Viaggio nella politica che cede alla tecnocrazia

Se in questi giorni il Parlamento vara, eleggendo Draghi, un presidenzialismo di fatto, la classe politica tutta si suicida.

Angelo Cannatà

Siamo nella fase della tattica e dell’apparenza e della finta “guerra delle due rose” tra centrodestra e centrosinistra (una rosa è ufficiale, l’altra ha nomi che circolano da tempo) si concluderà – alla fine – con Draghi al Quirinale nonostante oggi sembri più debole. Il semipresidenzialismo di fatto è alle porte e non è un bel vedere perché cancella la Carta che ci ostiniamo a ritenere una guida. Non si perdano i lettori nelle nebbie delle dichiarazioni ufficiali: le schede bianche di questi giorni non sono lo stallo da cui non si veda uscita, ma l’effetto di una brutta fase di accordi e compromessi. Draghi sta trattando, soprattutto con Salvini, sui ministri e il format del governo che è disposto ad avallare con la sua firma dal Quirinale. Non va bene. Perché si calpestano le regole; e la forma, che, a giorni alterni, molti ricordano essere sostanza.

Insomma, l’attivismo del premier nelle trattative e negli accordi segreti per la scelta del Capo dello Stato, è già di per sé una sgrammaticatura ma diventa qualcosa di più brutto, se, come sta accadendo, da Palazzo Chigi – da quella postazione e da quel ruolo – il premier tratta per sé stesso. Un tecnico prestato (o imposto) alla politica in ore difficili – col compito d’occuparsi di pandemia e Pnrr – non può diventare improvvisamente il dominus assoluto del Paese, e tanto meno il custode della Costituzione. Per la contraddizione che non consente. Mario Draghi incarna i poteri forti d’Europa (ci sono, eccome!) ed è stato incontestabilmente il tutore dei mercati. Legittimo. Ma che c’entra il custode dei mercati con la custodia della Carta? “I mercati non sono, per la Costituzione, una priorità” ricorda Flores d’Arcais. Ed è un cedimento a fattori esterni l’ascesa di Draghi a un potere enorme: dalle Forze Armate al Consiglio Superiore della Magistratura.

Il ruolo di Capo dello Stato è super partes e altamente politico (non partitico) e non spetta a un tecnico ricoprirlo se la classe dirigete ritrova un minimo di dignità; spetta a un politico o a una personalità al di sopra delle parti distintasi, negli anni, per la difesa d’interessi non particolari, non lobbistici, non dei grandi poteri economici, ma dei cittadini. La sovranità appartiene al popolo e il Presidente, eletto dal Parlamento, dev’essere l’espressione massima di questa sovranità. Che c’entra con questo profilo l’uomo che fu della Goldman Sachs, una delle più importanti banche d’affari del mondo? L’impressione, molto forte, è che i partiti o quel che resta di loro non vedano (o non vogliano vedere) cosa significhi un tecnico come Draghi al Quirinale. Insomma, se per decenni siamo stati un Paese a sovranità limitata, e nel clima della guerra fredda la cosa aveva una giustificazione storica, che senso ha oggi mettersi nelle mani di un uomo che risponde a (ed è garante di) logiche che vengono calate dall’alto (e da fuori) sul nostro martoriato Paese?

Una ragione profonda a pensarci bene c’è: la nostra classe dirigente – dopo i De Gasperi, i Moro, i La Malfa, le Iotti, gli Ingrao, i Berlinguer, i Lombardi, i Pajetta, i Pertini, per citare solo alcuni nomi – ha perso il senso del proprio ruolo, la dignità del “fare politica” per il bene del Paese, e naviga a vista, giorno per giorno, affogando in compromessi che deturpano i principi della Costituzione. Le azioni e le scelte hanno una logica e producono effetti: sia chiaro: se in questi giorni il Parlamento vara, eleggendo Draghi, un presidenzialismo di fatto, la classe politica tutta si suicida. Non ho nulla contro l’attuale premier e le sue capacità tecniche. È ciò che rappresenta – e le logiche a cui risponde – che mi preoccupa. Non sarà un Presidente che taglia nastri e riceve scolaresche (farà anche questo), sarà, per sua natura, un Capo di Stato che interviene, detta la linea, controlla i ministri. Egemonizza. Senza i contrappesi del presidenzialismo (vedi Stati Uniti) su cui è ora di ragionare seriamente in Italia. Non se ne può più di questo modo – infame – di eleggere i presidenti nel nostro Paese, un sistema nato nel dopoguerra con l’immagine del dittatore davanti agli occhi. Nonostante tutti gli errori commessi (e sono davvero tanti) i 5Stelle sembrano aver compreso il pericolo: “se Draghi andasse al Quirinale potremmo sottrarci dal governo”. È giusto. Resta il fatto che ci vorrà molto tempo prima che una nuova generazione di politici rialzi la testa e parli di primato della politica. Di questo primato oggi non è rimasto nulla: in giro vedo solo macerie, finte guerre delle due rose, e il dominio della tecnocrazia.

 

(credit foto ANSA/Riccardo Antimiani)



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