Da occupazione a “museo abitato”. Prossimo passo: patrimonio dell’Unesco

Roma. Il Museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz, ex fabbrica in cui dal 2009 vivono 200 persone, si candida al prestigioso riconoscimento. E in difesa dell’occupazione lancia la campagna “Nunesco”.

Daniele Nalbone

Una ex fabbrica, un salumificio abbandonato, occupata dal 2009 da una settantina di famiglie senza casa, dal 2012 ospita quello che è, di fatto, il terzo museo di arte contemporanea di Roma dopo la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea e il Macro. Il Maam, Museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz, da sabato 25 settembre è ufficialmente candidato a essere riconosciuto “patrimonio dell’umanità” dell’Unesco. Una candidatura dovuta non solo in virtù delle oltre seicento opere d’arte che ospita, ma in qualità di primo “museo abitato” del Pianeta Terra.

Decine le persone che si sono ritrovate a Metropoliz per il lancio della candidatura. Tra loro, diversi esponenti politici, dall’assessore all’Urbanistica del Comune di Roma, Luca Montuori, all’ex vicensindaco e assessore alla Cultura, Luca Bergamo, fino ad arrivare al deputato ed ex presidente del Partito Democratico Matteo Orfini. Un incontro che è diventato visita guidata nei “padiglioni occupati” di Metropoliz, che è diventata performance teatrale di Ascanio Celestini, che si è trasformata in pranzo offerto dagli occupanti. Il tutto per valorizzare in maniera definitiva, con il bollino “Unesco”, quello che Giorgio de Finis, ideatore del Maam e direttore del Museo delle Periferie di Roma, ha definito “il cortocircuito tra l’alto e il basso: il fiore all’occhiello della città globale – il museo d’arte – e il punto di basso, la polvere sotto il tappeto, i poveri. Da nascondere. Da rimuovere”.

“Opera corale a scala urbana”, le parole ufficiali scelte per presentare la candidatura, il Maam “restituisce l’immagine utopica e concreta di una possibile città diversa, inclusiva, plurale, equa, autogestita” e “di un’arte sociale, generosa, relazionale, capace di costruire, a partire dalla logica del dono, uno spazio comune”. Perché a Metropoliz, come si legge su un cartello appeso nella cucina comune dell’occupazione, “gli artisti pagano doppio”. Non solo non c’è remunerazione per l’opera, ma tutte le spese sono a carico degli autori. Un dono, appunto, prima agli abitanti (occupanti) e poi all’intera città. Perché “il Maam, come le grotte di Lascaux, fonde arte e abitare, parola che acquista un valore ben più ampio se riferita alla città e non al tetto” ha sottolineato de Finis.

Provocatorio il titolo scelto per la campagna: “Nunesco”. Una “n” all’inizio per richiamare – in romano – alla battaglia degli abitanti di Metropoliz di proteggere l’esperienza nata e cresciuta nell’ex Fiorucci di via Prenestina: il Maam punta a diventare patrimonio Unesco, Metropoliz abitazione riconosciuta, “irrinunciabile e degna”.

L’esperienza del Maam è nata nel 2012 con il triplice obiettivo di riqualificare gli spazi dell’ex Fiorucci, di proprietà della Webuild spa (ex Salini-Impregilo); “ridurre l’effetto enclave di uno spazio che per difendersi deve chiudersi il cancello alle spalle”, come ha spiegato Irene Di Noto dei Blocchi precari metropolitani, uno dei movimenti romani per il diritto all’abitare; costruire “un’opera d’arte corale, somma delle singole produzioni artistiche in collezione, in grado di evocare l’immagine, e quindi la speranza, di una città più equa, giusta, capace di autodeterminarsi e rigenerarsi” ha ribadito de Finis.

L’iscrizione del Maam come “patrimonio culturale immateriale”, si legge nel documento che accompagna il lancio della candidatura, rientra nell’articolo 2 della “Convenzione per la salvaguardia del patrimonio” adottata nel 2003 dall’Unesco e ratificata dall’Italia nel 2007. Dove per “patrimonio culturale immateriale” si intendono “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”.

C’è un passo, sempre dell’articolo 2, che in questo scenario merita di essere riportato interamente:

Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso di identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.

Metropoliz non è solo una soluzione abitativa per chi non aveva una casa e il Maam non è solo un museo. Chi entra qui aspettandosi di andare a vedere delle opere d’arte, trova le famiglie immerse nella loro quotidianità. Chi viene per andare a trovare quelle famiglie, si ritrova immerso nei colori dell’arte. Questa non è solo una baraccopoli che vuole diventare casa. Questo non è solo un museo che vuole diventare patrimonio dell’Unesco. Insieme sono una visione di un’altra città possibile.


Il museo è la mia casa, la mia casa è un museo – Su MM 7/2020 il reportage di Daniele Nalbone sul Metropoliz.



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