“Io posso”, un inno alla moralità e alla giustizia

Un libro di Pif e Marco Lillo racconta il caso delle sorelle Pilliu, due donne sole contro la mafia, mostrandoci fino a che punto sia difficile la lotta alla criminalità organizzata.

Angelo Cannatà

Per molto tempo s’è negata l’esistenza della mafia. Si negava l’evidenza, certo, ma era difficile superare la barriera di silenzi, omertà, di pavide complicità che, anche quando non diventavano collusioni, erano comunque terreno fertile della mafia. Arduo combatterla. “La lotta alla criminalità organizzata è molto difficile -scrisse qualcuno-, perché la criminalità è organizzata, ma noi no.” Di più: spesso lo Stato ha posto ostacoli a chi, da inerme cittadino, ha tentato di opporsi allo strapotere mafioso, come mostra il caso delle sorelle Pilliu, due donne sole contro la mafia, raccontato da Pif e Lillo in Io posso (Feltrinelli). Significativo l’episodio che dà il titolo al libro; dice della tracotanza e del delirio d’onnipotenza che molti ostentavano, a Palermo, negli anni in cui per tanta “gente per bene” la mafia non esisteva (“Dio ci liberi dalla cosiddetta gente per bene” scrive Croce: sapeva quel che diceva). E dunque ecco una prima testimonianza (rivelatrice) di Pif – gli autori si alternano nella stesura dei capitoli – : “Dopo l’esame di maturità, chiesi a un compagno di scuola” – figlio di un amministratore colluso – “a quale facoltà si fosse iscritto”. Rispose: “‘A Giurisprudenza e Medicina’. E quando gli feci notare che non era possibile… lui mi guardò e disse. ‘Io posso’” (p. 17).

Ecco, l’episodio è un’introduzione efficace a quell’universo assurdo che era (è ancora?) la Palermo mafiosa degli anni in cui la mafia “non esisteva”. Un episodio minimo, certo, ma rivelatore come accade ai dettagli apparentemente poco importanti. Ma veniamo all’incredibile storia delle sorelle Pilliu lasciando la parola agli autori: la descrizione è efficace (anche dal punto di vista letterario): “Immaginate di tornare un giorno a casa vostra e di trovare un costruttore legato alla mafia lì davanti. Immaginate che vi dica che quella non è casa vostra, ma sua. E che, qualche anno dopo, ve la danneggi gravemente per costruirci accanto un palazzo più grande. Immaginate di dover aspettare trent’anni prima che un tribunale italiano vi dia ragione. Immaginate che, dopo tutto questo tempo, vi riconoscano un compenso per danni, che però nessuno vi pagherà mai dato che il costruttore nel frattempo è stato condannato perché legato alla mafia e lo Stato gli ha sequestrato tutto. E’ ancora, immaginate che di quella somma, che non riceverete mai, l’Agenzia delle entrate vi chieda il 3 per cento.” Questo è successo a Maria Rosa e Savina Pilliu. Un vortice di soprusi che ha coinvolto “mafiosi eccellenti, assessori corrotti, Killer latitanti, avvocati illustri, istituzioni pavide… e banchieri generosi” (pp. 9-11). Mi scuso per la lunga citazione ma era necessaria. Solo così il lettore può rendersi conto di dove possa arrivare la mafia, certo, ma anche l’ottusità dello Stato (l’Agenzia delle entrate che chiede il 3 per cento, alle Pilliu, di un risarcimento che non avranno mai, è una situazione che neanche Kafka, nei momenti di massima ispirazione, avrebbe immaginato). Qui davvero Pif e Lillo mostrano perché, come, e fino a che punto, sia stato difficile combattere la mafia: con simili complicità e ottusità burocratiche (e aperte collusioni) il cittadino è stato inerme e indifeso e la criminalità ha potuto dilagare.

Marco Lillo racconta, da grande giornalista d’inchiesta, il contesto in cui le Pilliu sono state umiliate e offese: erano sole e isolate, scrive, e andarono a sbattere contro una mafia potentissima incistata con la politica – i nomi fanno parte, a diverso titolo, della storia d’Italia di questi anni – Rosario Spatola, di cui Falcone dice: “costituisce un tipico esempio dell’imprenditore mafioso” (p. 42); Pietro Lo Sicco; Sindona (“finito nella villa di Torretta di Spatola” (p. 44), l’episodio dice delle complicità dell’uomo che ostacolava le Pilliu; l’avvocato Lapis (“legato a Ciancimino”); eccetera – è contro questo mondo che si trovano a combatter le due sorelle: “si rivolgono allo Stato – scrive Lillo–, ma la loro è davvero la lotta di Davide contro Golia. Non lo sano ma si stanno mettendo contro un peso massimo” (p. 57). Spatola vuole le due casette delle Pilliu e ricorre a tutti i mezzi (intimidazioni comprese). È una storia incredibile: soprusi, falsificazioni di atti, minacce (“Ancore viva sei?”, p. 79), intese mafia-politica, contro due povere donne sarde trapiantate in Sicilia e osteggiate dalla mafia e dallo Stato: “la concessione rilasciata dal Comune a Lo Sicco è illegale – leggiamo – perché basata sulla falsa dichiarazione della titolarità di terreni”. Bene. Chi doveva controllarne la regolarità? Perché non l’ha fatto? È una storia dalle mille complicità questa delle sorelle Pilliu. E di magistrati che non ascoltano. Con qualche eccezione: Paolo Borsellino: lo incontrarono quattro volte le sorelle, e annotò anche il loro numero di telefono su un’agenda: “Savinia non esclude che fosse un’agenda rossa” (p. 70). Sappiamo come andò a finire e perché Borsellino non ha potuto difenderle. E sappiamo quanto tempo e denaro le sorelle hanno speso per la loro giusta causa (“Nel 1986 avevo 120 milioni di lire -dice Savinia-, nel ’93 erano finiti solo per pagare gli avvocati”, p. 82). Da questa donna lo Stato vuole ancora soldi e la tartassa con l’Agenzia delle entrate. È uno schifo. Brutta parola. Per scusarmi alzo il livello con Solone: “Le leggi sono come le ragnatele: quando qualcosa di leggero e di debole ci casca sopra, lo trattengono, mentre se ci cade una cosa più grande, le sfonda e fugge via.”

Hanno combattuto contro un potere troppo forte le Pilliu. E sono state stritolate. Lillo documenta con precisione. Indaga. Analizza. Chiarisce. Impossibile non parteggiare per le sorelle. Possiamo far qualcosa? Pif e Lillo lo fanno: raccontandone la storia; devolvendo i soldi del libro per il 3 per cento dell’Agenzia delle entrate; chiedendo lo status di “vittime di mafia” per le due donne e la ristrutturazione delle palazzine da dare in uso a un’associazione antimafia. E il nostro compito? Diffondere col passaparola la bellezza di questo testo-denuncia, raccontarne la forza, il pathos, l’eticità di cui è intrisa ogni pagina, in modo che tutti sappiano e, per volontà della società civile, cambi il finale della storia. Lillo e Pif la chiamano “Solidarietà attiva”. Che ognuno dica, comprando questo testo, Io sono lo Stato, Io posso (in un singolare ribaltamento dell’arroganza mafiosa); così facendo le sorelle Pilliu saranno risarcite (anche eticamente) e la solidarietà avrà vinto: il libro di Pif e Lillo è un inno alla moralità e alla giustizia.

 

(Foto Niccolò Caranti, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons e Associazione Culturale Cinemazero, CC BY-SA 2.0 via Wikimedia Commons)



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