Quale idea di Paese ha Mario Draghi?

Dal piano vaccinale alla scuola. Dall'ambiente al lavoro. Dagli investimenti pubblici alle riforme fino alla parità di genere. Dietro a parole di apparente generica retorica le proposte di Draghi celano una visione thatcheriana della società.

Maria Luisa Bianco

Per le modalità straordinarie con cui il Governo Draghi è nato, grazie a un atto del Presidente della Repubblica che Gustavo Zagrebelsky ha definito di “democrazia dall’alto”, è doveroso domandarsi se Senatori e Deputati siano stati davvero messi nelle condizioni di esprimere il loro voto sui contenuti programmatici o non piuttosto su altri obiettivi non dichiarati e forse non dichiarabili.

Le proposte di Draghi a prima vista perlopiù sembrano dichiarazioni di principio scontate nel discorso pubblico e tuttavia dietro a parole di apparente generica retorica si celano una visione del mondo e un disegno di società ben definiti. Ed è su questi che ritengo necessario discutere e prendere posizione.

Una lettura attenta mostra infatti che tutti gli interventi annunciati hanno l’unica finalità di  accrescere il PIL, anche quando  l’ambito non attiene al perimetro del sistema economico. Come Margareth Thatcher, anche Draghi crede che “there is no society”, ma soltanto una macchina specializzata nella produzione di ricchezza, “whatever it takes”. La Politica è riassunta nelle “leve della spesa” usate per garantire le condizioni favorevoli al dispiegarsi dell’iniziativa degli investitori privati. Da cittadini portatori di diritti e fini che ci illudevamo di essere, scopriamo di essere diventati nient’altro che unità di capitale umano da preservare dal virus con i vaccini, valorizzare con la formazione e incentivare all’impiego, ma solo e soltanto in quegli ambiti in cui “si intende rilanciare il  paese”. Il lavoro non è il principio fondante la cittadinanza democratica dell’Art.1 della Carta, ma una risorsa da impiegare in modo efficiente. Nulla più.

Piano vaccinale. Per il completamento della campagna di immunizzazione, il Programma si affida esclusivamente a misure straordinarie ed emergenziali (esercito, Protezione civile, volontari), destinate a lasciare il Paese impreparato per la replica che sarà necessaria a partire dal prossimo autunno-inverno e, ancor più, di fronte a future pandemie.

È paradossale che in piena emergenza, mentre il Paese è in testa a ogni classifica internazionale per tasso di letalità, alla sanità non sia riservato spazio neppure nel capitolo dedicato alle riforme, dove non è previsto alcun intervento strutturale, se non – in modo generico – nella medicina territoriale, trascurando il sistema ospedaliero e il rapporto fra pubblico e privato. Evidentemente al Governo basta completare il piano vaccinale per far riprendere fiato all’economia, senza affrontare i gravi problemi che affliggono strutturalmente il nostro Sistema sanitario. Un virus epidemico danneggia la produzione e va debellato in fretta, mentre altre patologie non meritano più efficaci strategie di contenimento e cura.

Scuola. L’Italia ha fra i più bassi tassi di scolarità dei paesi OCSE, il corpo insegnante più anziano e il rapporto docenti/studenti più sfavorevole, edifici scolastici per lo più in pessime condizioni e non adatti a nuove forme di didattica. L’abbandono educativo, già altissimo, ha avuto un’impennata, colpendo soprattutto i ragazzi socialmente svantaggiati, in particolare nelle regioni meridionali. Con sorpresa, non compare nessuna proposta per affrontare questi problemi, rivelando anche in questo caso un’ottica puramente emergenziale, che si limita a proporre il recupero delle ore di lezione perdute, come se si trattasse di un debito da estinguere o una colpa da espiare.

Più specifiche sono invece le proposte sui contenuti di quella che viene sempre solo indicata (ed evidentemente anche concettualizzata) come “formazione” (al lavoro), anziché educazione, istruzione, cultura. Per la scuola secondaria sono proposti generici “innesti di  nuove materie e metodologie per coniugare le competenze scientifiche  con quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo” e, questo è il punto importante, si conferisce un’inedita centralità agli istituti tecnici industriali, i quali non sono di certo quei livelli educativi elevati nelle discipline cosiddette STEM, in campo scientifico, al contrario fondamentali per un salto tecnologico del nostro Paese.

Per quanto riguarda l’università se ne propone genericamente l’allineamento alle esigenze della globalizzazione e dei nuovi assetti del mercato del lavoro, mentre non sono previsti investimenti aggiuntivi né adeguamento del numero dei docenti agli standard degli altri paesi OCSE. Infine, l’inciso “senza escludere la ricerca di base” – vera excusatio non petita o lapsus freudiano rivela una preoccupante ignoranza delle logiche di funzionamento della scienza e dei suoi rapporti con le applicazioni industriali, oppure, più probabilmente, un’adesione incondizionata alla divisione internazionale neoliberista che assegna all’Italia un ruolo di seconda fila, come nel secolo scorso hanno mostrato le conclusioni drammatiche delle coraggiose strategie industriali di Enrico Mattei e Adriano Olivetti.

Oltre la pandemia.  Alla questione ambientale, che pure sarebbe dovuta essere un punto nodale del pensiero sul futuro, non sono dedicate che poche righe all’interno di un paragrafo miscellaneo, dove si parla genericamente di un approccio nuovo che “vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane”, mentre niente è detto di strategie e investimenti necessari per riconvertire in una logica di minore insostenibilità ambientale il nostro sistema economico e sociale.

Lo scarso orientamento green risulta per altro evidente anche nei passaggi di politica economica, dove si fa riferimento a obiettivi di “crescita” ma non ai cambiamenti di paradigma che ne possano garantirne la sostenibilità. L’unica, generica, indicazione di mutamento da perseguire riguarda il turismo, che dovrebbe acquisire la capacità di “non sciupare città d’arte, luoghi e tradizioni”. Riconversione energetica, modello dei trasporti, trivelle, TAV, grandi opere inutili e inquinanti, allevamenti intensivi, agricoltura industriale non sono neppure citati.

Compare invece un accenno alle difficili scelte che il Governo dovrà compiere circa “quali attività economiche proteggere e quali accompagnare nel cambiamento”, ma non alla logica ispiratrice. “La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’acceso di imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie (Draghi si è forse scordato di non essere più Presidente di Bce?) e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create (senza alcuna indicazione di come e da chi esse debbano essere create). La conclusione – l’unico passaggio di tutto il documento a mostrare entusiasmo– pare di nuovo frutto di una confusione di ruolo: “Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta”.

Sul lavoro – problema diventato drammatico nel nostro Paese – non c’è nessun riferimento al funzionamento del mercato, alla precarietà, alla gig economy, alla giungla contrattuale, ai bassi salari che causano il fenomeno dei working poors, e si prospettano solo interventi sulle politiche attive del lavoro. Creazione e configurazione del lavoro sono dunque interamente lasciate all’operare delle forze di mercato, mentre il Governo si riserva il compito esclusivo di assicurare la rapida espansione di alcuni settori per compensare la contrazione di altri causata dalla pandemia. Poiché non sono esplicitati i criteri in base ai quali saranno decisi i settori “sommersi e salvati”, ci si deve domandare come abbia potuto il Parlamento accordare la propria fiducia mancando trasparenza su un punto così cruciale. Davvero possiamo accettare che Draghi decida in solitudine quali imprese – e fra di esse con ogni probabilità quelle artigiane e il piccolo commercio – fiaccate dalle restrizioni imposte dalle politiche di contenimento della pandemia, debbano soccombere a tutto vantaggio della grande distribuzione e dell’e-commerce? Quale partito ha mai sottoposto agli elettori un programma in questo senso?

Parità di genere. L’unica parità che concepisce il Presidente del Consiglio è quella lavorativa, mentre sono completamente ignorate le disuguaglianze nei diritti sociali. Le proposte puntano solo alla valorizzazione, neoliberista, del capitale umano femminile oggi sottoutilizzato – anche per lo sviluppo del Mezzogiorno -,  mediante due tipi di interventi: (1) “inducendo le donne a scegliere” (l’accostamento dei due termini è inquietante) di “formarsi negli ambiti su cui (il Governo intende) rilanciare il Paese”, (2) rendendo il lavoro retribuito delle donne “più competitivo” rispetto a quello familiare, attraverso la riduzione del gap salariale e interventi di Welfare.

Investimenti pubblici. Accanto a non meglio specificati interventi di manutenzione e di tutela del territorio, sono previsti investimenti nella preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari pubblici, con un’attenzione circoscritta alle competenze necessarie per la gestione del Recovery Plan. Sono invece trascurate le condizioni generali in cui versa il settore pubblico in Italia, sotto-dimensionato rispetto agli altri paesi europei e dell’OCSE, con il personale più anziano e meno scolarizzato. Qualunque politica volta a migliorarne l’efficienza ma anche la capacità di intervento deve porre rimedio a queste carenze strutturali tramite massicci e rapidi piani di assunzioni qualificate. Paradossalmente il Programma Draghi chiede agli uffici di smaltire con urgenza l’arretrato, ma non impegna il Governo a fornire le risorse umane necessarie. Anche gli investimenti annunciati per la digitalizzazione avrebbero ben poca efficacia in mancanza di personale adeguato nel numero e nella professionalità. Sebbene le prime mosse del Ministro Brunetta sembrino rivelare maggiore consapevolezza dello stato di abbandono in cui versa la Pubblica Amministrazione dopo decenni austerity, i rapidi piani annunciati per l’assunzione di giovani qualificati rischiano di essere soltanto soluzioni emergenziali in vista dell’avvio del Recovery Plan, piuttosto che interventi strutturali con una visione organica almeno di medio periodo.

Riforme. Nel capitolo loro dedicato, le riforme annunciate hanno l’esclusivo obiettivo di migliorare le condizioni di funzionamento del sistema economico e attirare gli investimenti stranieri: creare maggiore certezza delle norme e maggiore concorrenza, velocizzare il sistema giudiziario civile in ottemperanza alle richieste della Ue (non una parola, invece, su quello penale), ridurre il carico fiscale sulle fasce a più alto e più basso reddito (i ricchi e i poveri). Disuguaglianze, equità, qualità della vita, diritto allo studio e alla cura sono del tutto fuori dall’orizzonte politico. Anzi,  la riforma fiscale prospettata favorirà l’inasprirsi delle disuguaglianze, per la maggiore concentrazione del carico fiscale sui ceti medi e la riduzione delle prestazioni di Welfare causata dalla contrazione del gettito fiscale, stimata in due punti di PIL.

Concludo ricordando che là dove il documento chiarisce il posizionamento in politica estera, oltre a rimarcare la fede europeista e atlantista, indica sette paesi stranieri con i quali si intendono rafforzare i rapporti, fra di essi ben due sono paradisi fiscali e del malaffare (Malta e Cipro), mentre un altro, la Turchia, è citato come partner prezioso e alleato della NATO, ma ai più è meglio noto come pericoloso esempio di nuovo “Sultanato” e di repressione anche cruenta della democrazia.

Giuseppe Conte ed Enrico Letta, che sembrano volere farsi carico del campo progressista, da qui dovrebbero partire per chiarire quale società/Paese vogliano impegnarsi a costruire.

 

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