Le città non sono uguali per tutti: conversazione con Saskia Sassen

Nelle metropoli le persone benestanti vivono benissimo. Questo perché le città, oggi, sono basate su un'ingiustizia invisibile che esclude i lavoratori a basso reddito.

Giorgio de Finis

Pubblichiamo un estratto della conversazione rilasciata da Saskia Sassen a IPER festival delle periferie, evento “phygital” – con l’uso della tecnologia a costruire un ponte tra evento fisico ed evento digitale – promosso dal museo omonimo (cos’è il Museo delle periferie) e che si svolgerà a Roma dal 21 al 23 maggio.

Dal maggio del 2007, quando per la prima volta nella storia dell’umanità la popolazione che vive nelle città ha superato quella insediata nelle campagne, le città sono diventate l’habitat privilegiato dei sapiens. Cosa caratterizza l’ambiente urbano del Terzo Millennio?
Innanzitutto, dobbiamo dire che oggi gli standard di vita, le condizioni sanitarie e la qualità dell’aria, il tasso di violenza e molti altri aspetti sono profondamente diversi da città a città, e che forse è necessario sviluppare un nuovo linguaggio per cogliere tale variabilità. Bisogna considerare temi quali la sicurezza, la qualità dell’acqua, la solidità degli edifici (basti pensare ai molti immobili di bassa qualità a rischio di crollo), incrementare il numero di alberi e piante, minimizzare l’uso delle auto all’interno delle città e, aspetto che assume un’importanza sempre crescente, costruire nuove città piuttosto che lasciare che quelle esistenti continuino ad espandersi all’infinito. Questa è per me una questione di vitale importanza, perché nelle grandi città le persone benestanti vivono benissimo, ma i lavoratori a basso reddito devono percorrere distanze sempre maggiori per raggiungere il posto di lavoro, perché sono costrette a vivere nelle periferie. Si tratta di un’ingiustizia invisibile che dobbiamo affrontare. La maggior parte di coloro che vivono nei centri delle città e nelle zone limitrofe molto semplicemente non si rende conto che i lavoratori a basso reddito devono alzarsi prestissimo e viaggiare molto più della classe media, per non parlare dei ricchi.

Se è vero che questa straordinaria produzione degli umani-urbani (la città) è il nostro ecosistema di riferimento, non dovremmo tutelarlo come un “bene comune”, al pari dell’acqua e dell’aria? Non dovrebbero gli umani difenderlo da attacchi che poco hanno a che vedere con la vita, l’abitare, come quelli degli algoritmi della finanza globale che cercano nella metropoli e nel patrimonio immobiliare ancoraggi a terra per spericolate operazioni?
Sì, certo… anche se dobbiamo riconoscere che c’è una differenza tra la capacità della città di rispondere a bisogni primari – spesso le città sono un luogo nel quale molti dormono in strade sporche, un luogo che può negare i bisogni elementari come gli spazi verdi e le fontanelle di acqua potabile – e la sua capacità di costruire edifici sempre più alti. In effetti, nella città è presente un terzo elemento fondamentalmente nuovo: oltre alle abitazioni, alle reti idriche, alle costruzioni di ogni genere, oggi ci sono “opportunità” di tipo diverso. Tra queste, per esempio, il fatto che un edificio vuoto – che sia un bell’edificio di lusso o in rovina – oggi può svolgere la funzione di asset, cioè qualcosa di sufficientemente astratto che può essere comprato e venduto più volte nell’arco della stessa giornata, se necessario. L’astrazione è tale per cui un edificio può risultare più redditizio se trattato come asset…. Se ci si riflette bene questo dato è allarmante, perché può significare che sempre più spesso le persone a basso reddito potranno trovarsi nell’impossibilità di affittare o acquistare l’alloggio di cui hanno bisogno.

Possiamo considerare i centri delle capitali del mondo come “quartieri” di un’unica grande città globale, connessi da aeroporti e treni veloci, omologate dagli stessi brand e dalle medesime regole di fruizione dello spazio urbano?
Sì, ma solo fino a un certo punto… È il circuito delle imprese e degli individui ricchi e potenti a collegare le città più importanti a livello internazionale, sempre più spesso sottraendosi dall’includere le imprese a basso reddito che rischiano di rimanere fuori del gioco o essere fagocitate. Ciò ha l’effetto di far sparire con crescente frequenza le imprese e i progetti più modesti… un tema importante.

Cos’è oggi la periferia?
Oggi sappiamo che esistono periferie di due tipi. La prima è sempre più ricca e concentrata sulla qualità dell’aria, dell’acqua, dei trasporti… e che pretende che tutto funzioni bene e gli spostamenti siano semplici. L’altra è l’opposto… e ciò significa che i lavoratori devono alzarsi alle 5 del mattino o anche prima per lasciare il cibo pronto ai figli che stanno ancora dormendo, e poi correre al lavoro per arrivare puntuali. Abbiamo due estremi che sono evidenti, e il divario aumenta. Una situazione a basso reddito che sta spingendo i lavoratori a stabilirsi in luoghi sempre più lontani ed una classe medio-alta sempre più ricca che può permettersi di vivere dove più le piace – al centro della città o in qualche bel sobborgo verde.

Il programma completo Festival delle Periferie

[Foto, Festival delle Periferie / Traduzione a cura di Alessandra Rantucci]

 

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