Riace ieri, oggi e un domani: lo speciale di MicroMega

Un reportage dal piccolo comune calabrese. Una lunga intervista a Mimmo Lucano. E una chiacchierata con il giornalista Enrico Fierro sul perché, quello all’ex sindaco, “è un processo politico”.

Daniele Nalbone

Lunedì 27 settembre. Questa la data che Mimmo Lucano, Riace e tutte le persone che negli anni sono passate dal piccolo comune calabrese hanno segnato in rosso sul proprio calendario. Il 27 settembre sarà il giorno della sentenza sul processo che vede imputato l’ex sindaco, oggi candidato alle prossime elezioni regionali nella coalizione guidata da Luigi de Magistris. Lucano rischia 7 anni e 11 mesi di carcere per accuse che vanno dall’associazione a delinquere all’abuso di ufficio, dalla truffa alla turbativa d’asta. “Riace ieri, oggi e un domani” è il titolo che abbiamo scelto per questo speciale. Perché l’attesa di Riace non è solo per la sentenza, ma per quello che sarà dell’esperienza che ha fatto letteralmente il giro del mondo.

Qui l’intervista a Mimmo Lucano
Qui il reportage da Riace 

In questa attesa, però, parlando con chi ha seguito la vicenda giudiziaria una cosa sembra certa. Quello a Mimmo Lucano e, di riflesso, al modello Riace è un processo politico. Ne è convinto, per esempio, Roberto Saviano. Ne sono convinte le persone, gli attivisti e gli artisti – come Fiorella Mannoia – che anche durante questa estate hanno portato la propria solidarietà e il proprio impegno nel comune calabrese.

Ne è convinto Enrico Fierro, giornalista del Domani, che a questa vicenda ha dedicato un’opera teatrale, Riace social bluesPerché un’opera teatrale? “Per una grande delusione personale” spiega a MicroMega: “Ero a buon punto nella scrittura di un libro – il cui titolo era proprio Mimmo Lucano, un processo politico – al cui interno collegavo tutti i miei dubbi su questo processo alle inchieste relative alle vicende giudiziarie riguardanti le navi delle Ong. Analizzavo il dibattito mediatico e politico intorno ai salvataggi in mare e all’accoglienza sulla terraferma partendo dalla marginalizzazione del ruolo degli attivisti nel Mediterraneo. Questo libro, con motivazioni di volta in volta diverse, è stato rifiutato un po’ da tutte le case editrici”. La motivazione più frequente? “Aspettiamo la sentenza. Ma dopo una sentenza il giornalismo perde la sua funzione critica”. E così la storia di Mimmo Lucano diventa uno spettacolo teatrale, “contaminazione tra musica e letteratura, perché questo è il valore di Riace: esaltazione delle contaminazioni. È il nocciolo duro di un altro mondo possibile. Il teatro, come strumento di libertà, mi ha consentito di portare avanti questa visione delle cose”.

Perché il processo a Mimmo Lucano è un processo politico? “L’inchiesta, la parte fondamentale del processo, è politica. Nasce in un contesto ostile alle Ong, alle navi umanitarie, e ha come ulteriore obiettivo quello di colpire i sistemi di accoglienza più avanzati. Per raccogliere ‘prove’ è stato messo in campo un apparato ministeriale imponente, con un uso delle ispezioni mai visto prima”.

Ispezioni che Fierro definisce “del tuttavia”. Perché “tutte le relazioni avevano un grande cappello introduttivo in cui si esaltavano i laboratori, le scuole, l’accoglienza diffusa. Poi, però, arrivava questo ‘tuttavia’ a imperare. E da lì una serie di errori, soprattutto burocratici, amministrativi, che sono però derivati dalla complessità delle leggi che regolano l’accoglienza: un sistema fatto di norme e codicilli che cambiano di volta in volta, di difficile interpretazione unica. Ecco perché le ho definite le ispezioni del tuttavia”. Poi, però, arriva un’ispezione che porta un risultato diverso, che fa “un quadro della realtà molto realistico, soprattutto molto positivo. Riscontra lacune, problemi burocratici, ma chiede letteralmente che non siano sospesi i finanziamenti ma che vadano corretti quegli errori perché questo è il sistema che andrebbe costruito. Quello di Riace”. Ebbene, “questa ispezione è stata definita dall’allora prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari”, promosso da Matteo Salvini alla guida del dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, “una favoletta. Un quadro idilliaco. Un’analisi sociologica che non rispetta i dettami burocratici delle ispezioni prefettizie”. Risultato, “Lucano e i suoi avvocati, nonostante la cosiddetta legge sulla trasparenza, impiegano un anno per ottenere il verbale di questa ispezione, e solo dopo essersi rivolti alla Procura distrettuale antimafia”.

Dopo le ispezioni è stato il turno dell’inchiesta della Guardia di Finanza, poi degli arresti domiciliari e quindi del confino per Mimmo Lucano. Tutte notizie che hanno avuto un grande risalto mediatico e politico. Ma la stessa enfasi non è stata dedicata ad altri fatti come “le intercettazioni che hanno riguardato decine di giornalisti, colleghi che in quel periodo avevano contatti con Lucano. Conversazioni assolutamente inutili per dimostrare qualsiasi ipotesi di reato. Eppure, tutto è stato trascritto, con tanto di pubblicazione dei numeri di telefono degli intercettati, violando la privacy e l’autonomia professionale dei cronisti”. Ma c’è, se possibile, di peggio. “Anche alcuni magistrati sono stati intercettati, magistrati che si occupano di crimini di mafia, e anche i loro numeri di telefono sono stati resi pubblici”. Fierro ricorda soprattutto il caso di Emilio Sirianni: “Venne intercettato un suo scambio con Mimmo Lucano, il tutto fu trascritto e anche il suo numero di cellullare reso pubblico. L’intercettazione venne data in pasto ai giornali di destra e per tutti Sirianni divenne ‘la toga rossa al servizio di Mimmo Lucano’. Con questi presupposti non si può che parlare di processo politico”.

Discutibile, secondo Fierro, anche la copertura mediatica data alle udienze. “Nel processo non ci possono essere telecamere, ma solo giornalisti che prendono appunti, e posso garantire che nessun giornale nazionale ha mandato inviati a Locri”. Le udienze sono state seguite “solo da pochi giornalisti dei quotidiani e dei siti locali. Io l’ho seguito in maniera, diciamo, anomala, grazie alla presenza in aula di Giovanna Procacci, docente universitaria di Milano che, in qualità di attivista, si è fatta carico di seguire a sue spese tutte le udienze per poi far circolare le sue trascrizioni. A colpirmi è stata l’estrema confusione e contraddittorietà delle norme che regolano l’accoglienza. Più volte lo stesso Lucano ha dichiarato di essersi opposto all’espulsione delle famiglie da Riace. Ha rivendicato una serie di reati o illeciti”. L’esempio più noto, la carta d’identità rilasciata a un bambino appena nato per poterlo registrare al servizio sanitario nazionale, reato che Lucano ha rivendicato come atto di disobbedienza civile. “Il castello di accuse, dalle fatture false per distrarre i fondi in poi, è caduto immediatamente. I cosiddetti supertestimoni crollati davanti al giudice”.

La debolezza delle accuse è ulteriormente dimostrata dal crollo di uno dei pilastri, l’interesse personale dietro le politiche messe in atto da Lucano: secondo l’accusa l’ex sindaco avrebbe fatto tutto per un tornaconto elettorale. “Ma da quando è iniziato il processo ci sono state le elezioni politiche e quelle europee, e Lucano ha sempre rifiutato di candidarsi”. Ora, con le regionali, ha accettato di sostenere una “lista alternativa, quella che vede come candidato presidente Luigi de Magistris. Una lista che non ha speranze di vittoria. E lui addirittura si è candidato all’interno della coalizione in una lista minoritaria. Dove sarebbe l’interesse politico?”. Fierro racconta – come ricostruito sul Domani – del tentativo dell’accusa di portare come prova un lancio di agenzia dell’Agi in cui Lucano annunciava la sua candidatura a sostegno di de Magistris. Risultato: “Il presidente ha rigettato, con educazione ma palese nervosismo, la richiesta di acquisire questa prova”.

Ora l’attesa è per la sentenza. Ma il verdetto, anche se dovesse essere negativo per Lucano e Riace, non metterà fine a questa storia. Perché “non è vero che le sentenze non si discutono. Si rispettano, questo sì” chiosa Fierro, “ma si contestano. In fondo anche appellarsi a un secondo grado di giudizio è una forma di contestazione. Ma si possono e si devono contestare anche politicamente e civilmente”. Domanda finale, un po’ banale. Cosa avrebbe fatto al posto di Lucano, da sindaco? “Avrei fatto la carta di identità a quel bambino. Ne avrei fatte 72”. E “, come Mimmo, avrei fatto la carta di identità a Becky Moses, la ventiseienne nigeriana che dopo anni a Riace è stata vittima di un diniego: poco dopo è stata portata via da quella che era diventata la sua casa ed è finita a fare la prostituta e a vivere nella tendopoli di San Ferdinando. Lì è morta, carbonizzata. E l’unica cosa che si è salvata dalle fiamme è stata proprio quella carta di identità. Ecco, sono certo che se Mimmo Lucano, quel giorno in cui i carabinieri sono venuti a Riace per portare via Becky, avesse saputo il finale di questa storia, avrebbe fatto di tutto per farla restare lì. Anche a costo di violare la legge. Un’altra volta”.



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