Il Primo Maggio è davvero la Festa dei Lavoratori?

Dal “pacchetto Treu”, anno 1995, fino ad arrivare al Jobs Act di Matteo Renzi passando per i governi Prodi e Berlusconi, breve storia triste di come è stato distrutto il lavoro in Italia.

Maria Mantello

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, è l’incipit della nostra Costituzione. Ed è la straordinaria proclamazione di democrazia, dove il lavoro “per diritto e non per piacere” garantisce a ognuno promozione individuale e sociale.
Perché in uno Stato democratico non possono esserci né sfruttati né sfruttatori. Perché nessun individuo può essere merce e strumento di arricchimento di pochi, che sulla precarizzazione delle vite altrui creano potentati economico-politici di familismo amorale. Perché fuori del diritto per ciascuno di trarre sicurezza dal proprio lavoro non c’è libertà, democrazia, giustizia.

Oggi tutto questo comincia a essere chiaro anche ai tanti italiani presi dalla fascinazione della flessibilità, il cui unico risultato è stato eliminare i diritti costituzionali del lavoro e nel lavoro.
Una narrazione iniziata negli anni Ottanta. Quando il craxismo dava la stura al riflusso politico-economico-sociale. Rampatismo e Disimpegno erano il dittico per la svolta reazionaria.

Le reti berlusconiane, a cui Craxi assicurava la scalata, smerciavano la favola della ricchezza a portata di mano grazie alla flessibilità del lavoro: ne lasci uno, ne prendi un altro, padrone di scegliere! Bisognava «liberarsi da lacci e lacciuoli» del posto fisso. In questo delirio collettivo di balle demenziali erano allevate le nuove generazioni che scambiavano soap opera per realtà.

Nel 1995 Tiziano Treu, ministro del lavoro del governo Dini, presentava il suo “pacchetto” che diventava legge il 24 giugno 1997. Al governo c’è Prodi e Treu è sempre il ministro del lavoro.
La favola della flessibilità è spacciata ancora come incremento dell’occupazione. Ed è il trionfo dei contratti interinali. Che la legge 1369/1960 vietava per le attività continuative e stabili. Una pacchia per le imprese e per le agenzie private di collocamento.
Dopo tre anni di gestazione parlamentare (2001-2003), in meravigliosa combutta di alleanze trasversali l’instabilità del lavoro prende il volo con la Legge 30 del 14 febbraio 2003, meglio conosciuta come “legge Biagi”.

Ed ecco il trionfo dei contratti a progetto (co.co.pro.). Il tempo indeterminato è ormai un miraggio, ma la favola del lavoro flessibile continua, e il sacrificio delle tutele dei lavoratori anche.
Ed è ormai una catena ininterrotta, che già ben oleata negli ingranaggi, si implementa in un pullulare di tipologie di legalizzati contratti «atipici».
Nemmeno il padronato (forse) sperava tanto. Ma vista l’aria, alza il tiro, fino ad ottenere lo scalpo dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Ci aveva provato Berlusconi, ma poi con Monti ne inizia la decapitazione… e il suo delitto è portato a termine con Renzi.

La precarizzazione avanza e si chiama Jobs act: lavoro sicuro in libero licenziamento.
Dopo anni e anni di sempre più legalizzata deregolamentazione del lavoro, assistiamo al tradimento del dettato costituzionale del diritto al lavoro motore di emancipazione individuale e sociale. Per essere liberi dalla soggezione, dal ricatto, dal sopruso.
E nell’assenza di politiche che rimettano al centro il diritto al lavoro e la dignità del lavoro, anche le sistematiche morti sul lavoro sembrerebbero “normali” fatalità.

Credit Foto: Un momento del presidio di insegnanti, Cub, precari e lavoratori del pubblico impiego nella piazza del Palazzo comunale, Torino, 23 ottobre 2020 ANSA/ALESSANDRO DI MARCO



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