Referendum giustizia, perché non andare a votare

È razionale, oltre che morale, NON ANDARE A VOTARE per questi ignobili referendum. Diverso, invece, il discorso per le elezioni amministrative. Soprattutto a Fabriano e Parma.

Paolo Flores d'Arcais

Il 12 giugno si vota per i referendum “contro” la giustizia e per alcune amministrazioni locali. I referendum sono il tentativo di rivincita finale e totale di Tangentopoli su Mani Pulite (e sull’antimafia). Abbiamo pubblicato testi autorevolissimi che spiegano in dettaglio questo spirito revanscista del partito delle impunità contro il partito della legalità.

La rivincita di Tangentopoli contro Mani Pulite in realtà è cominciata quasi trent’anni fa, con la famosa “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, che senza tale mossa (vincente, ahimè: per stupidità delle sinistre e della famosa “macchina da guerra” di Occhetto, quando si poteva e doveva candidare come premier una figura come Rodotà, contro cui l’accusa di comunismo sarebbe stata una lancia spuntata) avrebbe passato il resto della sua vita in galera. Un profluvio di leggi ad personam, di modifiche radicali della procedura penale, e altri marchingegni giuridici, ha permesso a Berlusconi e a legioni di corrotti di farla quasi sempre franca (massime per via di prescrizione, un istituto che nei termini italiani non ha equivalenti nei sistemi giuridici occidentali).

I referendum del 12 giugno vogliono mettere il suggello trionfale a questo quasi trentennio di rivincita del partito della corruzione e dell’intreccio politico-affaristico (con frequenti addentellati e risvolti mafiosi) contro l’impegno di tanti (ma sempre troppo pochi) magistrati-magistrati, e una parte dell’opinione pubblica e delle sue mobilitazioni nelle piazze e sul web.

Il modo migliore per far fallire questo disegno di trionfo dell’Italia peggiore consiste nel NON ANDARE A VOTARE.

La legge che regola il referendum stabilisce infatti che i quesiti proposti non vengono approvati sia se non si reca alle urne almeno il 50% degli elettori più uno, sia se, raggiunto tale quorum, i no prevalgono sui sì.

I fautori del partito delle impunità, o quanti saranno stati manipolati dai loro strumenti di imbonimento mediatico, andranno tutti a votare sì. Ma è praticamente impossibile che raggiungano la metà più uno degli aventi diritto al voto. Il quorum si raggiungerà solo se anche molti cittadini contrari al contenuto dei referendum andassero alle urne, pur votando no (o anche – attenzione! – annullando il voto).

Attualmente i sondaggi dicono che al massimo un terzo degli aventi diritto si recherà ai seggi. Se i sostenitori del no non andranno a votare, compattamente, al voto andrà meno di un quarto dei cittadini, e il partito delle impunità non avrà il trionfo che cerca.

Ecco perché è razionale, oltre che morale, NON ANDARE A VOTARE per questi ignobili referendum.

***

Per le elezioni amministrative, ogni situazione è un caso a sé. E raramente i candidati fanno sognare, è il meno che si possa dire. Qui mi occuperò di due soli casi in cui invece ci sono candidati che vale la pena sostenere toto corde.

A Fabriano è candidata alla posizione di sindaco Daniela Ghergo. Professionalmente bravissimo avvocato, ma qui interessa il suo curriculum di impegno civile. Che comincia nei primissimi anni ’90. A Fabriano proprio nel 1990 nasce “Società civile”, che già nel nome si rifà all’esperienza della iniziativa milanese fondata da Nando Dalla Chiesa, con Gherardo Colombo, padre Davide Maria Turoldo, Paolo Murialdi, Corrado Stajano, Gianni Barbacetto e tanti altri. E anche a quella palermitana di “Città dell’uomo”, legata all’esperienza che metterà poi capo, con Leoluca Orlando, alla “Rete”.

“Società civile” di Fabriano si impegna soprattutto sui temi della legalità, della lotta contro la corruzione, in sostegno a Mani Pulite e ai magistrati antimafia. Ma affronterà anche tanti temi locali, per combattere l’intreccio affaristico-politico (sono i primi, aggressivi, anni del berlusconismo, non dimentichiamolo).

Nel 1998 “Società civile” partecipa alle elezioni comunali, ottenendo un inaspettato 10%. Paolo Paladini, il suo principale animatore, sarà un (ottimo) assessore alla cultura. Nel 2002, l’anno dei “girotondi”, il “girotondo” di Fabriano sarà uno dei più forti, strutturati, attivi, tanto da partecipare autonomamente alle elezioni comunali alla fine di quello stesso anno, l’11% per Paladini sindaco, voti determinanti per la vittoria del candidato Ds al ballottaggio, e altri anni di Paladini assessore (ottimo) alla cultura.

Daniela Ghergo, sempre impegnata in queste iniziative, per alcuni anni aveva fatto parte dello staff di Romano Prodi a Palazzo Chigi, unanimemente riconosciuta per le sue grandi capacità, poi sono venuti gli anni dell’inciucio, e i “girotondi”, cui Daniela partecipò con passione, furono anche l’atto di accusa contro la deriva dalemian-fassiniana del Pd.

Fabriano sembrava comunque ormai condannata al trasformismo delle destre (il loro candidato domenica sarà un ex Pd! Sostenuto da non so quante liste civiche, finte, ovviamente, Lega e Fratelli d’Italia, per non parlare di Berlusconi, si vergognano di presentarsi coi propri connotati), e alla sempre più pronunciata decadenza economica e culturale che queste destre non potevano che accompagnare e far precipitare.

Il mondo che era stato di “Società civile” e dei “girotondi” ha però deciso di ribellarsi a questa triste “estinzione”, ha affettuosamente costretto Daniela Ghergo a prendere contatti per formare una lista civica, mentre su iniziativa di Paolo Paladini una dozzina di cittadini si iscrivevano al Pd e riuscivano a modificarne gli equilibri interni, per cui in una votazione cruciale il Pd decideva di appoggiare la candidatura a sindaco di Daniela Ghergo, contro l’ipotesi di un candidato di apparato.

Insomma, domenica a Fabriano c’è la possibilità di votare con convinzione: non il meno peggio, non turandosi il naso. Al contrario: sentendo di nuovo che con il proprio voto si può cambiare, si può partecipare, si può tornare cittadini. È un caso rarissimo, oggi in Italia. Un’occasione da non perdere.

Anche a Parma il Pd, più o meno obtorto collo, ha rinunciato a una candidatura partitocratica, di apparato, e ha deciso di sostenere la candidatura di Michele Guerra, assessore alla cultura nella giunta Pizzarotti (che dopo i due mandati non può ricandidarsi). Per dieci anni il Pd ha fatto opposizione a Pizzarotti e ai suoi assessori, ma evidentemente ha dovuto riconoscerne i meriti, effettivamente innegabili, e nel campo della cultura in modo particolare. Anche Guerra è persona della società civile. Docente di cinema all’università di Parma, è sostenuto in primo luogo da “Effetto Parma”, la lista di Pizzarotti, poi da altre tre liste civiche, “Parma Coraggiosa”, “Onda”, “Cantiere Riformista”, che esprimono realtà diverse, socialmente e culturalmente, di una società civile che proprio le giunte di Pizzarotti hanno saputo rendere più vitale e articolata, compresi alcuni settori di mondo giovanile emarginato che le destre stigmatizzavano come “irrecuperabili. E, come abbiamo già detto, dal Partito Democratico.

Anche qui, la possibilità di esprimere un voto positivo, un voto convinto, un voto di partecipazione. Non è davvero poco, in un’Italia che tra un anno rischia di avere una maggioranza parlamentare di nemici della Costituzione.

CREDIT FOTO: ANSA/FABIO FRUSTACI

 



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