Se la Corte suprema spinge gli Stati Uniti verso un regime teocratico

A una lettura approfondita la bozza di parere maggioritario che rovescia Roe v. Wade fa acqua da tutte le parti. E lascia presagire pericolosissime derive.

Ingrid Colanicchia

«Nei primi anni Ottanta fantasticavo sull’idea di un romanzo che avrebbe esplorato un futuro in cui gli Stati Uniti sarebbero stati divisi. Una parte si sarebbe trasformata in una dittatura teocratica basata sui princìpi religiosi e sulla giurisprudenza del puritano New England del XVII secolo. […]. Nella teocrazia immaginaria di Galaad, le donne avrebbero avuto pochissimi diritti, come nel New England del XVII secolo. I passaggi della Bibbia sarebbero stati selezionati con cura, e le parti selezionate interpretate alla lettera. Sulla base degli accordi riproduttivi della Genesi, in particolare quelli della famiglia di Giacobbe, le mogli dei patriarchi di alto rango avrebbero potuto avere schiave, o “ancelle”, e avrebbero potuto dire ai loro mariti di avere figli dalle ancelle e poi rivendicarli come loro. Anche se alla fine ho portato a termine questo romanzo e l’ho chiamato Il racconto dell’ancella, ho smesso di scriverlo diverse volte, perché lo consideravo troppo inverosimile. Sciocca io. Le dittature teocratiche non appartengono solo a un lontano passato: ce ne sono molte oggi sul pianeta. Cosa impedisce agli Stati Uniti di diventare una di esse?».

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Già, cosa impedisce agli Stati Uniti di trasformarsi in una dittatura teocratica, come si chiede la scrittrice Margaret Atwood in un articolo a commento della bozza di parere maggioritario della Corte suprema che rovescia Roe v. Wade, la storica decisione del 1973 che ha affermato il diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti?

Poco e niente sembrerebbe, se le argomentazioni addotte nel documento trovassero conferma. A preoccupare non sono infatti “solo” le conclusioni (cioè l’annullamento di Roe v. Wade) ma i ragionamenti portati a sostegno di tali conclusioni.

In primo luogo preoccupa che il giudice Samuel Alito scriva che il diritto all’aborto non esiste perché la parola “aborto” non si trova nella Costituzione («La Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto, e nessun diritto del genere è implicitamente tutelato da alcuna disposizione costituzionale»). Come rileva la stessa Atwood, infatti, la Costituzione non menziona proprio le donne: «Se iniziamo a rovesciare la legge usando le argomentazioni del giudice Samuel Alito – chiede provocatoriamente la scrittrice – perché non abroghiamo anche il diritto di voto alle donne?».

Alito boccia anche un’altra argomentazione su cui si basano i difensori di Roe, vale a dire che il diritto all’aborto sia protetto dalla Due Process Clause del XIV emendamento: «Tale disposizione – si legge nel parere – è stata ritenuta garantire alcuni diritti che non sono menzionati nella Costituzione, ma qualsiasi diritto del genere deve essere “profondamente radicato nella storia e nella tradizione di questa Nazione”».

«Per quanto riguarda la “tradizione” – è il commento della docente di Harvard Annette Gordon-Reed – sono sicura che la maggior parte di noi ha letto, alle medie, il racconto La lotteria di Shirley Jackson sui pericoli della cieca adesione alla tradizione. E per quanto riguarda la “storia”: molte cose orribili sono “profondamente radicate nella storia di questa Nazione”, così come molte cose meravigliose. La sottomissione delle donne è stata certamente tra le cose orribili. La dichiarazione che gli unici unenumerated rights [diritti non esplicitati in Costituzione, dedotti da altri diritti] che le donne americane di oggi possiedono sono quelli profondamente radicati nella nostra storia rende le donne moderne cittadine perennemente di seconda classe. E che dire degli altri gruppi che sono stati oppressi ed emarginati nel corso della nostra storia e per tradizione: afroamericani, membri della comunità lgbtq? In base a questa formulazione, solo uomini bianchi, etero, al potere e privilegiati fin dagli albori del nostro Paese, godono del pieno beneficio di unenumerated rights ai sensi della Due Process Clause e del IX emendamento».

L’avvocata Liza Batkin va oltre, sottolineando come ci sia anche un altro inganno davanti ai nostri occhi: «Pur rivendicando la fedeltà al testo costituzionale, la bozza della maggioranza è intrisa di opinioni date per scontate sull’importanza di proteggere il feto in tutte le fasi dello sviluppo, opinioni che non provengono dalla Costituzione ma sono proprie degli anti-abortisti conservatori e religiosi: esattamente il tipo di convinzioni personali su cui la maggioranza afferma di non fare affidamento». «Pur rivendicando un’elevata neutralità – prosegue Batkin – si accenna più e più volte a opinioni sull’importanza di proteggere la vita fetale. […]. Di conseguenza, il diritto all’aborto viene presentato come una distinta e “critica questione morale”. La bozza ribadisce questo punto quattro volte. Non vi è, tuttavia, alcun motivo per affermare che l’aborto in tutte le fasi della gravidanza presenti una distinta e “critica questione morale” a meno che non si dia peso e legittimità alle pretese morali per la protezione del feto in tutte le fasi dello sviluppo, a cominciare dal concepimento».

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David Cole, docente di Legge al Georgetown University Law Center e direttore legale dell’American Civil Liberties Union (Aclu), sottolinea che c’è così tanto di sbagliato nella bozza di parere che è possibile che uno o più dei giudici che originariamente hanno votato per unirsi ad Alito ci ripensi. «In primo luogo, la bozza del giudice Alito sostiene che non c’è nulla di sbagliato nel ribaltare il precedente costituzionale perché alcune delle più celebri opinioni della Corte lo hanno fatto. […]. Alito cita infatti una trentina di sentenze con cui la Corte ha ribaltato il precedente. Ma ciò che colpisce della sua lista è che la stragrande maggioranza delle decisioni lo ha fatto per ampliare i diritti. Una manciata ha attenuato le tutele dei diritti, ma nessuna ha eliminato del tutto un diritto. […]. In secondo luogo, le implicazioni del ragionamento di Alito sono sbalorditive e non si limitano all’aborto. Sostiene che la Corte dovrebbe tutelare diritti non espressamente specificati nella Costituzione solo se sono “radicati nella storia e nella tradizione della nostra Nazione”. Ma praticamente tutti i diritti costituzionali di cui godiamo oggi sono più ampi di quelli riconosciuti dalla “storia e tradizione”. In effetti, i legislatori hanno usato termini aperti come “libertà”, “giusto processo” ed “eguale protezione” per consentire e persino invitare a tale evoluzione. Se il mandato di Alito di ridurre i diritti a quelli del 1789, quando fu adottata la Bill of Rights, o anche alla fine del 1800, quando furono aggiunti gli emendamenti della guerra civile, fosse attuato, molti dei diritti che diamo per scontati sarebbero in pericolo. […]. Infine, chiamare cavalleresca la valutazione di Alito sulle conseguenze della sentenza per le donne sarebbe caritatevole. Respinge l’argomento secondo cui vietare l’aborto costituisce discriminazione sessuale invocando una delle decisioni più assurde mai prese dalla Corte, Geduldig v. Aiello, in cui il presidente della Corte Suprema William Rehnquist argomentò che le leggi sull’aborto non discriminano sulla base del sesso perché non tutte le donne sono incinta. […]. Le regole che disciplinano lo stare decisis indirizzano la Corte a considerare se la società sia arrivata a fare affidamento su un precedente. Alito alza le mani e dice che non possiamo sapere se le donne hanno fatto affidamento sulla consapevolezza di poter pianificare le loro vite, famiglie e carriere senza temere che una gravidanza indesiderata richiederà loro di avere un bambino. Davvero? Come potrebbe qualcuno dubitare di ciò?».

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Il tutto senza considerare che la Corte è lungi dall’essere reale espressione della maggioranza dei cittadini, come più di un osservatore ha rilevato in questi giorni.

I giudici che, secondo Politico, si sarebbero aggregati ad Alito sono Clarence Thomas, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. Gli ultimi tre sono stati nominati da Donald Trump, il quale nel 2016 vinse, è vero, le elezioni ma non conquistò il voto popolare (come noto Hillary Clinton portò a casa quasi 3 milioni di voti in più). Alito è stato invece nominato da George W. Bush nel 2005. E se è vero che, nel 2004, Bush conquistò contro John Kerry sia il voto dei grandi elettori sia quello popolare è anche vero che quattro anni prima aveva portato a casa la presidenza in un’elezione piuttosto controversa (ricordiamo tutti il “caso Florida” no?) e che in realtà il voto popolare aveva premiato Al Gore. Se nel 2000 non fosse arrivato alla Casa bianca difficilmente George W. Bush si sarebbe candidato di nuovo. Come ricostruisce Jon Schwarz su The Intercept l’ultima volta che un candidato ha ottenuto la nomina del suo partito, ha perso, e poi ha ottenuto di nuovo la nomina e ha vinto, è stato nel 1968, con Richard Nixon. «Forse un altro repubblicano avrebbe battuto Gore, forse no».

«Ci sono state otto elezioni presidenziali negli ultimi 30 anni e otto posti vacanti alla Corte Suprema», scrive Schwarz. «La bizzarra realtà del sistema politico statunitense è che i repubblicani hanno vinto il voto popolare solo in una di queste otto elezioni, ma hanno scelto cinque degli otto nuovi giudici. Di questi cinque, quattro stanno votando per invertire Roe».

Credit foto: manifestazione di protesta davanti all’ambasciata Usa a Londra, a seguito della diffusione del parere maggioritario della Corte suprema. © Vuk Valcic/ZUMA Press Wire



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