Rapporto SVIMEZ: il divario tra Nord e Sud è drammatico

Il Rapporto SVIMEZ 2023 presenta nuovamente il problema storico di uno sviluppo economico e sociale in Italia a due velocità. Da una parte il Centro-Nord e dall’altra il Sud. Dal rapporto emergono i problemi su cui si fonda questo divario: la distribuzione dei redditi, l’allocazione delle risorse di produzione, le infrastrutture dei servizi pubblici. Questi fattori contribuiscono giorno per giorno alla migrazione delle persone nel Nord, e allo spopolamento del Sud.

Davide Passamonti

Lo sviluppo dell’economia italiana, già a partire dal secondo dopoguerra ad oggi, non è esente da rilievi critici. Tanto è vero che molti problemi strutturali dell’economia italiana non hanno trovato soluzione sino ad oggi e sono ancora all’ordine del giorno della politica. Per di più, la situazione è maggiormente aggravata dai nuovi problemi “moderni” delle economie occidentali come la questione ecologica e la transizione energetica, oltre ai problemi geopolitici che rendono instabili le economie mondiali.
Dal Rapporto SVIMEZ[1], quindi, emergono problemi irrisolti e che possono essere raccolti in almeno quattro categorie[2] rilevanti: la distribuzione territoriale dello sviluppo, la distribuzione dei redditi, la struttura dei servizi pubblici, l’allocazione delle risorse di produzione.
I problemi nella distribuzione territoriale dello sviluppo nascono dal fatto che le tendenze attuali di sviluppo continueranno a comportare migrazioni interne al paese, dal Sud al Nord, con il conseguente spopolamento del meridione e la cogestione delle aree settentrionali. Le migrazioni hanno infatti ampliato gli squilibri demografici Sud-Nord. A tal riguardo sono significativi i dati SVIMEZ: dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato sempre di più i giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subito un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati. Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno[3]. La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8% nel 2080.
Questo comporta un elevato costo sociale: una perdita di valori culturali da un lato, e una perdita di capitale sociale delle aree abbandonate dall’altro. L’auspicio è quello di modificare le condizioni di sviluppo produttivo affinché questo si distribuisca razionalmente tra le diverse aree del Paese.
Ma lo squilibrio territoriale Nord-Sud non si limita a questo. Il contributo dell’industria è stato limitato nel Mezzogiorno. Qui le difficoltà sono legate al consistente arretramento della base produttiva subita tra il 2007 e il 2022: –30% di valore aggiunto, contro una flessione del 5,2% nelle regioni centro-settentrionali. Con il confronto europeo si rivela il ritardo accumulato anche dall’industria del Centro-Nord: il valore aggiunto industriale dell’UE a 27 è aumentato di quasi il 14%. Ne consegue uno scivolamento congiunto dei sistemi industriali sia del Nord che del Sud spiegato dalle interdipendenze di filiera che li lega, portandoli a condividere difficoltà e prospettive. E ancora, rispetto al pre-pandemia la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali: +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%). Ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine; ovvero il 22,9% contro il 14% nel Centro-Nord. Al Sud oltre 1,5 milioni di dipendenti, il 15,3% contro l’8,4% del Centro-Nord, è retribuito con bassi salari, inferiori al 60% del reddito mediano equivalente. Infine, il 75,1% dei rapporti di lavoro part-time al Sud sono involontari mentre al Centro-Nord sono il 49,4%.
La varietà di situazioni qui illustrata pone dunque la necessità di riconsiderare sia la politica di sviluppo sia quella di localizzazione industriale. Oltre che al Mezzogiorno, quest’ultima deve abbracciare l’intero paese e, influendo sulle condizioni di sviluppo, deve indirizzare il fenomeno migratorio secondo direttive definite (costi aziendali e costi sociali) e in base all’esigenza di impedire spopolamenti ingiustificati di zone suscettibili di sviluppo.
Un altro ordine di problemi riguarda la distribuzione dei redditi. L’inflazione nel 2022 ha eroso il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione. Per le famiglie meno abbienti il peso delle componenti energia e beni alimentari, ciò che ha determinato i rincari, è maggiore. Questo si è tradotto in un calo del potere d’acquisto differenziato su base territoriale, colpendo le famiglie a basso reddito, prevalentemente concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2022 l’inflazione, infatti, ha determinato un calo del 2,9% del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (–1,2%). Infine, rispetto alle altre economie europee, le dinamiche salariali in Italia hanno evidenziato una risposta più lenta all’aumento dei prezzi. Il deterioramento del potere d’acquisto dei redditi da lavoro si è mostrato perciò più accentuato. Tra il secondo trimestre 2021 e il secondo trimestre 2023 i salari reali italiani hanno subìto una contrazione molto più pronunciata della media UE a 27 (–10,4% contro –5,9%), e ancora più intensa nel Mezzogiorno (–10,7%)[4].
Un terzo ordine di problemi che evidenzia le differenze Nord-Sud è relativo alla struttura dei servizi pubblici. In primo luogo la sanità[5]: il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES[6], è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori sulla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. I divari territoriali sono aumentati in un contesto di debolezza del Sistema Sanitario Pubblico che, nel confronto europeo, risulta carente per stanziamenti di risorse[7] (6,6% del PIL contro il 9,4% della Germania e l’8,9% della Francia), a fronte di un contributo privato elevato; il 24% della spesa sanitaria complessiva, il doppio di Francia e Germania. Oltre a ciò, il bilancio nazionale della sanità italiana, da una parte, non copre il costo delle prestazioni e servizi che dovrebbero essere offerti in quantità e qualità uniformi in tutto il territorio nazionale; dall’altra, la distribuzione regionale delle risorse, basata su dimensione e struttura per età della popolazione, non rispecchia gli effettivi bisogni di cura e assistenza dei diversi territori.
Altro divario rilevante è per il Mezzogiorno avere un deficit nella dotazione di infrastrutture e servizi scolastici. Dai dati del Ministero dell’Istruzione, anno scolastico 2021-2022, emerge che solo il 21,2% degli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequenta una scuola dotata di una mensa, il 53,5% al Centro-Nord; solo un allievo su tre (33,8%) frequenta una scuola primaria dotata di palestra nel Mezzogiorno a fronte di quasi un allievo su due (45,8%) nel Centro-Nord.
Gli investimenti del PNRR ambiscono a sanare questi divari ma il Piano italiano non ha fissato obiettivi di convergenza, limitandosi a stabilire target nazionali di miglioramento delle infrastrutture scolastiche. Ciò in quanto gli interventi del PNRR non sono programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento, bensì attraverso procedure a bando, con una capacità di risposta influenzata dalle capacità amministrative degli enti locali.
Sempre nel settore dei servizi pubblici va ricordata la carenza dell’attuale rete dei trasporti su ferrovia nel Sud. Solo 181 km di alta velocità (12,3% del totale), presente solo in Campania; gap enorme per elettrificazione della rete: 58,2% al Sud, con la Sardegna unicamente a trazione diesel, 80% al Centro-Nord; bassa quota del doppio binario: 31,7% contro il 53,4% al Centro-Nord. Anche per le reti sul trasporto a gomma lo scenario non è positivo: la dotazione di infrastrutture stradali del Sud è molto inferiore per estensione della rete autostradale: 1,87 km per 100 km² contro 3,29 km al Nord e 2,23 km al Centro; in Sardegna nessun km di autostrada, marginali in Basilicata.
L’ultimo parametro rilevante è quello dell’allocazione delle risorse di produzione. Nel 2024 si stima che il PIL aumenterà dello 0,7% a livello nazionale, per effetto del +0,7 del Centro-Nord e del +0,6 del Sud. Nel Mezzogiorno la crescita dei consumi delle famiglie dovrebbe tornare in positivo +0,8%, sia pure mantenendosi al di sotto della media del Centro-Nord +1,3%. Gli investimenti dovrebbero crescere in maniera più pronunciata nel Mezzogiorno, accelerando rispetto al 2023 grazie alla dinamica favorevole della componente in costruzioni +9,7% contro +2,2% nel Centro-Nord.
Nel 2025, la crescita nazionale dovrebbe attestarsi sul +1,2%. La crescita del PIL meridionale, però, risulterebbe inferiore al dato del Centro-Nord: +0,9% a fronte del +1,3%. A determinare la riapertura del divario di crescita Nord-Sud è il ritorno di un aumento dell’export nelle regioni centro-settentrionali (+3,2%). L’aumento del PIL meridionale continua invece a beneficiare degli effetti espansivi degli investimenti nella componente in macchine, attrezzature e mezzi di trasporto.
Secondo le stime della SVIMEZ, lo stimolo offerto dal PNRR contribuisce a portare in positivo la crescita del PIL in entrambi gli anni di previsione: –0,6% e –0,7% il PIL del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 “senza PNRR”. Anche il Centro-Nord beneficia dello stimolo, grazie al quale evita una sostanziale stagnazione nel biennio: –0,2% e crescita zero nel Centro-Nord nel 2024 e nel 2025 nello scenario “senza PNRR”.
In conclusione, da quanto risulta dai rapporti SVIMEZ, è necessario uno sviluppo equilibrato del Paese, e questo è dato solamente da un sistema di programmazione economico-sociale. L’esigenza della programmazione deriva dalle caratteristiche strutturali delle economie miste moderne e dalla conseguente necessità di assicurare:

  1. uno sviluppo del reddito e dell’occupazione nel lungo periodo e la distribuzione efficace ed efficiente delle risorse;
  2. l’eliminazione degli degli squilibri settoriali e regionali;
  3. una struttura dei consumi che rispetti l’autonomia delle scelte dei consumatori nell’insieme delle decisioni riguardanti le finalità della politica economica.


CREDITI FOTO: ANSA / CESARE ABBATE



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