Sangiuliano il sanfedista: ritratto del ministro della Cultura

Il profilo del ministro della Cultura del governo Meloni somiglia moltissimo a quello che avrebbe desiderato il Vaticano - il Vaticano reale, non quello che esiste soltanto nelle fantasie degli adoratori acritici di Bergoglio.

Raffaele Carcano

Il primo esecutivo del dopoguerra guidato dall’estrema destra non si è segnalato né per la qualità, né per la varietà dei suoi componenti. Qualche nome originale era inizialmente circolato, ma non è stato poi inserito nella compagine di governo. Uno di essi era quello di Giordano Bruno Guerri: notoriamente di destra, ma altrettanto notoriamente ateo e anticlericale. Lo scorso 18 ottobre diversi quotidiani gli attribuivano con sicurezza il dicastero della cultura. E invece, quando tre giorni dopo è stata pubblicata la lista dei ministri, la casella è stata occupata da Gennaro Sangiuliano.
Il sito di indiscrezioni Dagospia dà per certo che sia stato il frutto di un intervento diretto del Vaticano. Soltanto voci non confermate? Forse. Ma resta il fatto che il profilo del ministro somiglia moltissimo a quello che avrebbe desiderato il Vaticano – il Vaticano reale, non quello che esiste soltanto nelle fantasie degli adoratori acritici di Bergoglio.
Militante missino sin da quando era giovanissimo, nel 2003 Sangiuliano è entrato in Rai in quota ad Alleanza Nazionale. Poi, per quasi un decennio, ha condiviso la vicedirezione del Tg1 con quella di Libero. Agiografo di Putin, nel 2018 è stato nominato direttore del Tg2. In tale veste è intervenuto sia alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, sia alla festa della Lega, assolutamente noncurante dei conflitti d’interesse. Una scelta politica netta, la sua. Che però, come si è visto, l’ha ampiamente ripagato.
Alla fede per l’estrema destra, Sangiuliano unisce anche quella per il cattolicesimo. Considerato vicino all’Opus Dei, insegna da diversi lustri alla Libera Università Maria Santissima Assunta. Da direttore del Tg2 ha lasciato che la conduttrice Marina Nalesso continuasse a esibire crocifissi e rosari, nonostante le numerose proteste ricevute.
Una volta entrato in carica, ha immediatamente tradotto il suo zelo in azioni concrete. Come prima cosa ha partecipato alla preghiera per la pace promossa dalla comunità di Sant’Egidio, peraltro sfruttata per una photo opportunity con il pontefice. Ha quindi sostenuto la candidatura, avanzata dall’arcidiocesi di Napoli, di inserire il culto di san Gennaro nell’elenco del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Il ministro si è vantato di portare il nome del santo e ha affermato di averne «studiato la vita e il sacrificio», non senza ricordare con commozione la statuetta che gli veniva regalata ogni anno. Peccato soltanto che, nei negozi specializzati di via san Gregorio Armeno, la devozione per il patrono sia ormai stata soppiantata dalla venerazione per san Diego Armando da Lanús.
Pochi giorni dopo, con i suoi colleghi Lollobrigida e Santanché, si è recato dai monaci benedettini di Subiaco, assicurando che «l’identità culturale e comunitaria italiana è soprattutto un’identità cristiana», e che con lui «la cultura torna a essere anche cultura religiosa: se lo mettano bene in testa». Come se con l’ex democristiano Franceschini e i suoi predecessori ci fosse stato l’ateismo di stato. Sangiuliano ha poi viaggiato fino a Rieti, dove ha celebrato il presepe e san Francesco, «figura unificante della cultura e della nazione». Tornato a Roma, si è fatto ricevere in Vaticano dal numero due, il segretario di stato Parolin, con cui ha discusso «la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico italiano». A spese dei contribuenti, è facile immaginare.
Ha infine concluso il suo primo tour de force clericale facendo installare un presepe al ministero della cultura. Naturalmente, ha anche partecipato alla festa del decennale di Fratelli d’Italia, dove ha avuto modo si proclamare la sua opposizione al conformismo: «la cultura dev’essere anche rottura degli schemi». Dev’essere per questo motivo che, poche settimane prima, aveva scelto come portavoce proprio Marina Nalesso.
Se si pensa che il nuovo presidente della commissione cultura, scienza e istruzione della Camera è Federico Mollicone (quello che voleva censurare la pericolosa militante lgbt Peppa Pig), si comprende come si sia di fronte a un progetto culturale organico quanto quello lanciato nel 1994 dal cardinal Ruini, all’epoca capo dei vescovi italiani. Un progetto altrettanto schiettamente reazionario, con la sola importante differenza che quello melonista vola decisamente più basso – persino più basso di quello che il fascismo promosse creando il ministero della cultura popolare (passato alla storia come Minculpop).
La cultura a cui pensa il governo è infatti quella popolaresca di chi si appassiona alle sagre folkloristiche e alle cartoline oleografiche. Non bisognerebbe definirlo sovranista o nazionalista: la sua dimensione (orgogliosamente sbandierata) è più piccola, provinciale. E ne fanno quindi inevitabilmente parte anche le simbologie e le ritualità di un cattolicesimo che senza dubbio ancora sopravvive, ma che raggiunse il suo massimo fulgore ben prima dell’unità d’Italia.
Sanfedismo vs illuminismo: sono passati più di due secoli, ma siamo ancora lì. E questo spiega tante cose.



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