Santi, poeti, navigatori e… bamboccioni

La retorica dei giovani schizzinosi e bamboccioni serve solo per alimentare la cattiva informazione, alterare i fatti e nascondere inconfessabili fini da parte di una classe imprenditoriale “accattona”.

Renato Fioretti

Sono particolarmente fiero di non avere mai condiviso e sempre contestato le strumentali contrapposizioni “giovani-anziani” e “garantiti-precari” che, nel nostro Paese, hanno spesso rappresentato lo squallido alibi attraverso il quale procedere a una serie di controriforme unicamente tese a comprimere diritti e tutele; in particolare a danno dei lavoratori.

Non a caso, a mio parere, ogni qualvolta si è ritenuto opportuno ricorrere a modelli di riferimento che operassero in termini di confronto/scontro intergenerazionale, sono stati prodotti risultati inaccettabili.

È stato così quando, ad esempio, operando la riforma delle pensioni congiuntamente alla robusta “deregolamentazione” della legislazione del lavoro, è stato conseguito il risultato di anteporre iniqui “scaloni” alla prevista quiescenza e determinare trattamenti “da fame” per i pensionati del futuro.

Così come si è realizzato un ingiusto allineamento “al ribasso” delle tutele legali quando – in nome del superamento del cosiddetto “dualismo” esistente nel nostro mercato del lavoro, tra lavoratori “garantiti” e “precari” – si è proceduto[1] al sostanziale azzeramento dell’art. 18 dello Statuto e al superamento del vecchio contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, sostituito dal cosiddetto “contratto a tutele crescenti”.

C’è, però, un altro aspetto – particolarmente odioso – della questione intergenerazionale, che viene reiteratamente riproposto.

È quello secondo il quale i nostri giovani, nonostante risultino detentori, a livello europeo, dei più alti indici di disoccupazione e inoccupazione, siano spesso indisponibili a rispondere positivamente alla notevole “domanda di lavoro” presente nel mercato del lavoro italiano!

Si tratta, ormai, di un mantra che – da alcuni anni a questa parte – viene sistematicamente riproposto all’approssimarsi dell’estate. Con particolare riferimento alle numerose attività di carattere “stagionale” offerte dai settori della ristorazione e del turismo in genere.

Quindi, anche in questo secondo anno post-pandemia è tornato di moda il consueto ritornello secondo il quale in Italia sarebbero decine di migliaia i posti di lavoro disponibili che i giovani, in particolare, continuano a rifiutare.

Tanta domanda di lavoro inevasa perché, secondo la Signora Santanchè – imprenditrice (!) del settore turismo –  “il maledetto Reddito di cittadinanza fa sì che lavorino due giorni in nero e non vogliono nessun tipo di contratto”!

Stesso parere quello espresso dall’ineffabile “sceriffo” della Campania: “Mancano i camerieri perché preferiscono i 700 euro del Rdc piuttosto che svegliarsi alle 6 del mattino”!

Non poteva, di certo, sottrarsi al coro dei “disperati” l’impalpabile segretario “di sinistra” del Pd secondo il quale: “Si preferisce prendere il Rdc e lavorare a nero, è una cosa insopportabile”!

In sostanza, dopo gli “schizzinosi” della Fornero (rei di pretendere la monotonia del “posto fisso”, piuttosto che accontentarsi del lavoro che trovano) e i “bamboccioni” di Tommaso Padoa-Schioppa (troppo pigri e legati alla famiglia di origine), dovremmo prendere atto che il Rdc ha prodotto decine di migliaia di novelli “negazionisti” del lavoro che, allo stesso, preferirebbero la “bella vita” a spese dei contribuenti.

Scusateci! Lo faccio io per tutti e chiedo scusa ai nostri figli e ai nostri nipoti!

Non può, infatti, definirsi civile un Paese in cui a esponenti politici – che, ironia della sorte, si richiamano ai valori della sinistra – e a presunti rappresentanti della cosiddetta “classe dirigente” è consentito offendere la dignità e la moralità di milioni di giovani, e non solo giovani.

Possibile che a nessuno, tra la Santanchè, lo sceriffo, il segretario del Pd e a tanti altri con loro, sorga almeno il dubbio che il Rdc – misura presente in quasi tutti i Paesi civili di questo mondo, con lo stesso o anche diverso nome, ma identiche finalità – nulla abbia a che vedere con atti di rifiuto che attengono al rispetto della propria dignità, piuttosto che alla difesa di un sussidio statale?

Tra l’altro, in un’Italia in cui già da diversi anni assistiamo all’ormai monotono ritornello del tipo “Ce lo chiede l’Europa” – quando si è costretti a dover subire controriforme che, inevitabilmente, finiscono con l’incidere pesantemente sulle condizioni di vita dei cittadini e dei lavoratori[2] – non è senza sospetto che si assiste alla demonizzazione di quel Rdc che invece, in tanti Paesi dell’Ue, rappresenta (da tempo immemorabile) una consolidata conquista sociale.

D’altra parte, la general-generica accusa rivolta agli attuali 20-30enni (e oltre) di non avere, in sostanza, voglia di lavorare, rappresenta lo stesso stillicidio cui venivano sottoposti i loro coetanei quando del Rdc non si conosceva, in Italia, nemmeno il significato.

Si tratta, allora, di un antico vezzo cui ricorre, frequentemente, buona parte della nostra mal ridotta classe imprenditoriale?

Un dato oggettivo è rappresentato dal fatto che oggi, in realtà, è di nuovo in atto un’imponente opera di contro informazione – ad opera delle maggiori associazioni di categoria padronali, pseudo imprenditori e sedicenti giornalisti – tesa ad alimentare quella che è ormai diventata una vera e propria leggenda metropolitana: “Il lavoro c’è ma non si trova personale perché tutti preferiscono il Rdc”!

Un’operazione, quindi, di indecente denigrazione, nei confronti di decine di migliaia di giovani, che può essere sintetizzata ricorrendo alle recenti dichiarazioni del sindaco di Gabicce (rinomata stazione balneare adriatica) secondo il quale “il personale stagionale, i camerieri, i cuochi del Sud[3] non vogliono lavorare”. Causa, naturalmente, quel maledetto Rdc!
Piuttosto, perché non chiedersi: come mai tutti questi sedicenti “donatori di lavoro” (dalla famigerata Santanchè al pressoché sconosciuto Sindaco di Gabicce) non ricorrono ai Centri per l’impiego territoriali e alle tante Agenzie di lavoro interinale per procedere alle “regolari” assunzioni cui tanto aspirano?

Qualche bolscevico di antica memoria o un commentatore in malafede potrebbe, a giusta ragione, rilevare che, forse, ciò dipende da un maldestro senso del diritto: “Ti consento di lavorare, ma solo ed esclusivamente alle mie condizioni”!

Quelle condizioni che si pretende siano demandate alla insindacabile e libera interpretazione del “donatore di lavoro” di turno.

In questo senso, troppo spazio richiederebbe un elenco (comunque) approssimativo di quelli che diventano, nei fatti, obblighi e prestazioni “collaterali”.

Dal part-time (di norma imposto) di 4 ore che, non di rado, diventano almeno 8 (a parità di salario), al mancato godimento dei tempi di pausa e delle ore di riposo, all’onere di prestazioni aggiuntive (vedi pulizia dei locali e dei servizi) non retribuite ma obbligatorie. Fino al punto di mortificare la dignità di tanti giovani e altrettanti lavoratori non più tali.

Così come, d’altra parte, ampiamente noto e facilmente riscontrabile attraverso le montagne di denunce esistenti presso l’Ispettorato del lavoro e le sedi sindacali cui fanno riferimento, in particolare, centinaia di migliaia di lavoratori dei settori con alte e altissime quote di lavoratori cosiddetti “stagionali”.

Lo stesso, elevatissimo, tasso di turnover presente nelle aziende di questi settori rappresenta, di per sé, un elemento estremamente significativo.

In definitiva, la retorica dei giovani schizzinosi e bamboccioni serve solo per alimentare la cattiva informazione, alterare i fatti e nascondere inconfessabili fini da parte di una classe imprenditoriale che, francamente, considero un eufemismo definire “accattona”!

[1] Entrambe le questioni hanno sempre avuto in Pietro Ichino, l’ex senatore Pd, uno tra i più convinti e determinati sostenitori.

[2] È stato così per le riforme di carattere previdenziale e per quelle di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Stessa cosa si appresta, prevedibilmente, per quelle del fisco e della giustizia.

[3] Non poteva mancare, evidentemente, l’assioma “giovane del Sud = fannullone/cocco di mamma sua”.



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