Torna lo spettro delle centrali nucleari

In Europa si discute di un ritorno alle centrali nucleari in funzione del passaggio finale alle rinnovabili. Ma la nostra fame di energia può giustificare i rischi radioattivi che il nucleare comporta?

Maria Mantello

Nel recente Consiglio europeo del 21-22 ottobre 2021, tra i tanti temi, si è andata configurando anche la prospettiva di un ritorno alle centrali nucleari: fonte energetica necessaria in funzione del passaggio finale alle rinnovabili.
Una prospettiva, questa del ritorno all’energia atomica, che seppure accompagnata dalle immancabili rassicurazioni sulla sicurezza rispetto al passato delle nuove centrali, non basta certo a rendere evanescente la memoria dei disastri provocati dal nucleare, che quindi temiamo.

La paura non è debolezza, ma spinta alla prudenza, che può diventare coraggio per una svolta etica radicale contro il mai smesso vizio umano di fare del mondo-natura la nostra “masserizia”.
In una delle sue Operette morali, Dialogo di un folletto e di uno gnomo, Leopardi immagina un mondo dove gli umani «sono tutti morti, e la razza è perduta». La causa della loro catastrofe è tutta nella «presunzione» di aver pensato che «le cose del mondo non avessero altro uffizio che di stare al servigio loro».  Una presunzione di dominio e di consumo. Un delirio di accaparramento che li ha portati a considerare le cose della natura proprietà loro, che essi «scrivevano tra le loro masserizie».

Ma possiamo fare masserizia del mondo, accaparrarci il mondo fino alla distruzione sua e nostra?
Questa questione che in Leopardi era geniale intuizione, sarebbe diventata oggetto privilegiato della riflessione di filosofi come Hans Jonas che nel suo, Il principio responsabilità. Un’etica per la società tecnologica, di fronte al potenziale distruttivo che l’impiego della tecnica consente nelle nostra epoca, chiamava a un nuovo «comandamento ontologico in base al quale l’umanità deve continuare ad esistere».
Ed è la questione che ci si ripresenta per le centrali nucleari, e che ci impone questa domanda: la nostra fame di energia, può giustificare i rischi radioattivi che il nucleare comporta?

«Molte ha la vita forze / tremende; eppure più dell’uomo nulla, vedi, è tremendo». Recita il coro dell’Antigone di Sofocle – riportato in Il principio responsabilità – e che sottolinea la potenza delle tecniche che l’uomo inventa «con ingegno che supera/ sempre l’immaginabile, ad ogni arte […]».

Ma se le invenzioni scientifiche e le loro applicazioni tecniche hanno consentito agli umani di non essere sopraffatti dalla natura (oggi siamo nella condizione di doverla difendere!), esse sono andate acquistando nelle società tecnologiche avanzate una crescente potenza, illimitata e autonoma, a causa della dipendenza sempre maggiore dagli utensili tecnologici che caratterizzano la nostra quotidianità. E dai quali siamo diventati dipendenti in una furia di consumo e assoggettamento, all’interno di  un sistema di bisogni, più o meno indotti. Ma per la cui produzione e uso quotidiano necessita una smisurata produzione energetica artificiale… fino alla quella smisurata potenza dell’energia nucleare.

Senza andare troppo indietro nel tempo, non sembrava tutto controllo alla “sicurissima” centrale nucleare di Fukushima Daiichi in quell’11 marzo del 2011?
Le immagini devastanti della catastrofe di Fukushima ci hanno obbligato ad aver paura. A provare empatia per la condizione umana di dolore e di distruzione, aprendo la strada alla responsabilità etica dell’impegno comune di non mettere a rischio l’umanità presente e futura. Impedendo così di fare a tal punto delle cose del mondo le nostre masserizie, tanto da negare alle generazioni future il diritto di potersi affacciare al mondo.
E allora, è legittimo chiederci: Possiamo sottrarci dal peso di questa responsabilità col propagandare le centrali nucleari come il migliore dei mondi possibili pur di soddisfare la nostra bulimia di energia?



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