Salute bene comune. L’inevitabilità di un prossimo duro scontro sociale

Il privato sta prendendo possesso della sanità pubblica, smantellando gradualmente il Servizio sanitario nazionale. Se non vogliamo diventare gli Usa, adesso è il momento di lottare per la difesa del Ssn.

Vittorio Agnoletto

La manifestazione del primo aprile a Milano in piazza Duomo in difesa della sanità pubblica ha indubbiamente rappresentato un successo. Per la prima volta non c’erano solo le associazioni che si occupano specificatamente della tutela della salute, i comitati dei parenti ricoverati nelle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), i gruppi di cittadini autorganizzati che protestano contro la chiusura di un ospedale nel proprio paese, le realtà femministe che si oppongono al trasferimento del consultorio dal territorio all’ospedale, le decine di genitori che protestano contro la riduzione, nella propria città, da due ad una sola Uonpia (Unità operativa di neuro psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza) e gli operatori sanitari alla ricerca di un miglior contratto.
Tutti costoro c’erano, ma insieme a tanti altri, ad associazioni e comitati che operano in decine di settori diversi e che non si occupano specificatamente e quotidianamente di sanità.
Chi il primo aprile era in piazza Duomo era ben consapevole che le sue difficoltà nell’ottenere il rispetto del diritto alla cura e all’assistenza non rappresentano un caso isolato, ma che fanno parte di un’esperienza condivisa da milioni di persone e che sono il risultato di precise scelte politiche. Costoro hanno sperimentato a loro spese che nessuno gli regalerà un servizio sanitario pubblico efficiente e ad accesso universale. Sanno bene che se vogliono tutelare la loro salute devono rimboccarsi le maniche, unirsi a tanti altri in un vasto movimento in grado di costruire una vertenza nazionale.
Tutti erano e sono consapevoli di qual è la posta in gioco: l’esistenza stessa del Servizio sanitario nazionale. Vi è un rischio concreto di svegliarsi un giorno e di non trovarne più traccia. Non è allarmismo, né catastrofismo, è il prendere atto di un processo di smantellamento che procede ininterrottamente da tre decenni e che ha avuto negli ultimi anni una forte accelerazione. È il risultato di una precisa scelta politica finalizzata a consegnare al privato il più grande bene comune che abbiamo: la salute e quindi la nostra stessa vita.

La sanità, un grande business per i capitali privati

Il settore privato si sta appropriando e sta condizionando tutti i settori del ciclo attraverso il quale il nostro Stato dovrebbe garantirci la tutela della salute, come i servizi di prevenzione.
Le aziende private in sanità cercano di massimizzare il profitto che, in questo settore, si basa sulla presenza di malati e malattie; non sono quindi motivate a rafforzare gli interventi di prevenzione che anzi possono produrre risultati antitetici ai loro interessi. Il pubblico, invece, più investe sulla prevenzione e sulla diagnosi precoce più risparmia, riducendo malati e malattie. Una constatazione banale che mostra come in sanità gli interessi del pubblico e del privato siano antitetici. Il disastro si completa se chi ha la responsabilità della sanità pubblica applica al Servizio sanitario nazionale la logica, gli interessi e l’organizzazione tipiche dei servizi sanitari privati. La riduzione ai minimi termini della medicina territoriale e dei servizi di prevenzione è uno dei risultati più evidenti di tale logica.

Solo per fare qualche esempio relativo al territorio dove vivo: in Lombardia un terzo dei posti letto è già ora gestito da strutture private, tra i quali, per fare qualche nome, il gruppo S.Donato, Humanitas, Multimedica ecc. che sono in grado di condizionare le scelte regionali di politica sanitaria. I loro bilanci sono in gran parte sostenuti da rimborsi pubblici anche attraverso un’oculata pratica del doppio binario. Infatti, scelgono di accreditarsi per le specialità mediche, per gli interventi e gli esami maggiormente remunerativi ed anche in questi ambiti mantengono sempre letti ed ambulatori destinati all’attività puramente privata, verso la quale cercare di dirottare le richieste che, grazie all’accreditamento, giungono loro attraverso il Ssn, ma che si scontrano con liste d’attesa infinite. La Lombardia, pur rappresentando la punta di diamante della penetrazione del neoliberismo nella sanità, non rappresenta un caso isolato ed anzi sta esportando in tutt’Italia il suo modello.

D’altra parte, una manciata di multinazionali (Hoffmann La Roche, Pfizer, Glaxo, Novartis, Merck, Moderna, AstraZeneca, Sanofi ecc.) riunite in Big Pharma hanno il quasi totale monopolio, nel mondo occidentale e quindi anche in Italia, nella produzione di farmaci e vaccini.
Come hanno in più occasioni dichiarato i dirigenti dei grandi Fondi Finanziari, “la sanità è uno dei settori maggiormente redditizi per gli investimenti privati a condizione che lo Stato, le istituzioni religiose e le realtà no-profit facciano un passo indietro”.

Il rischio è la scomparsa del Ssn, servizio sanitario nazionale

Il Ssn è agonizzante, mancano 30-40.000 medici, circa 100.000 infermieri, mentre negli ultimi vent’anni 180.000 operatori sanitari hanno lasciato il nostro Paese e lavorano all’estero in condizioni decisamente migliori di chi ha scelto di rimanere. Non si ferma la fuga dal servizio pubblico, aumentano i “medici a gettone,” che, a discapito di un’etica della professione, guadagnano in una settimana quello che un medico ospedaliero del Ssn prende in un mese. Mi fermo qui con i numeri del disastro servizio sanitario pubblico, ormai sono conosciuti e non c’è media che non li metta in evidenzia.

Tutto questo ricade pesantemente e in varie forme sui cittadini. Solo per fare alcuni esempi, pensiamo alle liste d’attesa infinite: recentemente a “37e2”, la trasmissione sulla sanità che conduco da anni su Radio Popolare, abbiamo segnalato come a Milano, presso una dei maggiori ospedali privati accreditati con il Ssn, l’attesa è di 1300 giorni per una colecistectomia e di 50 mesi per una prostatectomia. Oppure pensiamo alla spesa sanitaria sostenuta direttamente dalle famiglie, che ha ormai raggiunto i 36 miliardi. Ancora, le rette mensili per un ricovero in Rsa, che possono arrivare anche a 3000 euro, gran parte dei quali richiesti direttamente al cittadino e ai familiari, nel disprezzo totale di quanto stabilito dalla nostra legislazione che prevede che la retta sia suddivisa tra una quota sanitaria a carico del Ssn e una quota sociale suddivisa tra il cittadino (in relazione all’Ise) e il comune di residenza.

Le conseguenze di tale situazione le conosciamo tutti: una parte significativa della popolazione, (secondo varie indagini tra il 7 e l’11% dei cittadini) non si cura più o non cura almeno una delle patologie dalle quali è affetto. E la situazione continua a peggiorare. Uno dei principali indicatori utilizzato a livello internazionale per studiare lo stato di salute di un Paese sono i giorni liberi da malattia delle persone ultra 65enni, che negli ultimi anni in Italia è precipitato. Il passaggio successivo potrebbe essere un prossimo abbassamento dell’attesa vita, parametro nel quale abbiamo raggiunto le posizioni di testa a livello mondiale, proprio grazie al nostro Ssn ad accesso universale nato con la legge 833 del 1978, portato dall’Oms come esempio ed invidiatoci dai popoli di tutto il mondo.

Ma questo ora è un lontano ricordo. Il rilancio del Ssn non può realizzarsi senza un duro scontro politico che metta in discussione gran parte dei profitti e dei privilegi concessi alla sanità privata in questi decenni; l’idea che sia possibile tornare ad una sanità ad accesso universale in modo indolore, senza un aspro conflitto sociale è illusoria.
È necessario rompere definitivamente, anche dentro l’attuale schieramento d’opposizione, con una visione politica subalterna al dominio del mercato che conduce a ricercare convergenze o comunque forme di non belligeranza con i potentati della sanità privata.
Un esempio recente: non è credibile rappresentare le Case di Comunità come la punta avanzata del Servizio sanitario pubblico e come avviene in Emilia-Romagna, pubblicare dei bandi di gara con project financing e partnership pubblico-privato.

È inoltre auspicabile che nel maggior sindacato italiano si apra una riflessione sull’errore di aver inserito le assicurazioni private sanitarie nei contratti collettivi, senza nascondersi dietro il paravento che si tratta di prestazioni aggiuntive a quelle previste dai Lea (Livelli essenziali di assistenza) che lo Stato dovrebbe mettere a disposizione di tutti. È sufficiente scorrere la lista delle possibili visite ed interventi per rendersi conto che non è così. Siamo di fronte allo spostamento di centinaia di migliaia di lavoratori dal Servizio sanitario pubblico al sistema privato.
Con il risultato di svuotare il Ssn, il quale rischia di diventare sempre più simile alla realtà statunitense: un servizio per le fasce povere della popolazione alle quali vengono garantite le emergenze e i servizi di base; oltretutto in una società nella quale la maggioranza delle nuove generazioni sono esterne e probabilmente tali resteranno, ai contratti collettivi a tempo indeterminato.

Cambiare si può, da subito, se c’è la volontà politica

Indico alcuni punti della piattaforma, elaborata in occasione delle recenti mobilitazioni, che si concentra su cosa sarebbe possibile fare nell’immediato. Siamo, ovviamente, ben consapevoli, della necessità di cambiamenti profondi e strutturali che richiedono non solo tempi più lunghi, ma anche un accumulo di forze, obiettivo al quale, insieme a tanti, continuiamo a lavorare.
Liste d’attesa. In ogni regione deve essere istituito un unico Centro di Prenotazione dove devono confluire tutte le agende anche delle strutture private accreditate. I tempi di erogazione delle prestazioni, stabiliti a livello regionale e nazionale, devono essere rispettati in base alla priorità indicata dal medico curante e questo deve essere uno degli obiettivi sui quali valutare i direttori generali e i Rua, responsabili unici delle liste d’attesa.

Nelle strutture accreditate devono essere garantiti tempi simili di erogazione a chi afferisce tramite il Servizio sanitario nazionale e a chi invece arriva come soggetto pagante, il quale potrà scegliere l’equipe, i giorni e il trattamento alberghiero, ma non dovrà essere il portafoglio a stabilire i tempi della cura.
Nelle strutture pubbliche se i tempi d’attesa superano, in modo significativo, quelli previsti per legge deve essere interrotta l’attività intramoenia (prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale).
Nelle strutture private accreditate il personale addetto a rispondere alle richieste che giungono attraverso il Ssn non può in alcun modo proporre prestazioni private; vanno sanzionate quelle realtà private che prevedono una premialità agli addetti al call-center che riescono a spostare sul privato una richiesta giunta per il Servizio sanitario pubblico.

Per quanto riguarda il personale sanitario, vanno stabilizzati tutti i precari: medici, infermieri ecc. ad oggi operanti nelle strutture sanitarie, cancellando definitivamente il blocco delle assunzioni. Deve essere contrastato il fenomeno del “medico a gettone”, stabilendo una data oltre la quale tale pratica sarà vietata, attivando da subito canali innovativi di rientro nel Ssn per i medici interessati. Contestualmente devono essere aumentati gli stipendi dei medici e del personale sanitario, tra i più bassi dell’Europa occidentale, e vanno previsti degli incentivi e una diversa organizzazione dei tempi per alcuni settori maggiormente esposti a situazioni di stress e di burnout.
Deve essere superato il numero chiuso a Medicina ed ampliati i posti nelle specialità.
Deve essere favorita l’aggregazione tra Mmg (medici di medicina generale) utilizzando e incrementando i fondi già destinati a questo scopo, aumentando gli orari di apertura degli ambulatori. Deve essere rivisto il percorso formativo per Mmg garantendo il medesimo riconoscimento economico spettante agli iscritti alle scuole di specialità.

Le Case di Comunità non devono essere appaltate al privato, né essere semplici unioni di poliambulatori, ma strutture pubbliche, a forte integrazione sociosanitaria, per la presa in carico complessiva delle persone. L’accreditamento delle strutture private deve essere rilasciato solo in relazione al fabbisogno di assistenza definito dalla programmazione sociosanitaria e in base alla capacità, o meno, delle strutture pubbliche presenti di rispondere alle necessità evidenziatesi sul territorio, superando una situazione di Far West ove chiunque può ottenere l’accreditamento. Ad esempio, in Lombardia va cancellato il principio di equivalenza tra pubblico e privato inserito dalla nuova legge regionale n. 21/2022.
L’esternalizzazione dei servizi deve essere cancellata: da subito va ridotta al minimo indispensabile e comunque per tempi limitati ed in particolare le cooperative devono comunque essere sottoposte a precisi controlli rispetto alla quantità e alle qualifiche del personale e agli orari di lavoro che devono rispettare, ad es. per i periodi di riposo, in sintonia con quanto previsto dalle regole comunitarie.

Nelle Rsa (Residenze Sanitarie Assistenziali) devono essere rispettati i parametri di legge e i contratti per il personale anche in quelle gestite dal privato. È necessario stabilire dei limiti alle rette d’accesso alla Rsa e ottenere il rispetto nella suddivisione della spesa tra regione, cittadino e comune di residenza, attualmente gran parte dei costi pesano sulle singole famiglie.
In prospettiva va profondamente modificato il sistema di assistenza alle persone anziane e/o non autosufficienti, sottraendoli al monopolio privato e puntando ad un’integrazione socioassistenziale con il territorio, riconducendo gli interventi all’interno del Servizio sanitario nazionale al contrario di quanto previsto dal disegno di legge sugli anziani fragili recentemente approvato.

Un grande movimento è necessario, anche in Italia

Lo scontro per difendere e/o ottenere un Servizio sanitario pubblico sarà uno degli elementi caratterizzanti i conflitti sociali dei prossimi anni in tutto il mondo. La salute è il bene più prezioso che ogni essere umano possa avere e la tutela della salute propria e dei propri cari è da sempre in cima alle preoccupazioni di ognuno di noi ed è su questo terreno che il conflitto con la logica neoliberista che mette al primo posto il profitto (di pochi) risulterà sempre più evidente.

L’iniziativa del primo aprile a Milano rende evidente la necessità che anche in Italia, come già in Spagna con Marea Blanca, in Francia e in Gran Bretagna si costruisca un grande movimento in grado di costruire una vertenza nazionale che abbia al centro i punti precedentemente illustrati e che chieda da subito un aumento significativo dei fondi per la sanità e una loro differente distribuzione finalizzata a potenziare la medicina territoriale, la prevenzione e la diagnosi precoce.
Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo ora nel nostro Paese: secondo quanto previsto dal precedente governo Draghi, tra due anni alla sanità sarà destinato meno del 6,1% del PIL, meno quindi della soglia minima individuata dall’Oms perché ogni Paese garantisca un’assistenza sanitaria sufficiente ai propri cittadini.

Vittorio Agnoletto, medico, insegna “Globalizzazione e Politiche della Salute” all’Università degli Studi di Milano, del direttivo nazionale di Medicina Democratica.

 

Foto Pixabay | scarcifilippo



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