con la contemporaneità è davanti a noi, scottante ed evidente, come ci manifestano i casi di cronaca e alcune reazioni a catena devastanti che sono già stati narrati, anche solo in parte o in toto, duemila e cinquecento anni fa dal tragico antico.



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