Samuel Paty: al di là del ricordo e del cordoglio, la lotta

Un anno fa la selvaggia decapitazione del docente ha rivelato molteplici complicità e viltà rispetto all’ideologia islamista.

Printemps Républicain

Un anno fa, Samuel Paty veniva selvaggiamente decapitato da un terrorista islamico che l’aveva scovato su internet, al termine di una cabala 2.0 creata da zero dal genitore di un alunno e trasmessa dalle reti islamiste.

Quel dramma ha rivelato molteplici complicità, mancanze e viltà rispetto all’ideologia islamista, a volte insidiose o impensate.

Complicità quando si permette la banalizzazione dell’accusa di islamofobia, questo veleno che equivale a una condanna. Viltà di qualche collega e della gerarchia, che a volte preferiscono distogliere lo sguardo piuttosto che affrontare la dura realtà. Mancanza dell’Istituzione, quando si abbandonano i professori a se stessi senza dare loro sostegno. Complicità di alcuni studenti, pronti a vendere la testa dei loro insegnanti per qualche spicciolo. Complicità, infine, di coloro che dopo l’attentato dicevano che Paty «non avrebbe dovuto mostrare le caricature durante un corso di educazione civica sulla libertà d’espressione».

Senza queste complicità, senza queste viltà, senza queste mancanze, Samuel Paty potrebbe essere ancora vivo. Sfortunatamente, nel 2020, non potevamo dire di non sapere. Perché si tratta degli stessi meccanismi che hanno condotto all’isolamento di Charlie Hebdo e al dramma dell’attentato del 7 gennaio. È per questo che l’omicidio di Samuel Paty ci pietrifica e provoca così la nostra rabbia.

La lotta contro l’islamismo, in tutte le sue forme, e più generalmente la lotta contro l’integralismo religioso che mina ogni possibilità di convivenza in Francia, è affare di tutti. Non solo del governo e delle autorità pubbliche. Ogni cittadino, ogni genitore, ogni educatore deve fare la sua parte, per piccola che sia. Questo atteggiamento avrebbe dovuto guidare l’istituzione, i colleghi o le associazioni dei genitori a fare quadrato attorno a Samuel Paty quando si è trovato al centro della tempesta. La solitudine ha invece contribuito a renderlo vulnerabile.

Se questo attentato è sembrato risvegliare alcune coscienze, molto resta da fare, specialmente tra i giovani. Da questo punto di vista, il sondaggio IFOP pubblicato ieri è particolarmente significativo. Quando si chiede loro cosa pensano dell’autore dell’attentato, il 5% degli intervistati (18-30 anni) afferma di non condannarlo affatto, il 9% lo condanna ma «ne condivide alcune delle motivazioni» e il 9% si dice «indifferente». Circa un quarto dei giovani abbandona dunque Samuel Paty al suo destino… È in questa direzione che dobbiamo concentrare i nostri sforzi. Non possiamo dire di non sapere, non possiamo far finta che alcuni animatori di show televisivi non vellichino fino all’autocompiacimento questo mondo di indifferenza o di odio.

Oggi, i nostri pensieri vanno a Samuel Paty, alla sua famiglia e a tutti gli insegnanti di Francia.

 

(credit foto Kira Hofmann/dpa-Zentralbild/dpa)



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