Semipresidenzialismo, presidenzialismo e sindaco d’Italia: tre opzioni da rispedire al mittente

È cruciale proteggere il nostro sistema parlamentare e, per far fronte al cosiddetto problema della governabilità - un problema riconducibile al sistema partitico e non al sistema di governo - è accettabile solo l’introduzione della cosiddetta “sfiducia costruttiva”, vale a dire la possibilità di sfiduciare un governo solo a condizione di eleggerne un altro.

Giancarlo Minaldi

Sin dal suo insediamento Giorgia Meloni ha risolutamente assunto l’impegno ad attuare profonde riforme istituzionali, ponendo in primo piano il cambio del sistema di governo, passando a un modello, ancora non meglio specificato, di elezione diretta del Primo Ministro e/o del Presidente della Repubblica. Ora, partendo proprio da questa indeterminatezza è il caso di soffermarsi sui sistemi di governo che prevedono l’elezione del capo del governo e/o del Presidente. Per semplificare prenderemo ad esempio tre casi: quello francese per il semipresidenzialismo, quello statunitense per il presidenzialismo e quello, solo ipotizzato e attualmente non esistente in alcun regime democratico, del cosiddetto sindaco d’Italia.

Ebbene, sin da subito possiamo dire che tutti e tre i sistemi di governo mostrano limiti assai significativi, riconducibili prevalentemente al bilanciamento dei poteri tra esecutivo e legislativo e che possono avere effetti assai destabilizzanti per i regimi democratici. Non a caso, la ricerca politologica ha da tempo evidenziato come la democrazia si consolidi più facilmente nei sistemi parlamentari piuttosto che in quelli che prevedono l’elezione diretta del capo dello stato e/o dell’esecutivo.

Partiamo dal caso francese. Nella V Repubblica il Presidente, com’è noto, è eletto direttamente dai cittadini e non è sfiduciabile, ma non è l’unico titolare del potere esecutivo. Un Primo Ministro viene nominato dal Presidente con l’incarico di formare il governo e deve ottenere la fiducia o la non-sfiducia dall’Assemblea Nazionale (Camera Bassa). Tecnicamente, tra governo e parlamento si dice che vi è un rapporto positivo. Ora, si dia il caso che, se il «colore politico» che esprime il Presidente coincide con quello dell’Assemblea Nazionale, il Primo Ministro sarà di fatto subordinato al Presidente che, avendo anche la facoltà di partecipare al Consiglio dei ministri, potrà gestire a piacimento l’organo esecutivo e quello legislativo. Oltretutto, essendo la durata in carica dei due organi (Presidente e Assemblea Nazionale) divenuta dal 2002 identica, le probabilità di una coabitazione, cioè colori politici diversi e obbligo per il Presidente di nominare un Primo Ministro non appartenente al proprio partito/coalizione, è divenuta assai remota. Lo sbilanciamento di potere a favore del Presidente ha così trasformato la V Repubblica in quella che in gergo politologico viene definita una «presidenza imperiale», dove anche le misure più avversate e controverse vengono approvate, anche senza un voto favorevole del Parlamento.

Per quanto attiene al sistema presidenziale americano, presenta un doppio inconveniente. Il primo è quello della «doppia legittimità democratica», del parlamento e dell’esecutivo (presidenza). Il Presidente, di fatto direttamente eletto, non può sciogliere il Congresso e il Congresso non può sfiduciare il Presidente. Entrambi gli organi hanno durata fissa e non coincidente (quattro anni il Presidente, due anni la Camera dei Rappresentanti e sei anni il Senato), sicché, in caso di «colore politico» diverso fra Parlamento e Presidente si può giungere al cosiddetto «stallo decisionale», soprattutto se il Presidente non si mostrasse incline ad accettare la coabitazione con un parlamento avverso. Il rovescio della medaglia è invece costituito dalla piena coincidenza che, in caso di un Presidente molto carismatico e in grado di controllare facilmente la maggioranza, può portare anche in questo caso alla deriva della «presidenza imperiale».

Infine, vi è la proposta di Matteo Renzi del Sindaco d’Italia, che proprio perché proveniente da una forza d’opposizione potrebbe trovare una qualche sponda nella maggioranza, col fine di raggiungere la maggioranza dei 2/3 necessaria per evitare il referendum costituzionale confermativo (art. 138 Cost.). Si tratta, a parere di chi scrive, della forma di governo più rischiosa per il bilanciamento dei poteri e, in particolar modo, per il Parlamento. Emulando il sistema di governo adottato per i comuni sopra i 15mila abitanti, la riforma prevede l’elezione diretta del Primo Ministro contestualmente al Parlamento, con l’attribuzione di un premio di maggioranza alla coalizione che sostiene il candidato Primo Ministro risultato eletto. Un modello di «presidenza imperiale» non eventuale, ma certo, che ridurrebbe il Parlamento a mero organo di ratifica delle decisioni governative. D’altra parte, si tratterebbe della stessa sorte toccata ai consigli comunali dopo la riforma del 1993, divenuti organi di mera ratifica delle decisioni assunte dai sindaci e dalle giunte.

Per tutte queste ragioni è da ritenersi cruciale proteggere il nostro sistema parlamentare e, per far fronte al cosiddetto problema della governabilità – un problema prevalentemente riconducibile al sistema partitico e non al sistema di governo – è da ritenersi accettabile solo l’introduzione della cosiddetta “sfiducia costruttiva”, vale a dire la possibilità di sfiduciare un governo solo a condizione di eleggerne un altro. Ciò non modificherebbe il nostro sistema parlamentare, togliendo nel contempo qualsiasi alibi a chi, utilizzando strumentalmente l’argomento della governabilità, vorrebbe rafforzare senza contrappesi la verticalità del potere decisionale.

 

Foto Wikipedia | Governo Italiano – Presidenza del Consiglio dei Ministri



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