Una riforma fiscale all’insegna dell’ingiustizia sociale

Dal lavoro all’istruzione, dall’assistenza sociale alla previdenza, dalla salute all’abitazione: tutte le statistiche denunciano l’inarrestabile regresso dei diritti sociali nel nostro Paese. Emblematica in tal senso è la riforma fiscale voluta dal governo, una misura classista che aggrava l’imperante ingiustizia fiscale.

Francesco Pallante

I dati sono oramai ben noti. Limitiamoci a due tra i più eclatanti. Da una parte, i centottanta miliardi di euro ricevuti dalle imprese durante la pandemia, senza condizionalità alcuna. Neppure quella – davvero minimale – di avere la sede fiscale in Italia. Dall’altra, i cinque milioni e seicentomila italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta (cresciuti di un milione dall’inizio del Covid) e gli otto milioni che versano in povertà relativa. In totale, il 22,9% della popolazione, quasi un italiano su quattro.

Siamo uno dei Paesi dell’Unione europea con la più alta incidenza di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale e, nello stesso tempo, uno dei primi al mondo per ricchezza privata (oltre diecimila miliardi di dollari). Il problema, in tutta evidenza, è la diseguale – la estremamente diseguale – distribuzione della ricchezza, a sua volta causa di una divaricazione nelle condizioni di vita che in molti – troppi – casi rende l’articolo 3 della Costituzione, cardine dell’uguaglianza in senso formale e sostanziale, una vuota proclamazione di principio.

Tutte le statistiche sociali vedono l’Italia in grave sofferenza. È bassissimo il tasso di occupazione, con punte drammatiche per quella femminile e giovanile, mentre cresce il già elevatissimo numero di lavoratori che, nonostante l’impiego, non riescono a uscire dalla povertà, perché sottopagati o costretti al part-time involontario e ad altre forme di impiego precario. L’atipicità è oramai la regola, visto che colpisce la gran parte dei nuovi assunti e, nel complesso, più di un lavoratore su quattro.
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