Prof. decapitato da un estremista islamico: non possiamo più permetterci il lusso dell’indifferenza

L’atroce esecuzione di un professore francese reo di aver mostrato delle vignette su Maometto è solo l’ultimo anello di una catena. È il momento che tutti – e innanzitutto i musulmani d’Europa – si rendano conto che non possiamo più permetterci il lusso dell’indifferenza.

Cinzia Sciuto

(Articolo pubblicato originariamente il 18 ottobre 2020)

Venerdì scorso un professore francese è stato decapitato per aver mostrato alcune vignette su Maometto in classe.

Un professore. Decapitato. Per delle vignette.

L’orribile esecuzione di Samuel Paty – assassinato in pieno giorno da Abdullakh Anzorov, un ragazzo russo ceceno di 18 anni, che dopo l’assassinio è stato a sua volta ucciso dalla polizia – non è un fulmine a ciel sereno, un fatto isolato privo di qualsivoglia collegamento, il gesto di un esaltato che viene dal nulla. Quello che è accaduto venerdì a Conflans – una cittadina dell’ Île-de-France, oggi addolorata e sbigottita – è l’ultimo anello di una catena di eventi che si sono succeduti nei giorni precedenti, a loro volta da iscrivere in una cornice ancora più ampia. E sono questi eventi e questa cornice ad essere dal punto di vista politico e sociale molto più allarmanti del singolo, finale gesto omicida.

Samuel Paty era un docente di storia e geografia. Negli scorsi giorni, in concomitanza con l’inizio del processo per l’attentato a Charlie Hebdo il professore, che insegnava anche educazione civica, ha voluto dedicare una lezione a uno dei valori fondanti della Repubblica francese, la libertà di espressione, e per farlo ha anche mostrato alcune delle vignette pubblicate dal giornale satirico francese che ritraevano Maometto. D’altro canto come fai a raccontare la vicenda di Charlie Hebdo senza spiegare cos’è che ha provocato il massacro della redazione nel gennaio del 2015? In classe ci sono anche degli studenti musulmani, il prof. Paty naturalmente lo sa e per questo avvisa che sta per mostrare quelle immagini, dando la possibilità a chi volesse di uscire dall’aula, ma non intende rinunciare alla sua lezione. E perché dovrebbe, d’altronde? La libertà di espressione è un valore che dovrebbe stare a cuore a tutti i cittadini francesi a prescindere dalla loro fede, no? E infatti diversi degli studenti musulmani ascoltano e apprezzano la lezione del prof., molto amato a scuola, esattamente come i loro compagni.

A non apprezzare per nulla invece è il padre di una delle studentesse che nei giorni immediatamente successivi alla lezione di Paty pubblica sui social nome e cognome del docente, insieme all’indirizzo della scuola, invocando alla mobilitazione per bloccarne le lezioni. Il genitore ha addirittura denunciato il professore per diffusione di materiale pornografico e si è recato personalmente alla dirigenza della scuola per chiedere l’allontanamento dell’insegnante. Ad accompagnarlo in questa occasione è Abdelhakim Sefrioui, un esponente dell’islam più radicale, già noto per le sue posizioni antisemite e fondamentaliste.

Sia Sefrioui sia il padre dell’alunna sono stati arrestati, insieme ad alcuni familiari dell’assassino. Ad oggi sono 11 le persone poste in arresto per l’uccisione di Paty. Naturalmente sarà da chiarire il ruolo di ciascuno nella dinamica dei fatti, quello che invece è straordinariamente chiaro è che Paty era da giorni (se non da mesi) al centro di una martellante campagna di delegittimazione da parte di alcune famiglie musulmane estremiste e che né la scuola, né la polizia (a cui Paty negli ultimi giorni si era rivolto perché spaventato dalle minacce ricevute) né il resto della comunità musulmana sono riusciti a proteggerlo.

A ogni attentato di matrice islamica si rinnova il solito, trito e francamente ormai insopportabile copione: la condanna del fatto e la presa di distanza dall’assassino da parte delle organizzazioni islamiche. “Quello che è accaduto non ha niente a che fare con l’islam” e “Non si può accusare un’intera comunità del gesto di uno solo” sono il ritornello intonato non solo dai musulmani, ma anche da tanta parte della sinistra europea. Che le responsabilità penali siano individuali è lapalissiano e in tribunale si accerteranno quelle che hanno portato all’uccisione di Paty. Ma quello che interessa è capire quali e di chi siano le responsabilità di tutto quello che è accaduto prima. Dissociarsi da chi uccide è ovvio, ma è anche fin troppo facile.

Meno facile, ma doveroso, sarebbe dissociarsi da tutte quelle famiglie che fanno pressioni sugli insegnanti per modificare le loro lezioni, che vietano alle figlie di partecipare a determinate lezioni (così facendo violando il loro diritto allo studio), che impongono (non necessariamente con la violenza, che è sempre e solo l’ultimo gradino della piramide della coercizione) alle bambine il velo, che pretendono leggi speciali, per esempio una deroga su quella che in Francia vieta qualunque simbolo religioso negli spazi pubblici (e che la retorica multiculturalista spaccia per “legge contro il velo”: una disonesta misitificazione della realtà).

Meno facile, ma doveroso, sarebbe stato non cavillare sull’opportunità o meno per un giornale di pubblicare vignette che taluni possono ritenere offensive e rivendicare invece la libertà che qualcun altro pubblichi persino quello che mi offende, invece di avventurarsi in gimkane argomentative a cui si è volentieri unito persino papa Francesco. Se per aver pubblicato delle vignette dei giornalisti sono stati massacrati, vuol dire che non possiamo permetterci il lusso di discutere del contenuto di quelle vignette.

Meno facile, ma doveroso, sarebbe stato reagire immediatamente ai post di quel genitore, manifestando in maniera pubblica e ad alta voce la propria solidarietà a quel docente, marcando il terreno, occupando sia fisicamente sia ideologicamente lo spazio pubblico, magari indossando magliette con le vignette di Maometto, che Allah è troppo grande per offendersi per dei disegni.
E invece lo spazio pubblico viene sistematicamente disertato con una semplice alzata di spalle (“io non c’entro nulla, non devo giustificarmi di nulla”) e dunque inevitabilmente lasciato alla mercé dei fondamentalisti. Nel giugno del 2017, in seguito all’attentato sul London Bridge che provocò 8 morti e 48 feriti, la sociologa tedesca Lamya Kaddor, apprezzata studiosa di islam e fondatrice dell’Alleanza dei musulmani liberali in Germania, aveva promosso a Colonia una manifestazione il cui motto era #NichtMitUns – Muslime und Freunde gegen Gewalt und Terror [#nonconnoi – Musulmani e amici contro la violenza e il terrore]. La manifestazione è stata un vero e proprio flop (una delle maggiori organizzazioni islamiche tedesche aveva invitato a disertarla) e molti musulmani intervistati hanno spiegato la loro assenza proprio con l’argomento “non ho bisogno di giustificarmi in quanto musulmano”. Ma manifestare pubblicamente il proprio posizionamento rispetto a un problema che ci riguarda da vicino, anche se non ne siamo i diretti responsabili, è un segnale innanzitutto nei confronti di coloro che del nostro silenzio approfittano, in questo caso i fondamentalisti islamici. Da siciliana, conosco bene questo meccanismo: “io non sono mafiosa, dunque la mafia non è un mio problema” è stato per anni la cornice perfetta che ha fatto prosperare la mafia. Solo quando un gran numero di siciliani si è reso conto che la mafia ci riguarda anche se non siamo mafiosi e che è nostra responsabilità agire quotidianamente denunciando e non mettendo la testa sotto la sabbia che la lotta alla mafia anche da parte delle forze dell’ordine ha potuto avere una qualche efficacia.
E dunque sì, i musulmani hanno una precisa responsabilità nell’impedire che la narrazione fondamentalista prenda sempre più piede. Oggi sarebbe urgente che i musulmani di Francia raccogliessero l’invito che ha loro rivolto Macrón in un recente, importante discorso, diventando i primi, orgogliosi alleati nella difesa dei valori della République.

Francia, manifestazione per Samuel Paty. Foto ©Ansa

 

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