Qualche perplessità sui rudimenti di finanza a scuola

Una risposta all'articolo di Emilio Carnevali sulla necessità di introdurre l'economia e la finanza come insegnamenti nelle scuole.

Carlo Scognamiglio

Il 28 marzo Emilio Carnevali ha pubblicato su MicroMega un’interessante riflessione – peraltro molto ben scritta – sull’opportunità di introdurre tra le discipline d’insegnamento scolastico i Lineamenti di economia e finanza.

Non è una proposta nuova, ma le argomentazioni di Carnevali mi paiono più profonde e raffinate di quelle che solitamente vengono proposte a supporto di tale istanza. Con una cogente citazione di Bobbio, l’autore dell’articolo sostanzia il proprio pensiero partendo dal paradosso di una società democratica che, per mantener fede alla propria vocazione partecipativa, vede da un lato complicare la propria struttura organizzativa, e dall’altro esigere un livello di competenza tecnica molto elevato per gestirne e decifrarne il funzionamento, a un punto tale che la distribuzione “democratica” di tali competenze interpretative pare assai improbabile. Paradossalmente, dunque, quanto più viene allargata la partecipazione ai vari aspetti della vita sociale, tanto più i sistemi e le organizzazioni si complicano, e dunque solo in pochi potranno acquisire le necessarie competenze di amministrazione e gestione, rendendo forse vano dunque lo sforzo democratico. È il problema delle tecnocrazie e del rapporto tra politica e competenza specialistica, che diventa lampante e cruciale quando si lambisce il funzionamento dell’economia e della finanza.  Carnevali, dunque, suggerisce l’innesto di un insegnamento economico nel sistema scolastico proprio per fornire ai cittadini strumenti basici per decifrare i complessi meccanismi dell’economia, e sviluppare un “senso critico”, per decidere o comprendere decisioni che riguardano gli aspetti finanziari della vita comune e individuale.

Sorge tuttavia una perplessità, in parte di merito, in parte di metodo.
Posto che in alcuni indirizzi di studio della scuola secondaria (quelli a carattere economico, per l’appunto) tali insegnamenti sono già presenti in via obbligatoria, è vero che nel primo ciclo e in molti licei non si inserisce in senso stretto lo studio dell’economia e della finanza. Però, occorre riconoscerlo, non si tratta di un’area del tutto sconosciuta alle programmazioni didattiche, che ne prevedono in parte la trattazione – ad esempio – nell’ambito dell’educazione civica.

Faccio però rilevare che, se ci si ponesse con la pazienza del lettore di quotidiani per una rassegna stampa sulle proposte in campo educativo, ci si accorgerebbe che più o meno ogni tre giorni ci si imbatte in qualche esortazione a introdurre nuovi temi nell’insegnamento scolastico (che si presumono finora ignorati dal nostro sistema formativo). Suggerisco un esperimento. Proviamo tutti a digitare su Google la seguente frase: “Dovrebbe diventare una materia scolastica”. A me risultano in sequenza: il teatro, lo yoga, i nuovi media, l’educazione ambientale, l’educazione finanziaria, il futuro, l’educazione stradale, la lettura ecc. Le stesse Linee Guida del 2020 per l’insegnamento dell’Educazione civica si muovono dalla protezione dell’industria agro-alimentare alla tutela del patrimonio artistico-culturale.

Tutte aree nobilissime del sapere e della ricerca, e tutte socialmente utili. Possiamo aggiungere il diritto, la sessualità, la salute, l’affettività e molti altri temi più volte sollevate da illustri studiosi. Abbiamo certamente bisogno nella nostra vita di queste competenze, perché l’esistenza è caratterizzata dalla pressione delle norme, delle relazioni, del lavoro, e da molti altri momenti rispetto ai quali siamo del tutto impreparati. Viene anche in mente la domanda che lo studente Astariti depositò nel questionario proposto dal prof. Vivaldi nel film “La scuola” di Luchetti: “Cosa bisogna dire a una persona che sta per morire?”.

Anche queste, si veda bene, sono circostanze che ci trovano del tutto impreparati nella vita.
Non sono poi così sicuro che le decisioni di ordine economico siano quelle più importanti nella nostra esistenza. Ma posto che sia così, potrebbe essere fuorviante ritenere che il profilo culturale che noi diamo al nostro curricolo non ponga già le basi per poter poi – all’occorrenza – apprendere a muoversi in qualunque conoscenza tecnica. L’economia innerva l’insegnamento della storia e della filosofia, ma è vero: studiare Adam Smith o Marx non ci insegna a decifrare il significato di una speculazione borsistica; la conoscenza della crisi del Trecento o di quella del 1973 probabilmente non restituisce neanche lontanamente la complessità di un DEF. La matematica e la statistica non sono immediatamente applicate dallo studente nella decifrazione delle curve di prezzi o l’andamento dei tassi di interesse. E tuttavia, l’idea fondante della nostra scuola è che non si può insegnare tutto, ma si può lavorare affinché lo studente sviluppi delle capacità di analisi e di astrazione che lo mettano in condizione, al bisogno, di decifrare – con la giusta progressione – questioni specifiche, per far progredire le proprie competenze tecniche.

Quindi può essere senz’altro un bene raccordare – anche con l’aiuto di esperti – alcuni saperi disciplinari con interessanti incursioni nel sistema economico-finanziario contemporaneo. Non bisogna coltivare alcun feticismo nei confronti delle discipline e dei contenuti consegnatici dalla tradizione, giacché tutto può essere rivisto o integrato. Ma ricordiamoci che le energie e il tempo che lo studente può impiegare in attività strutturate e guidate non sono illimitati; quindi dobbiamo decidere le priorità: cosa è irrinunciabile? E cosa rende veramente in grado un individuo – nella sua vita da adulto – di poter fare delle scelte libere in virtù di un’elasticità cognitiva e culturale che è stata costruita nel tempo?
Ogni nuovo insegnamento è naturalmente destinato a sostituirne altri. Pertanto, prima di proporre nuove discipline formative, occorre esplicitare chiaramente quali, invece, si suggerisce di tralasciare.

Foto Flickr | Biblioteca Fondazione Mach



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