Se Ipazia viaggia su un asteroide

Nel libro “Ipazia e la musica dei pianeti” di Roberta Torre l’incontro tra l’astronauta Camilla, nostra contemporanea, e la scienziata Ipazia. Una lettura suggestiva che istiga al dubbio.

Marilù Oliva

Un lavoro a quattro mani, “Ipazia e la musica dei pianeti”, uscito per rueBallu edizioni e ristampato più volte: autrice è la milanese Roberta Torre, regista di cinema e teatro, drammaturga e artista visuale, illustratrice è Pia Valentinis, nata a Udine ma trapiantata a Cagliari, vincitrice del Premio Andersen nella categoria Miglior illustratore e del Super premio Andersen.

Filosofa neoplatonica, matematica, astronoma e studiosa vissuta ad Alessandria d’Egitto nella seconda metà del IV secolo, Ipazia fu una di quelle donne spartiacque considerate pericolose (e fastidiose) dal potere costituito e per questo, come tutti sappiamo, morì di morte violenta:

«A uccidermi sono state le persone. Parabolani li chiamavano, dei monaci del deserto, guerrieri, pronti a uccidere per Dio, o meglio per quello che altri uomini più furbi indicavano loro circa il volere di Dio. Che una donna non fosse degna di insegnare, di parlare, di pensare. Sono stati loro a uccidermi, in una notte buia come questa, ma non è importante che siano stati loro. Potrebbero essere stati altri, umani che non sapevano cosa stavano facendo. Cattivi? Malvagi? Può darsi. Molti umani sono inconsapevoli e dunque infelici».

Questo libro che su alcuni scaffali è incasellato nella categoria “letteratura per bambini”, è in realtà rivolto a tutti, perché racconta in una maniera suggestiva e piena di delicatezza una delle storie più truci dell’età del Tardoantico. L’escamotage è annullare gli ostacoli spazio-temporali e l’idea geniale della Torre è far incontrare su un asteroide, avvolte dal mistero dello spazio, l’astronauta Camilla, nostra contemporanea, e la scienziata Ipazia.

Se all’inizio le due si avvicinano quasi con circospezione, un po’ alla volta si raccontano e si consegnano una all’altra. Ipazia narra del suo giardino d’infanzia, degli studi, del fratello, del padre insegnante di astronomia, del suo amore per le stelle, della sua prima lezione, dell’allievo prediletto e di molti altri tasselli di una vita eccezionale. Camilla la stuzzica con le sue domande e le insegna la musica rock, senza immaginare che anche la musica riservi una sorpresa.

Le dimensioni si compenetrano, Camilla plana a volo d’uccello tra i meandri affollati di Alessandria, del suo porto, del suo mercato e scopre una città multietnica, dove convergono molte religioni, eppure prevale la loro parte più guasta:

«Camilla, bisogna faticare per stare in equilibrio. E negli ultimi tempi nessuno lottava più per mantenerlo, cristiani, ebrei, pagani si scontravano tra loro per chi avesse ragione e io pensavo: Come faranno a essere così sicuri delle loro idee?»

Un libro – rilegato con cura, col suo segnalibro, l’elastico, stampato su carta naturale, col titolo in rielievo – in cui si presta attenzione a ogni dettaglio e le illustrazioni danno una piacevole sensazione di infinito, sia che si tratti di un’immagine “della consistenza della nebbia o dello zucchero a velo”, sia che venga ritratta una donna evanescente striata nel rosso, sia che si improvvisi una danza liberatoria. Una lettura che istiga al dubbio e a protendersi verso le stelle e, quindi, può solo far bene.

 

(credit foto ANSA / ALESSANDRO DI MARCO)



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