Poco lavoro e a termine: cosa ci dice l’ultimo rapporto Istat

In Italia è necessario aumentare l’occupazione. Si può fare combattendo la precarietà e investendo in formazione, in politiche industriali e in misure di conciliazione famiglia e lavoro.

Marianna Filandri

Pochi giorni fa è stato pubblicato il rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile di Istat. Gli indicatori sul lavoro ci raccontano che l’occupazione è aumentata. Un dato positivo certamente, soprattutto considerando l’impatto che ha avuto la pandemia sul mercato del lavoro. Infatti, nei mesi successivi alla diffusione del virus, si è verificata una diminuzione del numero di occupati e disoccupati. Secondo i dati Istat la differenza tra la media dell’occupazione del 2019 e del 2020 è stata di poco più di 700mila persone. A queste si aggiungono circa 230mila disoccupati che hanno smesso di cercare lavoro. Di conseguenza è aumentata notevolmente la parte di popolazione in età da lavoro che si dichiara inattiva. Questo scenario ha subito una inversione di tendenza a partire dalla fine del 2020. Sempre secondo i dati Istat, la perdita dei posti di lavoro rispetto dovuta alla pandemia si è molto ridotta nel corso del 2021 e del 2022, con circa 690mila posti di lavoro in più. La variazione nella disoccupazione a distanza di tre anni è invece meno positiva dato che il numero di quanti cercano lavoro – poco più di 2milioni di persone – è calato come conseguenza della maggiore inattività.

Il miglioramento quantitativo dopo le gravi conseguenze della diffusione del virus, ci riporta in ogni caso allo scenario pre-pandemico. Scenario caratterizzato un tasso di occupazione tra i più bassi di Europa, circa 65% con dieci punti percentuali in meno rispetto alla media europea e ben al di sotto dei cinque stati che superano la soglia del 80%: Paesi Bassi, Svezia, Estonia, Repubblica Ceca e Malta.  Dunque, bisogna aumentare l’occupazione. Come farlo? Necessariamente in molti modi: investimento in formazione, in politiche industriali, in misure di conciliazione famiglia e lavoro. E ancora, a fronte di una notevole domanda di lavoro – secondo i dati Unioncamere entro giugno 2023 sarebbero possibili circa 1,5 milioni di assunzioni – verrebbe da rispondere che una delle soluzioni migliori è investire nell’incontro tra forza lavoro e imprese. Tra tutte le azioni da mettere in campo alcune però sono irrilevanti, se non addirittura negative per una parte coinvolta. Una di queste è l’aumento della flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro. Sono infatti molti gli studi concordi nel ritenere inefficace la diffusione dei contratti a tempo determinato nell’aumentare l’occupazione. Al contrario vi sono gravi ripercussioni sia sulle condizioni di vita dei singoli sia sui costi che ricadono sulla collettività. Due esempi su tutti: il posporre le scelte riproduttive e la riduzione dei consumi.
Sarebbe allora auspicabile leggere di misure che intendono intervenire oltre che sulla quantità anche sulla qualità dell’occupazione. Misure che con in un paese con circa 3 milioni di lavoratori a termine – 17% dei dipendenti – sono quantomai urgenti.



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