Putin messo all’angolo alza il tiro. Intervista a Mara Morini

La docente esperta di politica russa analizza il discorso del presidente russo che minaccia il ricorso all’arma atomica.

Cinzia Sciuto

Stamattina Vladimir Putin ha parlato alla nazione. Prof.ssa Morini, quali sono stati i passaggi più rilevanti del discorso?
Putin ha confermato che l’obiettivo di questa operazione militare speciale era la liberazione e la denazificazione del Donbass. E ha ribadito che, visto che l’Occidente sta spingendo l’Ucraina a fare una guerra contro la Russia – questa la sua lettura dei fatti – ritiene opportuno per la difesa della patria attivare una mobilitazione parziale.

Cosa significa “mobilitazione parziale”?
Putin ha bisogno di inviare sul terreno esperti e professionisti, un esercito di riserva. Il ministro della difesa Šojgu ha parlato di 300mila soldati. Putin ha capito che sul terreno, dal punto di vista militare, non può affidarsi solo ai volontari, ai mercenari di Wagner, all’esercito ceceno. Sebbene questi uomini siano molto addestrati, manca infatti un coordinamento e la controffensiva ucraina ha dimostrato che ci vuole un’azione più coordinata sul campo.

Perché questa escalation proprio adesso?
Era in realtà una decisione che tutti gli osservatori si aspettavano. Putin è stato messo all’angolo sia militarmente dalla controffensiva ucraina, sia politicamente, soprattutto dopo il vertice di Samarcanda, dove sostanzialmente il messaggio di paesi come la Cina e l’India è stato: “Vedi di finire presto questo conflitto, noi non ti aiutiamo militarmente”. Una debolezza che rischiava di condurre anche a uno sfaldamento della compattezza dell’élite, il cosiddetto anello d’oro del Cremlino. Dal suo punto di vista era l’unica scelta possibile. Teniamo conto, infatti, che una parte dell’apparato si stava lamentando dell’andamento troppo incerto del conflitto.

Nel discorso ha anche fatto allusioni all’uso dell’arma atomica. Quanto è realistica questa minaccia?
Sì, ha specificato che utilizzerà qualsiasi arma a disposizione per difendere la patria. Io penso che non sia un bluff, ma allo stesso tempo che non sia una reazione immediata, a mio avviso ha altro in mente a breve termine. Penso che con l’esercito di riserva punterà a colpire le infrastrutture in previsione dell’autunno e dell’inverno per rendere impossibile la vita agli ucraini nella speranza di una resa.

In questa decisione che ruolo giocano gli annunciati referendum nelle regioni di Donbass e a Kherson e Zaporizhzhia?
Sono centrali perché, una volta che quelle zone verranno dichiarate formalmente russe all’esito dei referendum, qualunque attacco ucraino in quei territori verrà automaticamente considerato da Putin un attacco diretto al territorio della Federazione russa. È la premessa che gli consentirà una eventuale successiva nuova escalation. È anche un modo per consolidare la conquista del territorio sinora ottenuta.

Ma quanto saranno attendibili i risultati del referendum?
Diciamo che risultati molto favorevoli all’annessione russa avranno molto il sapore di brogli e questo perché, a differenza della Crimea dove il sentimento filorusso è piuttosto diffuso, nelle regioni che andranno a referendum nei prossimi giorni la situazione è molto più complessa, specie dopo questi mesi di conflitto che magari hanno fatto vacillare le inclinazioni filorusse di molti. Ma che i risultati siano attendibili o meno e che siano o meno riconosciuti dalla comunità internazionale è per Putin completamente irrilevante.

Come dovrebbe reagire a questo punto l’Occidente?
Si tratta innanzitutto di capire cosa vogliamo. Per quello che riguarda gli Stati Uniti, mi sembra che sia chiaro: vogliono la destituzione di Putin e il crollo della Russia di Putin. Ma l’Europa? Mi pare che rischi di rimanere con il cerino in mano. Noi siamo più deboli degli Usa, perché negli anni ci siamo resi molto dipendenti dal punto di vista energetico dalla Russia di Putin. Non per niente ieri Macron ha cercato di parlare con Putin, ma non c’è riuscito. Io penso che l’unico modo per uscirne sia che Biden, Putin e XI Jinping si siedano attorno a un tavolo e concordino il nuovo ordine mondiale.

Ma questo non significherebbe di fatto cedere a Putin? E una sua vittoria, anche solo simbolica, che conseguenze potrebbe avere?
Naturalmente sarebbe un precedente molto grave; il messaggio sarebbe che un regime autoritario può fare quello che vuole e l’Occidente è inerme. Questo aprirebbe scenari preoccupanti in altre aree del mondo, penso alla Cina e Taiwan, all’Azerbaijan e l’Armenia e all’Asia centrale. Ma credo anche che sia necessario valutare le singole situazioni volta per volta, senza andare troppo in là con le previsioni.

(credit foto EPA/SERGEI BOBYLEV/SPUTNIK/KREMLIN POOL)



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