Russia, per Putin un 9 maggio tra retorica stantia e problemi interni. Intervista a Giovanni Savino.

Seppur in tono decisamente minore, come ogni 9 maggio in Russia si è celebrata la vittoria nella Grande guerra patriottica contro il nazismo. Per il secondo anno di fila la commemorazione ha trovato spazio nella cornice della guerra contro l’Ucraina e anche quest’anno il tradizionale discorso del presidente ha contenuto molti riferimenti alla situazione attuale. Il tutto tra l’impasse al fronte, i sommovimenti interni e le bizze del solito Evgenij Prigožin. Abbiamo commentato la giornata con Giovanni Savino, ricercatore di storia della Russia presso l'Università Federico II di Napoli.

Redazione

Iniziamo dall’antefatto della giornata di oggi, ovvero dalla mancata organizzazione della tradizionale parata per il Giorno della Vittoria in diverse città della Russia (quella che si tiene a Mosca è la più importante ma di certo non l’unica). Anche la sfilata del Reggimento immortale, che prevede la presenza di comuni cittadini che mostrano l’effigie dei propri cari caduti in guerra, è stata annullata. A cosa è stato dovuto tutto questo?

Parate dovevano essere in effetti organizzate in 28 città russe ma di queste ben 24 hanno dato forfait, con il risultato che abbiamo assistito alla tradizionale parata per il Giorno della Vittoria solo in 4 città.

Le ragioni principali dietro alle tante defezioni sono queste: ragioni di sicurezza, soprattutto nei capoluoghi più vicini all’Ucraina, che infatti hanno rinunciato per primi; ragioni economiche, data la minore disponibilità di mezzi rispetto a quanto eravamo abituati negli anni precedenti; e, a proposito di mezzi, minore disponibilità anche di quelli militari, impiegati al fronte, tanto che oggi solo un carro armato ha sfilato sulla Piazza Rossa.

In generale si è cercato di occultare le difficoltà in cui attualmente versa la Russia, tanto che anche le veline diffuse dall’Amministrazione presidenziale hanno invitato a non dare troppo risalto alle celebrazioni – celebrazioni del 9 maggio che invece erano sempre state uno dei fiori all’occhiello della retorica e propaganda putiniane.

Venendo alla giornata di oggi, che discorso è stato quello di Vladimir Putin?

Un discorso che tutto sommato non ci ha detto nulla di nuovo rispetto a quello che viene ripetuto da quattordici mesi. C’è stato sì un riferimento agli alleati, alla resistenza, agli eserciti angloamericani e a quello cinese che si è battuto contro il Giappone, ma i temi su cui ha insistito Putin sono in sostanza gli stessi, a partire dalla stigmatizzazione dell’Occidente quale demolitore dei valori tradizionali, impegnato nel saccheggio del mondo, ma non si capisce cosa questo abbia a che fare con la Grande guerra patriottica. Come sempre, si è negata ogni soggettività all’Ucraina, con Kiev descritta come moneta di scambio nelle mani dell’Occidente e il popolo ucraino come suo ostaggio.

Come lo scorso 9 maggio inoltre Putin ha ribadito la continuità tra la storia militare russa e l’operazione militare speciale, attuale fase di una storia che non prevede rotture ma solo continuità, in cui è presente la glorificazione delle armi e l’orgoglio per i soldati, ovviamente anche per quelli impegnati adesso in Ucraina.

Ribadito infine l’elemento dell’ingresso nella nuova fase del mondo multipolare, in cui Putin si collocherebbe come il difensore dei valori tradizionali, ma anche questo non ho capito cosa c’entri con le celebrazioni del 9 maggio.

 

A proposito di discorsi, non abbiamo assistito solo a quello di Putin ma anche a quello di Evgenij Prigožin, che sempre quest’oggi ha diffuso un video di risposta al presidente – troppo sospetto il tempismo per non ravvisare dei collegamenti. Cosa afferma il capo della Wagner in questo video? E come va collocato all’interno dell’attuale dinamica della lotta al potere nell’establishment russo?

C’è da dire che Prigožin doveva essere occultato dai media ufficiali ma lui si sta rivelando molto abile nel gestire la propria rete mediatica, comunicando con il pubblico più oltranzista nel supporto alla guerra. Il timing del suo discorso è stato perfetto, a partire dalla diffusione della sua anteprima dando appuntamento agli spettatori sul finire del discorso di Putin.

In questo video sono contenute accuse pesanti nei confronti dell’establishment e riferimenti particolari come quello alla Gazprom, che ci dimostra come anche alcune holding si siano dotate delle proprie compagnie militari private, e un altro al fatto che una brigata meccanizzata dell’esercito russo ha abbandonato le sue postazioni a Bakhmut.

Ha parlato di tradimento dei soldati da parte dei vertici, che sono accusati di uccidere con il loro operato quelli russi anziché quelli nemici, attaccando le alte cariche del Ministero della Difesa, accusate di sorseggiare tranquillamente il loro tè mentre mandano al suo gruppo Wagner solo il 10% delle munizioni richieste. E lo ha fatto con toni forti, affermando che in caso di sconfitta “il popolo russo gli romperà il c**o”. Una critica violenta l’ha indirizzata anche alla retorica putiniana, definendo il 9 maggio la festa dei nonni, che hanno sì ottenuto la loro vittoria a differenza della Russia attuale, invitando a ricordare quanto accaduto senza “ca**eggiare sulla Piazza Rossa”. Hanno colpito anche i riferimenti fatti a un non identificato “nonnetto”, che potrebbe rivelarsi un “cog**one completo”; anche considerando l’età, per alcuni è sembrato rivolgersi al presidente ma queste sono solo supposizioni. Ma pur se questa non fosse la realtà, la percezione è stata questa e da storico ho imparato che spesso le percezioni hanno un peso maggiore rispetto alla realtà fattuale.

Per l’establishment russo è difficile gestire un elemento come Prigožin, poiché non appartiene alla ristretta cerchia che Putin aveva riunito intorno a sé da ben prima della guerra e non è nemmeno un oligarca, dal momento che non è proprietario di aziende nei settori chiave – il suo è un impero economico costruito con la ristorazione. Proprio questa sua estraneità all’establishment gli garantisce libertà di movimento e non si sa come limitarlo – non certo nel classico modo che viene riservato agli oppositori.

 

In conclusione, cosa ci ha detto questo 9 maggio?

Ci ha ribadito quello che sta accadendo ora in Russia, in un momento di impasse al fronte nell’attesa della possibile controffensiva ucraina, e cioè che vi sono dei sommovimenti all’interno del Paese. Spesso sui media italiani non si parla della situazione interna in Russia ma solo nell’ultimo periodo abbiamo assistito a un attacco (seppur dimostrativo ma molto simbolico) al Cremlino, ad alcuni sabotaggi ferroviari e all’arresto della regista Evgeniya Berkovich e della drammaturga Svetlana Petriychuk. Inoltre da alcuni settori della società giungono pressioni per cambiare rotta nella gestione del conflitto, con la motivazione di difendere Putin e il suo regime, esortando a processare per alto tradimento ministri, governatori e ufficiali (e a tal proposito sempre Prigožin si è scagliato contro il governatore di San Pietroburgo).

La situazione, in maniera più o meno sotterranea è in movimento, anche se questo non significa certo che la situazione politica potrebbe cambiare domani – e se lo facesse ora temo che ciò accadrebbe per il peggio. Di sicuro c’è il fatto che in Russia la stabilità, il mantra che Putin ripete da vent’anni, ormai è soltanto un ricordo.

CREDITI FOTO: Presidential Executive Office of Russia|Wikimedia Commons

 

 



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