Poveri meritevoli, natalità e autonomia differenziata: l’analisi del vocabolario del Governo

Alcune considerazioni emerse durante il dibattito organizzato dalla rete EducAzioni sulle parole controverse fatte proprie dal Governo Meloni e sulla parola, o meglio su un tema, mancante nell'agenda di governo: l’accesso alla cittadinanza per i minorenni stranieri.

Michela Fantozzi

La rete EducAzioni ha organizzato il 1 febbraio l’evento online “Le parole sono importanti. Un mini-vocabolario per rileggere quelle del Governo”.

La discussione prendeva in esame il vocabolario equivoco introdotto dal nuovo Governo nella designazione dei ministeri e negli obiettivi che si è preposto.

In particolare alcune parole chiave sono emerse come tratto distintivo, politico e valoriale, dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. “Merito”, “natalità”, “autonomia differenziata”, ma anche “povertà minorile”.

Su queste parole, che sembrano toccare più direttamente l’interesse e il destino di bambine/i e adolescenti, la rete EducAzioni ha proposto una rilettura per far emergere i non sempre univoci significati, nello spirito di un confronto critico e costruttivo. Alle parole individuate finora – natalità, merito, autonomia differenziata, povertà minorile – è stata aggiunta una parola, o meglio un tema, mancante: l’accesso alla cittadinanza per i minorenni stranieri.

La sociologa Chiara Saraceno è intervenuta attaccando il concetto di merito per come è adoperato dal Governo: «La parola “merito” è trasversale alle altre adoperate dal Governo perché non connota solo il profilo del Ministero dell’Istruzione. È interessante come si declina con l’autonomia differenziata e nel dibattito sulla cittadinanza, dato che si ritiene che la cittadinanza italiana per i non italiani vada meritata. Cosa voglia dire non è chiarissimo», ha spiegato. «Ma la parola “meritevole” da parte del governo ha rispolverato anche l’antica distinzione tra poveri meritevoli e poveri non meritevoli, in particolare nelle decisioni che sono state prese in merito al reddito di cittadinanza. Per la prima volta i minorenni in condizioni di indigenza sono stati considerati “poveri meritevoli” e quindi da proteggere insieme ai loro famigliari, in contrapposizioni ai non meritevoli, ossia a coloro che non hanno figli. In compenso gli stranieri sembrano appartenere pe definizione alla categoria dei poveri non meritevoli”.

Un altro dei termini sotto esame è “natalità”, parola utilizzata per dare una nuova connotazione al ministero che più di altri si è sempre occupato di diritti delle donne. Il nuovo ministero della Famiglia, della Natalità e delle Pari opportunità, legando la questione dell’uguaglianza alla natalità ha espresso in maniera chiara che ruolo il Governo assegna alle donne: uno non divisibile della procreazione.

Alessadro Rossina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, in merito alla natalità ha affermato l’importanza di politiche riguardati non solo uno dei genitori e non solo nel mero ambito della procreazione:

«Avere figli non è una scelta indipendente dalle altre scelte di realizzazione e benessere personale e della famiglia. Quindi le politiche alla natalità devono essere messe in rapporto ad altre politiche che riguardano il mercato del lavoro, l’istruzione e le politiche abitative. In particolare, la scelta di avere figli e di lavorare devono poter essere fatte assieme e con successo e questo è un punto fondamentale. Vuol dire introdurre determinate politiche di conciliazione di vita e lavoro che devono servire anche la condivisione delle responsabilità tra madri e padri», ha argomentato. «Avere figli non è una scelta solitaria, serve una comunità che riconosca valore a quella scelta. Servono strumenti che funzionino e siano adatti ai contesti territoriali specifici all’interno dei quali poi le scelte vengono prese. In ultimo, le politiche per la famiglia e della natalità devono essere rivolte a tutti i bambini indipendentemente dalle caratteristiche dei genitori. E devono essere anche intese come priorità condivise del Paese mettendo al centro l’investimento solido dell’investimento sulle nuove generazioni».

Si è parlato anche di autonomia differenziata, progetto caro al Governo Meloni e in discussione al Consiglio dei ministri. Sul tema è intervenuto Gianfranco Viesti, Professore ordinario di economia applicata dell’Università di Bari “Aldo Moro”:

«Che significa davvero autonomia differenziata? Parliamo di richieste avanzate ai sensi dell’articolo 117 dal Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e altre regioni. È un’iniziativa politica importante e io personalmente sono molto contrario, la giudico un’iniziativa delle comunità chiuse, che viene dal passato e non guarda al futuro, che è maturata in condizioni molto particolari, quelle degli anni dell’austerità in cui regioni ricche si sono viste una forte riduzione nei servizi e hanno pensato di intraprendere una strada a loro esclusivo vantaggio», ha spiegato. «È una proposta sostenuta in particolare dal presidente della regione Veneto, Luca Zaia, e quello dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini e dalla Lombardia. Le tre regioni hanno preso un’iniziativa politica molto importante. Non hanno scelto tra il bouquet di possibili competenze indicate dalla costituzione, corrispondenti a una vera esigenza ma hanno detto “voglio tutto”. Altra cosa interessante è che mai, in nessun documento è specificato perché quella regione vuole quella competenza. (…)».

Ma gli aspetti inquietanti relativi all’autonomia differenziata secondo Viesti nascondo dal desiderio di accaparrarsi più risorse: «Un altro motivo per cui l’autonomia differenziata non va bene è che nella tradizione lombardo-veneta queste richieste di competenza sono state sempre strettamente legate a maggiori risorse. Con l’idea che essendo regioni ricche, hanno diritto a trattenere sul proprio territorio una parte delle tasse pagate. Un principio eversivo dal punto di vista costituzionale e anche politicamente durissimo perché vuol esprimere il concetto che chi vive in comunità più ricche ha più diritto di chi vive in comunità più povere. (…) Non sto parlando di fantasie, ma sto parlando di una richiesta esplicita della regione Veneto formulata in una deliberazione del consiglio del Veneto di trattenere i 9/10 del gettito fiscale. Queste richieste così estreme nella comunicazione pubblica sono sparite, inabissate in mille rivoli di carte».

 

 



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